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Costi black list: quando sono deducibili?

La Corte di Cassazione ha chiarito che per dedurre i costi black list non basta dimostrare la redditività dell’operazione. È necessario provare un interesse economico specifico e non solo il risparmio fiscale. La sentenza ha annullato la decisione di merito che aveva erroneamente equiparato l’interesse economico alla mera esistenza di un margine di utile.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità dei costi black list: non basta il margine di utile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per le imprese che operano a livello internazionale: la deducibilità dei costi black list. La decisione chiarisce in modo netto che, per poter detrarre tali costi, non è sufficiente dimostrare la profittabilità dell’operazione, ma è necessario provare un “effettivo interesse economico” che vada oltre il semplice risparmio fiscale. Questa pronuncia stabilisce un principio fondamentale per la corretta interpretazione della normativa anti-elusiva.

I fatti del caso

Una società italiana operante nel settore tecnologico aveva intrattenuto rapporti commerciali con un’impresa situata negli Emirati Arabi Uniti, un paese a fiscalità privilegiata. Per aggirare le complessità fiscali, la società italiana aveva richiesto di spostare le transazioni in un altro paese. Di conseguenza, il partner commerciale aveva costituito una società nel Regno Unito, che l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto essere una mera “società interposta”.

L’Amministrazione Finanziaria ha quindi emesso un avviso di accertamento, contestando la deduzione di costi per oltre 117.000 euro per l’anno d’imposta 2006, applicando la rigida disciplina sui costi black list. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione al contribuente, sostenendo che l’operazione fosse legittima in quanto la tecnologia acquistata era stata poi rivenduta a un cliente finale, generando introiti tassabili per la società italiana. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La disciplina dei costi black list e l’interesse economico

La normativa di riferimento, contenuta nell’art. 110 del TUIR, prevede che i costi derivanti da operazioni con soggetti residenti in paradisi fiscali non siano deducibili. Tuttavia, la stessa norma ammette la deduzione a condizione che l’impresa italiana fornisca la prova che le operazioni rispondano a un “effettivo interesse economico” e che abbiano avuto concreta esecuzione. Il cuore della controversia risiedeva proprio nell’interpretazione di questo concetto.

Secondo i giudici di merito, l’interesse economico era dimostrato dal fatto che l’acquisto della tecnologia, seguito dalla sua rivendita, aveva prodotto un margine di utile. Di conseguenza, l’operazione era economicamente sensata e i costi dovevano essere considerati deducibili.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato completamente questa interpretazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici hanno chiarito che la ratio della normativa sui costi black list è quella di disincentivare i rapporti commerciali con paesi a fiscalità privilegiata che non siano supportati da valide ragioni economiche, diverse dal mero vantaggio fiscale.

Far coincidere l'”interesse economico effettivo” con la semplice esistenza di un margine di profitto sull’operazione complessiva svuoterebbe di significato la norma. Qualsiasi operazione commerciale è, per sua natura, finalizzata a un profitto. La legge, invece, richiede qualcosa di più: l’impresa deve dimostrare perché ha scelto di operare proprio con un partner in un paese “black list”. Questo interesse specifico potrebbe derivare, ad esempio, da vantaggi legati alla produzione locale, a competenze uniche o ad altre condizioni di mercato particolari che giustifichino tale scelta, al di là del risparmio di imposte.

La sentenza dei giudici di appello è stata quindi ritenuta errata perché ha confuso l’economicità generale di un’operazione con l’interesse specifico richiesto dalla legislazione speciale per i paradisi fiscali. L’onere della prova ricade interamente sul contribuente, che deve fornire una giustificazione concreta e non generica.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che la prova dell'”effettivo interesse economico” per la deduzione dei costi black list non può limitarsi a dimostrare la redditività dell’operazione. È necessario provare l’esistenza di ragioni commerciali specifiche e concrete che hanno reso necessario o conveniente intrattenere rapporti con un’impresa situata in un paradiso fiscale, escludendo che tale scelta sia stata dettata unicamente da logiche di risparmio fiscale. La causa è stata quindi rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio di diritto.

È sufficiente dimostrare che un’operazione con un’impresa in un paradiso fiscale ha generato un utile per dedurre i relativi costi?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. La semplice esistenza di un margine di utile non basta a qualificare l’operazione. È necessario dimostrare un interesse economico specifico e ulteriore rispetto al mero vantaggio fiscale.

Cosa si intende per “effettivo interesse economico” nelle operazioni con paesi black list?
Si intende un interesse specifico e concreto che giustifichi la scelta di operare con un’impresa in un paese a fiscalità privilegiata. Questo interesse deve essere diverso dal semplice risparmio fiscale e può consistere, ad esempio, in vantaggi legati a fattori specifici come la produzione locale o altre peculiarità di quel mercato.

L’uso di una società intermediaria (“interposta”) in un paese a fiscalità ordinaria sana l’irregolarità di un’operazione con un paese black list?
No, secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate, confermata implicitamente dalla Cassazione, l’uso di una società interposta in un paese non black list non cambia la sostanza dell’operazione. Se l’operazione è riconducibile a un soggetto residente in un paradiso fiscale, si applica comunque la disciplina restrittiva sui costi black list.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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