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Costi black list: prova dell’interesse economico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una società per la deducibilità di costi sostenuti con operatori in paradisi fiscali. La Suprema Corte ha stabilito che la valutazione della prova sull’effettivo interesse economico dell’operazione, necessaria per la deduzione dei cosiddetti ‘costi black list’, è una questione di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata dal giudice di secondo grado.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Black List: La Cassazione Chiarisce la Prova dell’Interesse Economico

La deducibilità dei costi black list, ovvero quelli sostenuti in operazioni commerciali con imprese situate in paradisi fiscali, rappresenta da sempre un terreno scivoloso per le aziende. La normativa tributaria impone un regime di indeducibilità generale per tali spese, ma prevede delle eccezioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini tra la valutazione delle prove, di competenza dei giudici di merito, e il controllo di legittimità, proprio della Suprema Corte, in questo specifico ambito. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Una società italiana operante nel commercio di cereali e legumi riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2007. L’Amministrazione Finanziaria contestava, tra le altre cose, l’indebita deduzione di ingenti costi di trasporto, per oltre 7 milioni di euro, sostenuti nell’ambito di operazioni con soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata. Secondo il Fisco, la società non aveva fornito la prova dell’effettivo interesse economico di tali operazioni, requisito indispensabile per derogare al divieto di deducibilità.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della società, ritenendo legittima la deduzione dei costi di trasporto. La decisione veniva confermata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale rigettava il gravame dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado ritenevano che la società contribuente avesse adeguatamente dimostrato sia la concreta esecuzione delle prestazioni, attraverso documentazione contabile, bancaria e doganale, sia l’esistenza di un interesse economico. Tale interesse era desumibile dal fatto che l’azienda si era avvalsa di brokers professionali per individuare la controparte contrattuale migliore sul mercato per le sue specifiche esigenze di trasporto.

La Normativa sui Costi Black List e l’Onere della Prova

Il cuore della questione risiede nell’articolo 110, commi 10 e 11, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Questa norma stabilisce, come regola generale, la non deducibilità delle spese derivanti da operazioni con imprese residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Tuttavia, il legislatore ha previsto due ‘esimenti’, ovvero due vie d’uscita per il contribuente. La deduzione è ammessa se l’impresa italiana fornisce la prova che:

1. L’impresa estera svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva.
2. In alternativa, che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.

La controversia in esame si è concentrata su questa seconda esimente. L’onere di provare l’interesse economico grava interamente sul contribuente, che deve dimostrare come l’operazione non sia stata posta in essere al solo scopo di conseguire un vantaggio fiscale.

Le Motivazioni della Decisione della Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Commissione Tributaria Regionale avesse erroneamente ritenuto sufficiente la documentazione prodotta dalla società. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo di tale decisione è di natura squisitamente processuale, ma di fondamentale importanza pratica.

La Corte ha chiarito che il ricorso per cassazione non consente un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logico-formale della motivazione della sentenza impugnata, non riesaminare i fatti o le prove.

Nel caso specifico, la Commissione Tributaria Regionale aveva preso in esame la questione di fatto (la sussistenza di un effettivo interesse economico) e aveva spiegato le ragioni per cui riteneva provata tale circostanza. Aveva valorizzato il ricorso a intermediari specializzati e la presentazione di idonea documentazione contabile. Questa, secondo la Cassazione, è una valutazione di fatto che, essendo stata adeguatamente motivata, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. Le censure dell’Agenzia miravano, in sostanza, a una nuova valutazione del materiale probatorio, attività preclusa alla Suprema Corte.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: la prova dell’interesse economico per la deducibilità dei costi black list è una questione di merito, il cui esame è riservato ai giudici dei primi due gradi di giudizio. Le imprese che operano con partner commerciali in paradisi fiscali devono quindi costruire e conservare un solido impianto documentale capace di dimostrare la genuinità economica delle transazioni. La valutazione del giudice di merito, se logicamente argomentata e giuridicamente corretta, sarà difficilmente scalfibile in Cassazione. La decisione finale spetta a chi può esaminare nel dettaglio le prove, non a chi è chiamato a un controllo sulla sola legittimità della decisione.

È possibile dedurre i costi derivanti da operazioni con società in paesi a fiscalità privilegiata (black list)?
Sì, è possibile, ma solo a determinate condizioni. La legge prevede un divieto generale, ma consente la deduzione se l’impresa italiana dimostra che l’impresa estera svolge una reale attività commerciale o, in alternativa, che le operazioni rispondono a un effettivo interesse economico e sono state concretamente eseguite.

Cosa deve dimostrare un’impresa per poter dedurre i costi black list?
L’impresa deve fornire la prova rigorosa di un interesse economico concreto. Nel caso esaminato, è stato ritenuto sufficiente aver dimostrato di essersi rivolta a broker professionali per trovare le migliori condizioni contrattuali sul mercato e aver prodotto idonea documentazione contabile, bancaria e doganale a supporto dell’effettiva esecuzione delle prestazioni.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove fornite dal contribuente per dimostrare l’interesse economico?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione delle prove sull’esistenza di un effettivo interesse economico è una questione di fatto, di competenza esclusiva dei giudici di merito (Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali). La Cassazione può solo controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione della sentenza, non può riesaminare le prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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