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Costi da fatture inesistenti: quando sono deducibili?

Una società di riciclaggio ha dedotto costi da fatture ritenute fittizie. La Corte di Cassazione ha rigettato sia il ricorso dell’azienda sia quello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione di merito che ammetteva una deduzione parziale. Il principio chiave è la distinzione tra operazioni oggettivamente inesistenti (costo mai deducibile) e soggettivamente inesistenti, per le quali è possibile dedurre i costi da fatture inesistenti se il contribuente ne prova l’effettività e l’inerenza all’attività d’impresa.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi da Fatture Inesistenti: Quando la Cassazione ne Ammette la Deducibilità?

La questione della deducibilità dei costi da fatture inesistenti rappresenta un terreno scivoloso e complesso nel diritto tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, ribadendo un principio fondamentale: la differenza tra operazioni “oggettivamente” e “soggettivamente” inesistenti. Questa distinzione è cruciale per determinare se un’impresa possa legittimamente ridurre il proprio reddito imponibile. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici supremi.

Il Caso in Esame: Costi Reali e Fatture Fittizie

Una società operante nel settore del riciclaggio di materiali ferrosi si è vista contestare dall’Agenzia delle Entrate l’indebita deduzione di costi per gli anni d’imposta 2007 e 2008. Secondo l’amministrazione finanziaria, l’azienda aveva utilizzato fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
La difesa della società era peculiare: ammetteva che le fatture provenissero da soggetti terzi fittizi, ma sosteneva che i costi fossero reali. Questi costi sarebbero derivati da pagamenti in contanti effettuati all’unico e principale cliente dell’azienda. Tali pagamenti, secondo la ricostruzione, servivano a fornire al cliente la liquidità necessaria per scopi illeciti (tangenti), e le fatture false erano solo un espediente contabile per giustificare le uscite di cassa.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

Dopo un primo giudizio sfavorevole, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha parzialmente accolto le ragioni della società. Attraverso una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), è stato accertato che una parte dei costi contestati era effettivamente riconducibile a operazioni reali intercorse con il cliente principale. Di conseguenza, la CTR ha ridotto l’ammontare del recupero a tassazione, ammettendo una deduzione parziale dei costi per entrambi gli anni.
Insoddisfatte, sia la società (che chiedeva la deduzione totale) sia l’Agenzia delle Entrate (che negava qualsiasi deducibilità) hanno presentato ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni sui Costi da Fatture Inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, quello principale della società e quello incidentale dell’Agenzia, cristallizzando importanti principi giuridici.

Innanzitutto, la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso della società, in quanto miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità. I giudici hanno anche sottolineato che una successiva sentenza di assoluzione in sede penale non ha efficacia automatica nel processo tributario, data l’autonomia dei due giudizi e dei rispettivi criteri di valutazione della prova.

Il punto centrale della decisione, però, risiede nel rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate. La Cassazione ha chiarito che la CTR non ha violato la legge, ma ha correttamente applicato la distinzione tra:
1. Operazioni oggettivamente inesistenti: quando l’operazione fatturata non è mai avvenuta. In questo caso, il costo non è mai deducibile.
2. Operazioni soggettivamente inesistenti: quando l’operazione è reale, ma è intercorsa con un soggetto diverso da quello indicato in fattura. In questo scenario, i costi da fatture inesistenti possono essere dedotti se il contribuente fornisce la prova rigorosa della loro effettività, certezza e inerenza all’attività d’impresa.

Nel caso di specie, la CTR aveva ricondotto la vicenda alla seconda ipotesi. Basandosi sulla CTU e su altri elementi, ha ritenuto provato che una parte dei costi fosse reale, sebbene documentata in modo fittizio. Questa valutazione di merito, secondo la Cassazione, è insindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame consolida un orientamento fondamentale per le imprese e i professionisti. Le conclusioni pratiche che possiamo trarre sono le seguenti:

* La distinzione è fondamentale: La possibilità di dedurre un costo documentato da una fattura falsa dipende interamente dalla natura dell’inesistenza. Se è solo soggettiva, la porta della deducibilità resta aperta.
* L’onere della prova è del contribuente: Spetta all’impresa dimostrare con prove concrete e convincenti che, nonostante la fattura mendace, il costo è stato realmente sostenuto ed era necessario per l’attività aziendale.
* Autonomia del giudizio tributario: Non bisogna fare affidamento esclusivo sull’esito di un eventuale procedimento penale. Il giudice tributario valuta i fatti in modo autonomo e sulla base di prove che possono essere diverse.

È possibile dedurre i costi documentati da fatture per operazioni inesistenti?
Dipende. La Cassazione distingue tra operazioni “oggettivamente inesistenti” (mai avvenute), i cui costi non sono mai deducibili, e operazioni “soggettivamente inesistenti” (avvenute con un soggetto diverso da quello in fattura). In questo secondo caso, il costo è deducibile se il contribuente prova la sua effettività, certezza e inerenza all’attività d’impresa.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per reati fiscali ha valore anche nel processo tributario?
Non necessariamente. L’ordinanza chiarisce che il giudizio penale e quello tributario sono autonomi. Una sentenza penale assolutoria, specialmente se basata sulla mancanza di dolo specifico, non ha efficacia di giudicato nel processo tributario, dove il giudice può valutare autonomamente le prove secondo le proprie regole.

A chi spetta l’onere di provare la realtà di un costo contestato dall’Agenzia delle Entrate come fittizio?
L’onere della prova spetta al contribuente. Anche se l’operazione è solo “soggettivamente” inesistente, è il contribuente che deve fornire la prova rigorosa che il costo è stato effettivamente sostenuto, è certo nel suo ammontare ed è inerente all’attività aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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