Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17455 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17455 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3648/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME di Patti, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA TOSCANA n. 1185/5/16 depositata il 30 giugno 2016
udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 6 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per la ricorrente l’avvocato generale dello Stato NOME COGNOME e per la controricorrente l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Lucca dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della E.C.O. ( RAGIONE_SOCIALE in liquidazione un avviso di accertamento con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi presentata dalla predetta società in relazione all’anno 2008, disconoscendo la deducibilità dei costi relativi a operazioni commerciali dalla stessa intrattenute con la RAGIONE_SOCIALE , impresa residente in Hong Kong, territorio a regime fiscale privilegiato, e operando le conseguenti riprese a tassazione ai fini dell’IRES e dell’IRAP.
La contribuente impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, la quale accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione sul merito della pretesa erariale veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che con sentenza n. 1185/5/16 del 30 giugno 2016 riformava il solo capo della sentenza di primo grado relativo alle spese di lite, riducendone l’ammontare in accoglimento del motivo di gravame articolato sul punto dall’Amministrazione Finanziaria.
A fondamento della pronuncia adottata i giudici regionali osservavano che nella fattispecie di causa ricorrevano entrambe le condizioni alternativamente richieste dall’art. 110, comma 11, del TUIR per la deducibilità dei costi derivanti da operazioni commerciali concluse con imprese residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, costituite: (a)dallo svolgimento di un’effettiva
attività commerciale da parte della società estera da cui la contribuente aveva acquistato la merce oggetto delle contestate transazioni, consistente in un notevole quantitativo di bambole di pezza di diverso tipo con i relativi accessori; (b)dalla sussistenza di un reale interesse economico sottostante alle operazioni e dalla loro concreta esecuzione.
Contro tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso.
La causa è stata chiamata all’odierna pubblica udienza per la discussione orale.
Nel termine stabilito dal comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Nel successivo termine di cui al comma 2 del citato articolo la controricorrente ha depositato sintetica memoria illustrativa, con la quale ha chiesto di dichiarare l’interruzione del processo in conseguenza della sopravvenuta morte del suo liquidatore pro tempore .
MOTIVI DELLA DECISIONE
«In limine litis» va disattesa l’istanza di interruzione del processo avanzata dal difensore della controricorrente, dal momento che l’istituto di cui agli artt. 299 e seguenti c.p.c. non è applicabile al giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio (cfr. Cass. n. 17636/2024, Cass. n. 6642/2024, Cass. n. 30785/2023).
1.1 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e dell’art. 2729 c.c..
1.2 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente ritenuto che il certificato di iscrizione della RAGIONE_SOCIALE nel registro
delle imprese di Hong Kong e la corrispondenza dalla stessa intrattenuta con la contribuente costituissero elementi idonei a provare che la predetta società estera avesse svolto un’effettiva attività commerciale nell’anno 2009.
1.3 Viene, al riguardo, posto in evidenza che, ai fini della deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con società fornitrici residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non assumono rilievo dati meramente formali, quali quelli desumibili da una visura camerale attestante l’esistenza in vita della società o dallo scambio epistolare da questa intrattenuto con l’impresa residente in Italia, dovendo, invece, risultare dimostrato il concreto esercizio, da parte dell’impresa estera, di un’attività commerciale rientrante fra quelle contemplate dall’art. 2195 c.c.
Con il secondo motivo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. e degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992.
2.1 Si assume che la gravata pronuncia risulterebbe corredata di una motivazione solo apparente nella parte in cui riconosce sussistente la prova di un effettivo interesse economico sotteso alle contestate operazioni commerciali.
2.2 Il collegio di seconde cure si sarebbe, infatti, limitato ad affermare apoditticamente la maggiore convenienza del prezzo pagato dalla RAGIONE_SOCIALE alla società fornitrice residente in territorio «black list» , senza indicare gli elementi istruttori posti a base del convincimento espresso.
Riassunti come sopra i mezzi di gravame articolati dalla ricorrente, giova rammentare che l’art. 110 del TUIR, nel testo vigente «ratione temporis» , così recita ai commi 10 e 11:
«10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri
componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168 -bis . Tale deduzione è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto.
Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione (…)».
3.1 Le surriportate previsioni sono state abrogate dall’art. 1, comma 142, lettera a), della L. n. 208 del 2015 con effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, giusta quanto stabilito dal comma 144 del medesimo articolo, e devono, pertanto, ritenersi applicabili alla fattispecie di causa, avente ad oggetto un avviso di accertamento relativo all’anno 2008.
3.2 Ciò posto, dal chiaro tenore letterale del comma 11 innanzi citato si ricava che la presunzione legale di indeducibilità dei costi ivi sancita è superabile dal contribuente che riesca a dimostrare, in via alternativa, lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva da parte della società estera con la quale ha concluso l’operazione o la sussistenza di un reale interesse economico sottostante alla transazione (cfr. Cass. n. 8715/2020, Cass. n. 32634/2019, Cass. n. 8330/2016).
3.3 Alla stregua di un consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, per dimostrare l’effettivo svolgimento di un’attività commerciale occorre produrre l’atto di costituzione della società estera, il bilancio e il certificato di iscrizione presso il registro delle
imprese, nonché, anche in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 29/E del 23 maggio 2003, la copia del contratto in virtù del quale essa ha acquisito la disponibilità dell’immobile in cui esercita la propria attività, le fatture relative alle utenze elettriche e telefoniche, i contratti di lavoro dei dipendenti, gli estratti conto bancari e le autorizzazioni amministrative richieste (cfr. Cass. n. 34733/2024, Cass. n 13115/2024, Cass. n. 13147/2024, Cass. n. 32634/2019).
3.4 Quanto alla seconda condizione, rappresentata dalla prova dell’effettivo interesse economico sotteso all’operazione, è stato precisato che deve a tal fine valutarsi la «bontà» del risultato imprenditoriale conseguito, tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, e in particolare, anche alla luce delle indicazioni contenute nell’art. 9 della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 6 ottobre 2010: del prezzo stabilito negozialmente; degli eventuali costi accessori della fornitura; dei tempi di consegna; dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella «black list» o che comunque renderebbero eccessivamente onerosa quella con altro fornitore (cfr. Cass. n. 8226/2025, Cass. n. 7815/2025, Cass. n. 7690/2024, Cass. n. 32634/2019, Cass. n. 5264/2019).
3.5 Non si è poi mancato di puntualizzare che l’interesse economico in parola non può farsi coincidere con la sussistenza di un margine di utile fra il prezzo di acquisto della merce oggetto della transazione e quello di sua rivendita, poiché una simile circostanza che non vale a qualificare diversamente il rapporto commerciale intercorso con un’impresa residente in Paese a fiscalità privilegiata, ma soltanto a verificare l’economicità in generale dell’operazione, all’uopo del tutto indifferente.
Deve, invece, trattarsi di un interesse specifico ad acquistare (o comunque a concludere l’operazione) in quel determinato Paese
per la ricorrenza di fattori peculiari (legati, ad esempio, alla produzione locale) che devono essere evidenziati e dimostrati da parte di chi effettua una simile scelta (cfr. Cass. n. 1973/2025, Cass. n. 1963/2025).
3.6 Orbene, nel caso in esame la CTR toscana ha ritenuto sussistenti entrambe le condizioni alternativamente previste dall’art. 110, comma 11, del TUIR, argomentando che:
(a)dalle visure camerali prodotte in giudizio emergeva che la RAGIONE_SOCIALE era «esistente ed operativa in Hong Kong fin dal 1990» e svolgeva un’attività commerciale effettiva;
(b)il reale interesse economico della RAGIONE_SOCIALE alla conclusione di operazioni commerciali con la detta impresa era «dimostrato, in modo assorbente, dal minor prezzo pagato, oltre che dalla puntualità e della continuità delle forniture eseguite» .
3.7 L’Agenzia delle Entrate ha contestato entrambe le surriferite ragioni del decidere mediante due distinti motivi di impugnazione, dei quali il primo investe la «ratio» sub (a) e il secondo quella sub (b).
3.8 Entrambi i motivi appaiono fondati.
3.9 Riguardo al primo, deve qui darsi continuità al condiviso principio di diritto enunciato nel sottoparagrafo 3.3, secondo il quale la prova dello svolgimento in maniera prevalente di un’attività commerciale effettiva da parte dell’impresa residente o localizzata in Stato o territorio a regime fiscale privilegiato non può essere offerta mediante la semplice produzione del certificato attestante la sua iscrizione nel registro delle imprese, risultando a tal fine necessario acquisire ulteriore e più significativa documentazione (copia del contratto di acquisto della disponibilità dell’immobile in cui la fornitrice estera esercita la propria attività; fatture relative alle utenze elettriche e telefoniche; contratti di lavoro dei dipendenti; estratti conto bancari; autorizzazioni amministrative richieste).
3.10 Quanto al secondo, fermo restando che l’effettivo interesse economico alla conclusione delle operazioni non può essere identificato nella mera convenienza del prezzo di fornitura della merce -come si è avuto modo di chiarire nei sottoparagrafi 3.4 e 3.5-, va comunque notato che la motivazione posta a base del «decisum» risulta «in parte qua» del tutto generica, assertiva e apodittica, non avendo il collegio d’appello illustrato gli elementi probatori dai quali ha tratto la conclusione che il prezzo offerto dalla RAGIONE_SOCIALE fosse inferiore a quello praticato da altre imprese operanti nello stesso settore produttivo, nè indicato i dati informativi utilizzati per il giudizio comparativo, né spiegato da dove emergerebbe che la RAGIONE_SOCIALE si fosse trovata nell’impossibilità di approvvigionarsi a uguali condizioni su mercati di Paesi omogenei (cfr., sull’argomento, Cass. n. 5398/2012, in motivazione, ripresa da Cass. n. 38048/2021).
3.11 Si è, quindi, al cospetto di un supporto argomentativo solo apparente, non avendo i giudici «a quibus» in alcun modo apprezzato la portata complessiva dell’operazione commerciale (spese di intermediazione, trasporto, qualità della fornitura, tempistica della consegna), onde stabilire se la contribuente avesse effettivamente dimostrato la «bontà» del risultato imprenditoriale ottenuto.
3.12 Deve, pertanto, ritenersi sussistente il prospettato vizio di nullità parziale della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992, norma speciale del processo tributario che nel giudizio civile ordinario rinviene il suo corrispondente nell’art. 132, comma 2. n. 4) c.p.c..
Per quanto precede, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero, va disposta, ai sensi degli artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa
composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi e fornendo congrua motivazione in ordine alla questione trattata nei sottoparagrafi 3.10 e 3.11.
4.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione