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Costi black list: quando sono deducibili per l’azienda?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 28/01/2025, ha chiarito i requisiti per la deducibilità dei costi derivanti da operazioni con imprese situate in paesi a fiscalità privilegiata. Il Fisco aveva contestato la deduzione di costi sostenuti da un’azienda italiana per una transazione con una società emiratina, ritenendo che una società inglese fosse stata interposta al solo fine di eludere la normativa sui costi black list. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che per dedurre tali costi non è sufficiente dimostrare la redditività generale dell’operazione, ma è necessario provare un effettivo e specifico interesse economico che giustifichi la scelta di operare proprio in quel paese a fiscalità privilegiata, interesse che deve essere distinto dal mero risparmio fiscale.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Black List: la Cassazione chiarisce l’onere della prova per la deducibilità

Operare con partner commerciali situati in paesi a fiscalità privilegiata, i cosiddetti ‘paradisi fiscali’, comporta per le imprese italiane l’osservanza di regole fiscali molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiave di lettura sulla deducibilità dei costi black list, sottolineando come non basti la mera redditività dell’operazione a giustificarli. L’azienda deve infatti dimostrare un ‘effettivo interesse economico’ che vada oltre il semplice risparmio d’imposta.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti di una società italiana per l’anno d’imposta 2005. L’Agenzia contestava il disconoscimento di costi per oltre 274.000 euro, derivanti da operazioni considerate soggettivamente inesistenti.

Nello specifico, la società contribuente aveva rapporti commerciali con un’azienda situata negli Emirati Arabi Uniti, un paese all’epoca inserito nelle black list. Per aggirare le complicazioni fiscali, le transazioni erano state fatte transitare attraverso una società costituita nel Regno Unito. L’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto quest’ultima una mera società interposta e ha applicato la rigida disciplina sui costi black list.

Nei primi due gradi di giudizio, le commissioni tributarie avevano dato ragione all’azienda, ritenendo che, poiché la tecnologia oggetto della transazione era stata acquistata e poi rivenduta con un utile tassato in Italia, l’operazione fosse legittima. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Normativa sui Costi Black List e l’Interesse Economico

La questione ruota attorno all’interpretazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), nella sua versione applicabile ratione temporis. Questa normativa stabilisce che i costi derivanti da transazioni con imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata non sono deducibili, a meno che l’impresa italiana non fornisca la prova contraria.

Per ottenere la deducibilità, l’azienda deve dimostrare la sussistenza di due condizioni cumulative:
1. La società estera svolge un’effettiva attività commerciale.
2. Le operazioni rispondono a un effettivo interesse economico e hanno avuto concreta esecuzione.

È proprio sulla nozione di ‘effettivo interesse economico’ che si concentra la decisione della Suprema Corte.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che la decisione impugnata era frutto di un’erronea interpretazione del concetto di ‘effettivo interesse economico’.

Secondo la Corte, l’errore dei giudici di merito è stato quello di far coincidere l’interesse economico con la sussistenza di un margine di utile. In altre parole, hanno ritenuto sufficiente che l’operazione fosse economicamente vantaggiosa in termini generali (acquisto a un prezzo e rivendita a un prezzo superiore). Questo, però, serve solo a verificare l’economicità generica di un’operazione, un requisito valido per qualsiasi transazione, ma non è sufficiente a superare le presunzioni della normativa sui costi black list.

La ratio della legislazione speciale è disincentivare i rapporti commerciali con i paradisi fiscali, a meno che non vi sia una valida e concreta giustificazione economica. Tale giustificazione non può essere il semplice risparmio fiscale. L’impresa deve dimostrare che vi era un interesse specifico e concreto a operare proprio in quel determinato paese, per ragioni che non attengono alla convenienza fiscale. Ad esempio, potrebbe trattarsi di fattori legati alla produzione locale, a competenze uniche presenti in quel territorio o ad altre condizioni di mercato particolari.

In conclusione, la semplice prova della redditività dell’affare non è sufficiente a qualificare l’operazione come economicamente giustificata ai fini della normativa sui costi black list. È necessario un quid pluris: la dimostrazione di un vantaggio specifico derivante dall’aver scelto quel partner commerciale in quel preciso paese.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce il rigore con cui il Fisco e la giurisprudenza valutano le operazioni con soggetti residenti in paradisi fiscali. Per le imprese italiane, il messaggio è chiaro: la deducibilità dei costi non è automatica. È fondamentale poter documentare e provare in modo inequivocabile non solo che l’operazione è reale ed è stata eseguita, ma anche che la scelta di un fornitore in un paese black list risponde a un preciso e dimostrabile interesse economico, totalmente slegato dal vantaggio fiscale. In assenza di tale prova, il rischio di un accertamento con conseguente recupero delle imposte e sanzioni è estremamente elevato.

Per dedurre i costi di operazioni con paesi black list, è sufficiente dimostrare che l’operazione ha generato un utile?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. La redditività generale dell’operazione (acquistare a un prezzo e rivendere a uno maggiore) dimostra solo l’economicità generica, ma non soddisfa il requisito specifico richiesto dalla normativa sui costi black list.

Cosa si intende per ‘effettivo interesse economico’ per giustificare i costi black list?
Per ‘effettivo interesse economico’ si intende un vantaggio concreto e specifico che giustifichi la scelta di operare con un’impresa in un paese a fiscalità privilegiata, che sia distinto dal mero risparmio fiscale. Questo può includere, ad esempio, l’accesso a fattori produttivi locali unici, competenze specifiche o particolari condizioni di mercato favorevoli presenti solo in quel territorio.

Perché la Cassazione ha annullato la decisione dei giudici di merito?
La Cassazione ha annullato la decisione precedente perché i giudici d’appello hanno commesso un errore di interpretazione giuridica, facendo coincidere l’ ‘effettivo interesse economico’ con la semplice sussistenza di un margine di profitto. Hanno così omesso di verificare la presenza di quella giustificazione specifica e ulteriore, non legata al risparmio d’imposta, che la legge richiede per poter dedurre i costi da operazioni con paesi black list.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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