Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34910 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34910 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
Oggetto: Accertamenti IRES, IRAP anni 20072008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 26768/2016, proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio della prima, giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente principale e intimata al ricorso incidentale
-contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
-controricorrente al ricorso principale e ricorrente incidentale -Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 613/1/2016, pronunciata l’8 febbraio 2016 e depositata il 22 aprile 2016, non notificata
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE), esercente attività nel settore del recupero per ‘riciclaggio dei rifiuti solidi e biomasse’ (prevalentemente rottami ferrosi) fu oggetto di verifica fiscale per gli anni dal 2007 al 2010. Con riferimento agli anni 2007 e 2008, oggetto del presente contenzioso, furono emessi dall’Agenzia delle entrate – conclusosi senza esito il procedimento di accertamento con adesione – avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno 2007 e n. TL9031202258 per IRES ed IRAP .
Con il primo furono accertati costi non deducibili relativi a fatture oggettivamente inesistenti per euro 686.917,00 e rettificato il reddito di impresa da euro 198.523,00 ad euro 885.440,00. Era altresì determinato dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 25, co mma 1, del d. lgs. n. 446/1997, un valore della produzione netta pari ad euro 1.105,576 a cui corrispondeva una maggiore imposta dovuta di euro 29.194,00 ed irrogata, ex art. 9 del d.lgs. n. 471/1997, la sanzione massima pari ad euro 7.746,00, che veniva raddoppiata ai sensi del comma 3 del medesimo articolo.
Con il secondo atto impositivo, riferito all’anno 2008, furono accertati costi non deducibili relativi a fatture oggettivamente
inesistenti per euro 639.444,00 e rettificato il reddito d’impresa da euro 662.362,00 ad euro 1.301.806,00. Era altresì determinato dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 25, comma 1, d. lgs. n. 446/1997, un valore della produzione netta pari ad euro 1.580.100,00, a cui corrispondeva una maggiore imposta dovuta di euro 24.938,00. Veniva altresì irrogata, ex art. 9 del d.lgs. n. 471/1997, la sanzione massima pari ad euro 7.746,00, che veniva raddoppiata ai sensi del comma 3 del medesimo articolo.
Le contestazioni nascevano dall’avere i verificatori riscontrato che la società aveva annotato nel registro IVA acquisti le operazioni riguardanti gli acquisti di materiale da fornitori privati occasionali registrati nella sezione 2, afferente i conferimenti nell’unità di Varazze (SV), risultati del tutto inesistenti.
Entrambi gli atti impositivi furono separatamente impugnati dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Savona, che, con le rispettive sentenze n. 444/06/2014 e 445/06/2014, respinse entrambi i ricorsi, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di ciascun giudizio.
Entrambe le sentenze furono oggetto di gravame da parte della società dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Liguria che, riuniti gli appelli e disposta CTU per l’ulteriore istruzione del giudizio, con la sentenza di cui in epigrafe, accolse parzialmente gli appelli della società, disponendo, in parziale riforma delle sentenze impugnate, la riduzione del recupero a tassazione dei costi per l’importo di euro 177.000,00 per l’anno 2007 e per l’importo di euro 374.000,00 per il 2008.
Avverso detta sentenza, non notificata, la società ha proposto ricorso principale per cassazione, affidato a cinque motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
La ricorrente principale ha altresì depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis . 1, c.p.c.
La causa è stata fissata, a seguito di ordinanza interlocutoria n. 13829/22, ove ne era disposta la riunione ad altre controversie RG 14293/2018 e RG 14295/2018, riguardanti gli ulteriori accertamenti per le successive annualità d’imposta, per la trattazione in camera di consiglio all’odierna adunanza camerale del 26 gennaio 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale, così rubricato: «rt. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c. in relazione agli artt.115, 116 c.p.c. e 2729 c.c., con conseguente violazione ed errata applicazione dell’art. 39 – 1° comma -lett. d) -del d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’accertamento di un maggior reddito di euro 686.917,00 per l’anno 2007 ed euro 639.440,00 per l’anno 2008 per costi ritenuti indeducibili» , la ricorrente società lamenta che, pur avendo la CTR ritenuto attendibile la ricostruzione dei rapporti intercorsi tra la RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dal geom. NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dal sig. NOME COGNOME unico cliente importante, se non esclusivo della prima – nel senso che il COGNOME imponeva che il pagamento delle forniture effettuate dalla propria società alla RAGIONE_SOCIALE fosse effettuato in contanti, a suo dire per godere di liquidità sufficiente per pagare delle tangenti che gli venivano richieste nell’esercizio della sua attività commerciale, ciò che determinava per lo COGNOME la necessità di giustificare gli acquisti dei materiali ferrosi con l’emissione di fatture apparentemente emesse da terzi clienti privati occasionali -nondimeno era poi giunta a recepire le conclusioni della CTU svolta nel giudizio di appello, a sua volta basate su processo verbale della Guardia di Finanza di Genova del 27 febbraio 2014, secondo cui solo una parte dei documenti di spesa prodotti erano riferibili alle operazioni oggettivamente esistenti intercorse con RAGIONE_SOCIALE, per cui i costi sostenuti erano soltanto in parte qua deducibili.
In tal modo, tuttavia, la CTR, secondo la ricorrente principale, avrebbe fondato la propria decisione su semplici indizi del tutto privi del carattere di certezza e precisione, né concordanti tra loro, anzi smentiti dal fatto storico ritenuto in sé attendibile dallo stesso giudice tributario di appello.
Le argomentazioni sviluppate a sostegno del primo motivo di ricorso sono sostanzialmente riprese nell’ambito del secondo strumento d’impugnazione, ove, tuttavia, la dedotta «violazione ed errata applicazione dell’art. 39 1° comma -lettera d) del d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’accertamento di un maggior reddito di euro 686.917,00 per l’anno 2007 ed euro 639.440,00 per l’anno 20 08», viene riferita al parametro di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., per «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Lamenta, in particolare, la ricorrente, che la CTR avrebbe omesso di considerare, oltre alle perizie di parte allegate nel corso del giudizio dalla Comet ed alle ulteriori allegazioni documentali, tra i quali i MUD regolarmente tenuti dalla Comet ed i tabulati TELEPASS relativi ai viaggi dello Scocca a Genova dal Mamone, che avrebbero consentito, stante la contiguità temporale, di riferire i prelievi di contante effettuati dallo Scocca alla necessità di soddisfare la richiesta del COGNOME, le ampie argomentazioni in fatto ed in diritto svolte dalla ricorrente a sostegno del proprio assunto.
Con il terzo motivo di ricorso principale, così rubricato: «rt. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c. e 2729 c.c., nonché art. 360 n. 5, c.p.c., a seguito di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, con conseguente violazione ed errata applicazione degli artt. 2-3-4- 11 e 25, 1° comma, del d.lgs. 15.12.1997, n. 446: in ordine alla determinazione del valore della produzione per € 1.650.125,00 per l’anno 2008 e € 1.105.576,00 per l’ anno 2007», la società ricorrente,
riprendendo le argomentazioni svolte nei due precedenti motivi, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha parzialmente confermato il recupero a tassazione per gli anni di riferimento ai fini IRAP.
I tre motivi, essendo tra loro intimamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Giova premettere che, effettivamente, diversamente da quanto adombrato nell’ordinanza interlocutoria n. 13829/22, nel presente giudizio, che attiene, in ragione degli accertamenti impugnati, ai soli recuperi a tassazione delle imposte dirette ed al correlativo trattamento sanzionatorio, si esula dalla problematica relativa all’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 9 bis. 3, del d. lgs. n. 471 del 1997 in tema di IVA, quanto al regime sanzionatorio più favorevole per le operazioni inesistenti soggette al regime contabile del reverse charge (su cui cfr. Cass. SU, 26 luglio 2022, n. 22727).
4.1. La presente controversia, alla stregua delle considerazioni che seguono, può essere pertanto autonomamente definita, restando viceversa opportuno mantenere la già disposta riunione, limitatamente alle altre due controversie, iscritte ai nn. RG 14293/2018 e 14295/2018 ugualmente chiamate all’odierna adunanza camerale, concernenti le due successive annualità d’imposta 2009 e 2010.
4.2. Il primo motivo è inammissibile.
La censura, sebbene proposta sub specie del vizio di violazione di legge, tanto in relazione alla pretesa violazione delle norme in tema di ragionamento inferenziale che disciplinano la prova presuntiva, quanto alla pretesa violazione della legge processuale in tema di disponibilità delle prove e di valutazione delle prove, mira, in realtà come la stessa articolazione del motivo in relazione alla mancata valutazione, da parte del giudice di merito, degli elementi di prova che la parte avrebbe addotto a conforto del proprio assunto, lascia
ampiamente evincere – ad una rivalutazione dei fatti storici quale operata dal giudice di merito, ciò che, come è noto, è precluso al giudice di legittimità (cfr., tra le molte, Cass. SU, 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. sez. lav. 3 novembre 2020, n. 24395; Cass. sez. 5, ord. 16 settembre 2021, n. 25155); laddove è altresì noto che la lamentata violazione della legge processuale in relazione a quanto disposto dagli artt. 115 e 116 c.p.c. è possibile, quanto alla prima norma, qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo (ipotesi diversa appunto dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto), a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3, 26 aprile 2022, n. 12971); con riferimento invece all’art. 116 c.p.c., solo qualora il giudice abbia disatteso, valutandole secondo il proprio prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti a valutazione (tra le più recenti si veda Cass. sez. 1, 1° marzo 2022, n. 6774).
Nessuno di detti vizi è dato ravvisare nella decisione in questa sede impugnata.
4.3. Quanto sopra induce a ritenere inammissibile anche il terzo motivo, volto dalla parte ricorrente a censurare, con analoghe argomentazioni, la pronuncia del giudice tributario d’appello nella parte in cui ha ritenuto di confermare, quantunque parzialmente, la ripresa a tassazione per gli anni 2007 e 2008 con riferimento all’IRAP; dovendosi qui aggiungere che ulteriore motivo di inammissibilità della censura, così come anche per il secondo motivo di ricorso, è la loro formulazione in relazione al paramet ro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per il preteso omesso esame da parte della CTR di argomentazioni difensive e/o elementi istruttori addotti dalla parte a sostegno del proprio assunto, mentre, per giurisprudenza costante di questa Corte (cfr., tra le molte, nel solco di Cass. SU, 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. sez. 2, ord. 29 ottobre 2018, n. 27145), l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; ed il fatto storico, nella fattispecie, riferito al pagamento in contanti da parte dello COGNOME al COGNOME per le forniture di materiali ferrosi dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, è stato ampiamente preso in considerazione dal giudice di merito che, peraltro, con riferimento alla creazione di fatture intestate a terzi presunti fornitori occasionali, in relazione al quantum dei costi deducibili, ha ritenuto, con valutazione
insindacabile in questa sede da parte del giudice di legittimità, che non potessero essere tutte riferite al dedotto esclusivo rapporto RAGIONE_SOCIALE
4.4. Sennonché la ricorrente principale, in sede di memoria, ha allegato che, successivamente alla pronuncia della CTR in questa sede impugnata, è intervenuta sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1080 del 5.4./4.7.2017, passata in giudicato, come da attestazione prodotta, che, nel mandare assolto, perché il fatto non costituisce reato, NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in relazione ai fatti oggetto anche del contenzioso tributario , dall’imputazione di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 2 del d. lgs. n. 74/2000, per avere, al fine di evadere le imposte dirette, indicato nelle relative dichiarazioni dal 2007 al 2010 elementi fittizi per operazioni inesistenti, ha invece affermato (pag. 7, in motivazione, della sentenza) di ritenere «altamente probabile che tutte le operazioni soggettivamente imputate a terzi siano in realtà state eseguite in favore del Mamone e pagate in nero allo stesso», donde «il carattere oggettivamente reale e non fittizio, finalizzato ad attività d’impresa e non ad attività delittuosa, delle operazioni fittiziamente attribuite a terzi».
4.5. Va tuttavia rilevato come, trattandosi di sentenza assolutoria per difetto del requisito del dolo specifico proprio del reato ascritto allo COGNOME in sede penale, a detta pronuncia, neppure alla stregua dello ius superveniens di cui all’art. 21 bis del d.lgs. n. 74/2000, quale inserito dall’art. 1 , comma 1 bis , lett. m) del d.lgs. 14 giugno 2024, n.87, entrato in vigore nelle more della pubblicazione della presente decisione, può attribuirsi efficacia di giudicato riguardo ai medesimi fatti oggetto del giudizio tributario, restandosi, quindi, pur sempre, nell’ambito di differenti valutazioni dei rispettivi elementi di prova addotti nei diversi giudizi che mantengono, quindi, nei termini sopra chiariti, la loro autonomia.
Con il quarto motivo, così rubricato: «rt. 360, n. 3, e n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 115, 116, c.p.c. e 2729 c.c., nonché art. 360, n. 5, c.p.c. a seguito di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con conseguente violazione ed errata applicazione dell’art. 9 1° comma -del d. lgs. n. 471/1997», la ricorrente principale sostanzialmente si duole del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe rilevato la carenza di motivazione di ciascun atto con riferimento alla quantificazione della sanzione irrogata.
5.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile per carenza di specificità, perché non riporta il contenuto degli avvisi di accertamento e, in ogni caso, infondato, atteso che, in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quant o, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (cfr. Cass. sez. 5, ord. 4 maggio 2021, n. 11610).
Infine, con l’ultimo motivo di ricorso principale, la società denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 472/1997 nonché dell’art. 12, commi 1 e 3 del medesimo decreto legislativo, lamentando che la sentenza impugnata, nella quantificazione delle sanzioni, avrebbe omesso di applicare il cumulo giuridico invocato dalla contribuente.
6.1. Anche in questo caso il motivo non sfugge a declaratoria d’inammissibilità per difetto di specificità, non essendo riportato il contenuto del provvedimento di irrogazione delle sanzioni, né il calcolo del raffronto di cui al comma 7 dello stesso art. 12 del citato d. lgs. n.
472/1997, da cui sia dato rilevare che l’importo risultante dal cumulo giuridico sia inferiore a quello risultante dal cumulo materiale.
6.2. Invero, in tema di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, questa Corte ha avuto modo di precisare che l’applicazione del regime del cumulo giuridico delle sanzioni, previsto dall’art. 12 del d.lgs. n. 472/1997, può essere richiesta soltanto nell’ambito di un iter processuale corretto che, per quanto attiene al giudizio di legittimità, presuppone la formulazione della richiesta nel giudizio di merito, affinché essa possa essere riproposta, se rigettata o non valutata, nel giudizio di cassazione (cfr. Cass. sez. 5, 28 giugno 2018, n. 17134).
Il ricorso principale della Comet va pertanto, complessivamente rigettato.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate censura a sua volta la sentenza impugnata, nella parte ad essa sfavorevole, laddove, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto in parte, costi deducibili con conseguente riduzione della ripresa a tassazione per IRES ed IRAP rispetto a quanto oggetto di accertamento e riduzione del trattamento sanzionatorio, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, 109 TUI R e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., assumendo che la decisione, in parte qua , si sarebbe posta in contrasto con i principi posti in tema di onere probatorio da questa Suprema Corte in tema di operazioni oggettivamente inesistenti.
8.1. Il motivo risulta inammissibile, non cogliendo l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, e comunque infondato, perché muove dalla qualificazione delle operazioni come oggettivamente inesistenti così come contestate con gli avvisi di accertamento e non in relazione alla ricostruzione fattane dalla CTR in termini di operazioni,
in relazione ad un certo numero di fatture apparentemente emesse da terzi, solo soggettivamente inesistenti -riguardo ai rapporti intercorsi con RAGIONE_SOCIALE, avvalendosi anche delle risultanze della CTU a sua volta basata su elementi provenienti ugualmente da processo verbale reso nei confronti della medesima RAGIONE_SOCIALE, donde la CTR ha ritenuto che la prova presuntiva fornita dall’Amministrazione fosse ragionevolmente contrastata dalla prova presuntiva contraria, ciò che appare in linea con la tendenza evolutiva della giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 5, ord. 3 luglio 2023, n. 18653, nel solco di Corte cost. n. 10 del 2023).
Il ricorso incidentale dell’Amministrazione finanziaria va, pertanto, anch’esso rigettato.
Stante la soccombenza reciproca, le spese del giudizio di legittimità restano interamente compensate tra le parti.
Rilevato che, quanto al ricorso incidentale, risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 gennaio 2024
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME