Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8226 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8226 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE sedente in Gela, con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata
–
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta, n. 2990/21/2016 depositata il 30 agosto 2016.
e sul ricorso r.g. 12754/2017 proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– controricorrente –
OPERAZIONI CON IMPRESE CON SEDE IN PAESI BLACK LIST
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta, n. 4490/21/2016 depositata il 19 dicembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del sei febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso quanto alla prima controversia, per l’accoglimento dei motivi primo e secondo del ricorso, respinti gli altri; quanto alla seconda per l’accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso; rigetto del primo e del secondo; inammissibile il terzo e assorbiti gli altri.
Dato atto che il difensore dei ricorrenti ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi, mentre la difesa erariale ha concluso per il rigetto.
RILEVATO CHE
1.Con avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2005, l’Agenzia riprendeva a tassazione nei confronti della società ricorrente (anche con riguardo al mancato versamento delle ritenute sui redditi extrabilancio distribuiti ai soci) le somme derivanti dal disconoscimento di costi sostenuti per operazioni con paesi a fiscalità privilegiata, nonché sopravvenienze passive derivanti da perdite su crediti. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso, mentre la CTR, adìta in sede d’appello dell’Agenzia, riteneva la legittimità della ripresa fiscale.
Ricorre in cassazione la società contribuente fondando le difese su cinque motivi, mentre l’Agenzia è rimasta intimata.
La contribuente ha successivamente depositato memoria illustrativa.
2.Con avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2005, l’Agenzia riprendeva a tassazione nei confronti del COGNOME gli asseriti utili extrabilancio percepiti dal contribuente, qual socio di società a ristretta base azionaria (RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE. La CTP
accoglieva il ricorso e l’Agenzia spiegava appello, frattanto avendo anche impugnato la sentenza con cui veniva accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento nei confronti della società presupposto della ripresa nei riguardi del socio. La CTR, preso atto dell’accoglimento dell’appello dell’Agenzia avverso l’accertamento nei confronti della società e della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili prodotti da società a ristretta base, accoglieva l’appello spiegato dall’amministrazione.
Il contribuente propone così ricorso in cassazione affidato a sette motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
La contribuente ha successivamente depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Pregiudizialmente il collegio dispone la riunione dei due procedimenti, sussistendo fra gli stessi un’evidente connessione avendo essi ad oggetto, con riguardo al medesimo anno d’imposta, l’uno l’accertamento nei confronti della società, presupposto dell’altro relativo all’accertamento nei confronti del socio per l ripresa degli utili extra-bilancio asseritamente percepiti dallo stesso e appunto derivati dal disconoscimento dei costi dichiarati dalla società.
2.Con il primo motivo di ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 110, comma 11, D.P.R. n. 917/1986, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», la contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non raggiunta la prova liberatoria e di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, per non avere la società contribuente provato di avere avuto un effettivo interesse economico a intrattenere relazioni commerciali con imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata. Sostiene infatti la ricorrente che sul punto la sentenza impugnata non è condivisibile, avendo essa ricorrente
dimostrato sia la concreta esecuzione ed effettività delle operazioni commerciali contestate, sia la sussistenza del suddetto interesse economico.
2.1. Il motivo, che attiene da un lato alle operazioni inerenti al trasporto del materiale cerealicolo, e dall’altro l’acquisto di una partita dello stesso, è parzialmente fondato.
2.2. La norma in argomento, art. 110 TUIR, ai commi 10 e 11, nella versione ratione temporis applicabile (quindi anteriore alla novella di cui alla l. n. 147/2013), stabilisce che le spese derivanti da operazioni con imprese residenti i paesi a fiscalità privilegiata sono ammesse in deduzione, sempre che abbiano avuto concreta esecuzione, al loro ‘valore normale’ come fissato dall’art. 9 stesso decreto, salvo che le imprese residenti in Italia forniscano la prova che siffatte operazioni rispondono ad un effettivo interesse economico ovvero che le imprese residenti nei paesi a fiscalità privilegiata, con cui esse posero in essere siffatte operazioni, svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva.
Pertanto, al fine della deduzione nei termini di cui al comma 11 occorre(va) la dimostrazione (oltre che dell’effettività dell’operazione) del fatto che l’impresa estera svolgesse un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico (sempre che le stesse hanno avuto concreta esecuzione) (Cass. 30 novembre 2021, n. 37373; in senso conforme, Cass. 28 dicembre 2024, n. 34733).
Sotto il profilo della verifica dell’interesse economico effettivo, occorre «valutare la bontà del risultato imprenditoriale conseguito, sicché occorre tenere conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, e tenendo conto del prezzo stabilito negozialmente, della presenza di costi accessori della fornitura, dei tempi di consegna, dell’esistenza di vincoli contrattuali che
inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella black list o comunque che renderebbero eccessivamente onerosa la transazione con altro fornitore (in tal senso anche la circolare n. 51/2010 dell’Agenzia delle entrate)» (Cass. 6 marzo 2024, n. 6101; in senso conforme, Cass. 28 dicembre 2024). Più in generale occorre la prova che l’operazione con l’impresa nel paese a fiscalità privilegiata risponde ad un interesse economico che non sarebbe possibile soddisfare, ad esempio, con un fornitore residente in altro paese.
Nella specie la Commissione Tributaria Regionale ha colto la ratio della disposizione laddove ha osservato che «il giudice di prime cure avrebbe dovuto esigere la prova dell’effettivo interesse ad intrattenere relazioni commerciali con imprese residenti in paesi a fiscalità privilegiata (…) Interesse che non può essere ricondotto a sole valutazioni di natura fiscale, ma che deve trovare riscontro anche in ulteriori valutazioni economiche riguardanti l’economicità delle relative operazioni».
La CTR si è però sottratta all’esame degli elementi concreti che sono stati portati ai fini della dimostrazione circa la ricorrenza dell’interesse in esame.
Ai fini cioè della corretta sussunzione della fattispecie, occorreva esaminare gli elementi portati dalla parte ricorrente, che ha allegato -per quanto concerne la stipulazione dei contratti di nolo (relativi al trasporto di cereali) e controstallia, la necessità di intermediazione del broker prescelto, che avrebbe consentito un aumento sensibile dell’utile, sottolineando che l’individuazione delle imprese incaricate del nolo stesso era effettuato in autonomia dal broker sulla base di una ricerca sul mercato internazionale, elementi che i ricorrenti supportano con le relative dichiarazioni dei brokers, anch’esse affidate alla valutazione del giudice del merito.
Anche sotto il profilo dell’altro presupposto (alternativo) per l’applicabilità del disposto del comma 11 dell’art. 110 TUIR, la
ricorrente ha fornito elementi che andavano valutati dal giudice del merito, consistenti ad esempio nella documentazione che riguarda l’assunta effettività delle imprese residenti nei paesi a fiscalità privilegiata (e rintracciate come più convenienti dal broker, per come indicato dalla ricorrente), che si dovrebbe trarre anche dal Register of Ships che annota il possesso da parte del noleggiatore delle motonavi che concretamente hanno trasportato i cereali della ricorrente (circostanza quest’ultima che sarebbe riscontrabile dalle fatture in cui è evidenziato appunto il nome dell’imbarcazione).
Orbene, di tutto questo materiale probatorio la CTR non ha fatto alcuna valutazione, per cui sotto tal profilo la sentenza sul punto dev’essere cassata.
2.3. Sotto il profilo invece dell’unica operazione di acquisto di cereali contestata dall’ufficio, gli elementi portati dalla parte ricorrente non risultano pertinenti rispetto alla prova della sussistenza di un interesse economico effettivo o della concreta attività commerciale svolta dall’impresa avente sede nel paese a fiscalità privilegiata.
Sotto il primo profilo, in base alla stessa prospettazione della ricorrente, sono stati prodotte le fatture di acquisto e i relativi prezzi nonché le fatture di rivendita in Algeria, oltre al certificato d’origine dei prodotti ( bill of lading) con attestazione ufficiale della nave incaricata del trasporto, il certificato fitosanitario e i bonifici.
Tali elementi possono essere valutati ai fini dell’effettività dell’operazione, ma non della sussistenza dell’effettivo interesse economico, che naturalmente non può ridursi alla mera economicità dell’operazione, che non contraddistingue solo l’operazione con l’impresa avente sede nel paese a fiscalità privilegiata, ma qualsiasi operazione posta in essere da un’impresa che agisca con il criterio generale dell’economicità. Tali elementi non sono dunque utili ad intercettare quell’interesse ulteriore a porre in essere l’operazione proprio con quell’impresa avente sede
nel paese a fiscalità privilegiata, nel senso che si è già sopra chiarito.
Né vengono allegati elementi per stabilire l’effettività dell’impresa fornitrice, di cui si sa solo che ha sede nelle Isole Vergini (il fatto che abbia ceduto la merce in oggetto non prova la sua prevalente attività economica effettiva, ma appunto solo l’effettività dell’operazione in esame).
3. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione degli artt. 163, D.P.R. n. 917/1986 e 67, D.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 109, D.P.R. n. 917/1986, rilevanti ex art. 360, comma l, n: 3 c.p.c.», si deduce in primis che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale non è condivisibile nella parte in cui afferma che fosse onere della contribuente dimostrare la sussistenza degli elementi che giustificano la deroga al ‘principio di competenza’ relativamente ai costi per prestazioni di fumigazione dei cereali stivati.
Tali costi vennero fatturati nell’anno 2005, e a parere della contribuente in quell’anno andavano imputati, sebbene fosse pacifico che le prestazioni in questione erano state rese nell’anno 2004, e ciò perché il principio di competenza nella specie non sarebbe applicabile, non essendo certo il suddetto costo nel quantum prima dell’emissione della fattura da parte del fornitore del servizio citato.
Deduce, in secondo luogo, la ricorrente che la sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui ha ritenuto che non potessero essere contabilizzate nel 2005 le fatture in acconto per l’acquisto di grano, sull’assunto che la contribuente non avrebbe provato di avere ricevuto la relativa merce nel corso dell’anno. Infatti, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato onere dell’Ufficio fornire la prova che la partita acquistata non era stata altresì consegnata nel 2005.
3.1. Come disposto dall’art. 109 TUIR, le componenti del conto economico d’impresa concorrono a formare il reddito secondo il principio di competenza, in base al quale il reddito si considera prodotto a seconda del momento in cui l’operazione economica è posta in essere, a prescindere da quello dell’effettiva percezione del reddito.
Più in particolare, i corrispettivi si computano a fini fiscali alla data di consegna o di spedizione per la cessione di beni mobili; a quella della stipulazione dell’atto per la cessione di immobili ed a quella in cui le prestazioni sono ultimate in relazione ai contratti di acquisizione di servizi.
Il comma 1 dell’art. 109 peraltro stabilisce altresì che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Il requisito della certezza, in particolare, attiene all’ an e all’effettiva esistenza giuridica del componente reddituale, mentre il requisito della determinabilità attiene al quantum e all’ammontare del suddetto componente.
Tale speciale criterio ‘mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti dell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare, sicché tale regola va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare dette componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi e a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione» (Cass. 25 novembre 2021, n. 36600).
Quanto al relativo onere della prova, incombe sull’Amministrazione finanziaria che, assumendo un’erronea imputazione, pretende una maggiore imposta, dimostrare tali fatti, mentre spetta al
contribuente dimostrare qual sia il diverso anno in cui i costi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare, anche se abbia proceduto alla doppia annotazione dello stesso importo tra le componenti negative (costi) e positive, secondo i criteri di correttezza contabile (Cass. n. 1107 del 2017).
A sostegno di tali principi si è osservato che «le regole sull’imputazione temporale dei componenti positivi o negativi, dettate in via generale dall’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono in effetti inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la imputazione di un ricavo ovvero la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione; né l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 cod. civ., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi o dei ricavi in relazione alla annualità non di competenza (v. Cass. n. 6331 del 10/03/2008; Cass. 27 dicembre 2019, n. 34489).
In conformità a ciò ‘ In tema di imposte sul reddito di impresa, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza al quale vanno temporalmente imputati i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi del reddito, ai sensi dell’art.109 del d.P.R. n. 917 del 1986, deve tenersi conto del momento in cui si verificano le due condizioni della “certezza” in ordine alla sussistenza e della “determinabilità” in ordine all’ammontare, della cui prova è onerata l’amministrazione finanziaria con riguardo ai componenti positivi, e il contribuente con riguardo ai componenti negativi (Cass. 19166/2021).
Alla stregua dei principi richiamati il profilo di censura non è meritevole di accoglimento. La società contribuente ha ammesso
che le prestazioni di fumigazione vennero ultimate nel 2004, ma circa il fatto che esse siano divenute certe e determinabili solo nel 2005 si è limitata a produrre delle fatture. In proposito non si può dire che la CTR abbia omesso di considerare la circostanza, visto che ha indicato come modalità di contabilizzazione quella di annotare ‘fatture da ricevere’. Che poi la determinabilità delle prestazioni sia stata possibile solo con le fatture del marzo 2005 non risulta dimostrato, né la prova dev’essere esclusa in base al principio per cui negativa non sunt probanda, come ritiene la ricorrente, poiché l’assenza di determinabilità ben avrebbe potuto essere dimostrata con fatti positivi contrari quali documenti contrattuali o provenienti dai prestatori dei servizi).
3.2. Il secondo profilo del motivo, corrispondente al terzo motivo d’appello, attiene alla parte della pronuncia che si riferisce alle fatture di acquisto contabilizzate nel 2005, ma in acconto. Sul punto la contribuente eccepisce che la CTR non avrebbe considerato che dal provvedimento impositivo non sarebbe apprezzabile ‘quando, nell’alternativa ricostruzione erariale, le stesse sarebbero state ultimate’.
Sul punto la CTR in effetti si limita a richiamare il criterio generale di imputazione, ma tanto basta, poiché, come detto sopra, per le componenti negative l’onere della prova circa il preciso periodo o esercizio in cui si verifica il presupposto della certezza o determinabilità del costo incombe sul contribuente, che sul punto nulla deduce in effetti, limitandosi ad allegare la natura generica del bene oggetto della transazione (grano).
4. Con il terzo motivo rubricato «Violazione dell’art. 101, comma 5, TUIR, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», la ricorrente censura il capo della decisione con il quale la Commissione Tributaria Regionale ha accolto il motivo di appello, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva lamentato il mancato riconoscimento delle sopravvenienze passive da parte del giudice di primo grado,
ritenendo che sul punto la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale non era condivisibile, visto che: a) dall’esame della documentazione in atti era emerso che solo una parte delle sopravvenienze passive era costituita da importi ‘irrisori’; b) la contribuente non aveva depositato alcuna documentazione riguardante l’attivazione delle procedure di recupero dei crediti vantati nei confronti di clienti esteri.
A parere della ricorrente tali argomentazioni non sarebbero rilevanti in quanto circa l’irrisorietà degli importi, essa doveva essere valutata in rapporto al fatturato, mentre circa la mancata attivazione delle procedure di recupero la deduzione poteva essere riconosciuta anche ove non fosse conveniente affrontare il recupero del credito, se di modesto importo rispetto alle spese legali.
4.1. -Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 101, quinto comma, TUIR, nella versione anteriore alla novella di cui alla l. n. 147/2013, subordina la deducibilità delle perdite su crediti non in base al criterio prudenziale di cui all’art. 2425 -bis, n. 1, cod. civ., bensì in base a quello dell’irrecuperabilità del credito in termini di certezza, ossia in caso di definitiva inesigibilità o irrecuperabilità dello stesso (Cass. 4 maggio 2018, n. 10686).
Pertanto, salvo il caso in cui la perdita in parola non sia correlata all’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale (per il quale invece la norma prevede un’automatica presunzione dei requisiti per la deduzione, cfr. Cass. n.13712/2022), occorre la presenza della perdita stessa in termini di certezza e precisione, sussistenti solo quando il debitore non paghi volontariamente e i crediti non possano essere soddisfatti coattivamente (Cass. 3 ottobre 2018, n. 24012; Cass. 23 dicembre 2014, n. 27296).
In particolare, ove la perdita derivi da rinuncia al credito, occorre che l’atto unilaterale di rinuncia (come anche la transazione) sia giustificato da una effettiva irrecuperabilità del credito (Cass. n.
37174/2021), poiché, diversamente, rientrerebbe negli atti di liberalità indeducibili ai fini fiscali (Cass. 20 aprile 2016, n. 7860; Cass. 27 aprile 2018, n. 10211; Cass. 22 novembre 2018, n. 30224).
Nella specie la sentenza impugnata si è adeguata a tali principi avendo escluso la deducibilità delle sopravvenienze passive oggetto del giudizio per non avere la contribuente assolto all’onere di dimostrare l’attivazione delle opportune procedure di recupero e la oggettiva irrecuperabilità dei crediti nei termini sopra indicati.
5. -Con il quarto motivo di ricorso, rubricato «Violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 39, comma l, lett. d), D.P.R. n. 600/73, rilevante ex art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.», la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato l’avviso di accertamento n. TYQ07D500314/2011 relativo all’omesso versamento di ritenute alla fonte sugli utili accertati e presuntivamente distribuiti, venendo in rilievo la presunzione di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, essendo RAGIONE_SOCIALE una società di capitali a ristretta base azionaria. Sostiene la ricorrente che le argomentazioni addotte dalla Commissione Tributaria Regionale non siano condivisibili, sia perché l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe dimostrato che la contribuente fosse una società a ristretta base azionaria, sia perché la presunzione di distribuzione degli utili dovrebbe ritenersi superata dalle considerazioni svolte dalla ricorrente nel ricorso introduttivo, con il quale essa aveva impugnato il suddetto avviso di accertamento rilevando che le contestazioni dell’Ufficio riguardavano, in realtà, non proventi positivi non dichiarati o proventi negativi sovraesposti, ma bensì costi pacificamente sostenuti e regolarmente corrisposti al fornitore estero.
5.1. Il motivo è ammissibile nella misura in cui dalla parte in fatto del ricorso emerge come l’avviso di accertamento attenga all’omesso versamento delle ritenute sugli utili extracontabili
derivanti dalle due riprese oggetto dei motivi precedenti. Esso non è peraltro fondato, poiché con il medesimo si contesta la natura di società a ristretta base azionaria. La contestazione, a differenza di quanto asserito dalla CTR, era presente nell’atto di appello e si basava su alcuni elementi consistenti a) nella natura di società per azioni; b) nell’assenza di legami fra i soci.
Sotto il primo profilo risulta la piena compatibilità fra la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili e la forma di s.p.a. (cfr. Cass. 18032/2013), mentre non è certo presupposto per l’applicazione della suddetta presunzione la presenza fra i soci di rapporti di parentela, in quanto la ‘ristrettezza’ della base sociale implica di per sè un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio (Cass. n. 24572/14), derivante appunto dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, il che non presuppone necessariamente un legame di parentela.
Dunque, pur con diversa motivazione, la sentenza sul punto non dev’essere cassata.
Nella parte in cui invece il motivo si richiama all’infondatezza della ripresa in ragione dell’insussistenza di utile extrabilancio, lo stesso risulta assorbito da quanto discende dall’accoglimento parziale del primo motivo e dal rigetto dei motivi secondo e terzo.
6. -Con il quinto motivo, rubricato «Error in procedendo. Violazione dell’art. 112, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 4», la ricorrente deduce che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi pronunciata sull’eccezione relativa all’ingiustificata maggiorazione delle sanzioni in materia di IVA, riproposta nel giudizio di secondo grado per contrastare l’appello erariale in punto di sanzioni.
6.1. Il motivo è fondato.
In effetti la ricorrente aveva insistito sia in primo grado che con l’atto di costituzione in appello in ordine al fatto che a pag. 6 dell’accertamento l’ufficio aveva applicato l’aumento alla sanzione in materia di violazione i.v.a. e d’altronde il fatto che l’ufficio non avesse in realtà effettuato recuperi a tassazione a fini i.v.a.
Orbene nulla di tutto ciò viene minimamente trattato nella sentenza d’appello, pur costituendo l’oggetto del motivo parte del provvedimento amministrativo impugnato.
7.Venendo al ricorso proposto dal socio COGNOME, con il primo motivo rubricato «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53, D. Lgs. n. 546/1992, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.», il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’appello ammissibile, «in quanto se pur succintamente, è motivato con riferimento alle doglianze mosse nei riguardi della società RAGIONE_SOCIALE, a cui la posizione dell’odierno appellato è connessa». Sostiene a riguardo il ricorrente che tale affermazione non è condivisibile perché benché la sentenza di primo grado abbia annullato l’avviso di accertamento notificato in qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE¸ essendo stato annullato in separato giudizio l’avviso di accertamento notificato alla predetta società, «l’avviso notificato al socio era da ritenersi necessario corollario» dell’avviso notificato alla società, ritenuto illegittimo; l’Agenzia con l’appello ha impugnato la sentenza di primo grado limitandosi ad argomentare solo sulla questione riguardante la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili, benché ritenuta assorbita dalla pronuncia gravata, senza attinenza con l’unica ratio decidendi posta a fondamento della sentenza della CTP, violando così le previsioni dell’art. 53 d.lgs n. 546/92 per difetto di specificità dei motivi.
Dall’atto d’appello si evince che l’Agenzia ha inteso impugnare la sentenza di primo grado non solo per ragioni di merito ma anche per questioni di rito legate alla ratio decidendi posta a fondamento
della decisione gravata. La difesa erariale ha, infatti, sostenuto nell’atto di appello che il giudice di primo grado, invece di annullare per invalidità derivata l’avviso di accertamento, avrebbe dovuto sospendere il giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. avendo l’Amministrazione Finanziaria proposto appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale contro la sentenza con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento presupposto. Sulla scorta di tale considerazione, l’Agenzia delle Entrate ha chiesto alla Commissione Tributaria Regionale con l’atto di appello di emendare l’errore e di sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., dipendendo l’esito del processo dal definitivo accertamento, in sede giudiziale, della legittimità dell’avviso di accertamento presupposto.
L’appello quindi attingeva anche alla ratio della prima decisione per cui l’avviso impugnato andava annullato in quanto, in separato giudizio, l’avviso di accertamento notificato alla società -presupposto della ripresa a tassazione degli utili -era stato a sua volta annullato, e pertanto la CTR non doveva dichiarare l’inammissibilità dell’appello stesso.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 329, comma 2, c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.», il contribuente sostiene che la sentenza impugnata è errata nella parte in cui ha esaminato nel merito la fondatezza delle doglianze prospettate dall’Amministrazione Finanziaria nell’atto di appello, posto che la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato per acquiescenza, non avendo l’Ufficio impugnato l’unica ratio decidendi posta a suo fondamento.
8.1. Il motivo è assorbito dalle considerazioni di cui al motivo che precede.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 36,
comma 2, n. 4, D. Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.», il contribuente censura la sentenza impugnata sostenendo che la stessa si fonderebbe su una motivazione apparente nella parte in cui vi si afferma «che già questa Commissione Regionale, in diversa composizione, con sentenza del 25.07.2016 ha accolto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza n. 91/2013 della Commissione Provinciale Tributaria di Caltanissetta, che aveva deciso sull’avviso notificato alla società dichiarandone la sua legittimità. Ritenuto che la posizione del socio RAGIONE_SOCIALE è strettamente collegata a quella societaria, in considerazione del fatto che l’avviso a lui notificato è consequenziale a quello notificato alla società, questa Commissione ritiene erronea la sentenza impugnata emessa nei suoi confronti». Ad avviso del ricorrente il rinvio alla sentenza emessa sull’appello proposto contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale n. 91/2013 contenuto nella sentenza impugnata integra una motivazione irrazionale e perplessa, con conseguente violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per un duplice ordine di ragioni. Rileva a riguardo il ricorrente che: a) è incomprensibile il rinvio ad una sentenza resa il 25 luglio 2016 contenuto nella sentenza oggetto del presente processo, visto che quest’ultima è stata pronunciata in data precedente (11 luglio 2016); b) il richiamo alla sentenza pronunciata sull’appello proposto contro la sentenza n. 91/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta non è logico e razionale, in quanto il relativo contenzioso riguardava la posizione della società contribuente per l’annualità 2006, mentre il presente giudizio riguarda l’anno di imposta 2005.
9.1. Il motivo di ricorso in esame è inammissibile per carenza di interesse a impugnare, in quanto il rinvio alla richiamata sentenza della CTR del 25 luglio 2016 non costituisce una ratio decidendi della decisione.
Infatti la CTR affronta il merito della questione e non si affida per la motivazione ad un mero richiamo, ma semplicemente intende -obiettivamente senza alcuna necessità -condividere quanto espresso dall’altra pronuncia, fermo restando che procede ad un’autonoma motivazione.
Ciò è anche dimostrato dal fatto che, dopo aver fatto il riferimento all’altra sentenza che confermava la ripresa, introduce la propria motivazione con l’avverbio ‘invero’.
10. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», il contribuente deduce che la sentenza impugnata va censurata per non avere la Commissione Tributaria Regionale disposto la sospensione necessaria del processo, pur essendo, alla data della relativa pronuncia, ancora pendente il processo riguardante l’avviso di accertamento presupposto n. TYQ03D501952/2010, emesso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in materia di IRES e IRAP per l’anno 2005. Deduce a riguardo lo stesso che l’avviso di accertamento da ultimo citato era stato parzialmente annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta con sentenza n. 89/03/13, riformata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia con sentenza n. 2990/21/16 del 25 luglio 2016, depositata il 30 agosto 2016, che non era ancora stata emessa alla data della pronuncia della sentenza impugnata e che è stata, poi, nei termini impugnata dalla società con ricorso per cassazione iscritto al r.g. n. 4590/17, non ancora definito alla data di proposizione del ricorso in esame. Conseguentemente, a suo avviso, la sentenza impugnata deve essere cassata, perché la Commissione Tributaria Regionale, invece di decidere sui motivi di appello proposti dall’Agenzia delle Entrate, avrebbe dovuto sospendere il processo ex art. 295 cod. proc. civ.
10.1. Costituisce principio consolidato quello per cui l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, in
ipotesi come quelle riferibili alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano. Tuttavia, solo l’annullamento dell’accertamento societario con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari (Cass. n. 752 del 2021 cit.). Ciò posto, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’appellato, nel costituirsi in giudizio, aveva eccepito l’illegittimità derivata dell’accertamento impugnato e che la Commissione Tributaria Regionale era a conoscenza del fatto che il relativo giudizio ancora non si era concluso con sentenza passata in giudicato, avendo il predetto giudice del gravame ivi evidenziato che il giudizio iscritto al r.g. a. 18460/2013, riguardante l’avviso di accertamento presupposto, era stato deciso dalla Commissione Regionale con sentenza n. 2991/21/2018 pronunciata il 25 luglio 2016, depositata il successivo 30 agosto.
La sentenza impugnata, discostandosi dai principi sopra riportati, ha invece deciso la controversia, appunto nonostante la pendenza del giudizio inerente al pregiudiziale accertamento nei riguardi della società.
Proprio ciò costituisce l’essenza della censura proposta col primo mezzo, indipendentemente dal fatto che in sede d’appello fosse o meno possibile procedersi al potere di sospensione di cui all’art. 295 cod. proc. civ. (piuttosto che quello di cui all’art. 337 stesso codice)
Tuttavia, il coordinamento delle decisioni relative alle impugnazioni degli avvisi di accertamento notificati alla società e al suo socio è avvenuto dinanzi a questa Corte con la riunione dei rispettivi
giudizi, con la conseguenza che l’art. 295 c.p.c. ha perso ogni rilievo, per cui il motivo risulta inammissibile.
11. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.», il contribuente deduce che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., per avere deciso su tre motivi di appello, vertenti, rispettivamente sulla indeducibilità dei costi sostenuti in favore di soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata (primo motivo), sul mancato riconoscimento delle sopravvenienze passive (secondo motivo) e sull’illegittimità dell’avviso di accertamento n. TYQ03D50014/2011, afferente l’omesso versamento di ritenute alla fonte sugli utili accertati ritenuti distribuiti ai soci, rilevando che tali doglianze non si rinvengono nell’atto di appello proposto dall’Agenzia.
12. Con il sesto motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/73, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», B.G.M.O. censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili prodotti dalla società contribuente, trattandosi di società a ristretta base azionaria, stante l’applicabilità dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo né i soci, né la società, addotto argomenti di prova idonei a vincere la suddetta presunzione.
13. Con il settimo motivo di ricorso, rubricato «Error in procedendo. Violazione dell’art. 112, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4», il ricorrente censura la sentenza impugnata, deducendo che la Commissione Tributaria Regionale, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., non si è pronunciata sull’eccezione
relativa all’ingiustificata maggiorazione delle sanzioni dal medesimo reiterata nel giudizio di appello.
14. I surriferiti motivi quinto, sesto e settimo proposti dal COGNOME sono assorbiti dall’accoglimento del ricorso della società nei limiti che si sono indicati, e contemporaneamente dal rigetto degli altri motivi proposti dalla stessa.
Con l’ottavo motivo di ricorso, rubricato «Effetti dell’esistenza di giudicato esterno», si sostiene, infine, che la sentenza impugnata deve essere cassata, essendosi formato il giudicato esterno avente a oggetto la posizione giuridica del socio L.T., perfettamente analoga a quella del ricorrente, relativamente all’annualità 2006, avendo la Commissione Tributaria Regionale di Potenza accertato, con sentenza depositata in data 31 ottobre 2014, passata in giudicato, l’infondatezza dell’avviso di accertamento relativo alla predetta L.T. s.r.l. per il suddetto anno di imposta 2006. L’esame dei suddetti motivi di ricorso è assorbito dalla ritenuta fondatezza del quarto motivo di ricorso.
15.1. Il motivo è infondato poiché non sussistono i presupposti per la l’estensione del giudicato, mancando anzitutto il requisito dell’identità soggettiva delle parti del giudizio.
16. In definitiva il ricorso della società dev’essere accolto, limitatamente ai motivi primo, in parte qua , e quinto, parzialmente assorbito il quarto e respinti gli altri; mentre i motivi del ricorso del socio COGNOME vanno respinti quanto al primo, al terzo ed all’ottavo, inammissibile il quarto ed assorbiti gli altri. Le sentenze impugnate vanno quindi cassate con rinvio al giudice d’appello, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento dei motivi primo, in parte qua , e del quinto, parzialmente assorbito il quarto e respinti gli altri motivi del ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE; inammissibile il quarto e
respinti il primo, il terzo e l’ottavo, ed assorbiti gli altri motivi del ricorso proposto da COGNOME, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà a decidere la controversia conformandosi ai principi qui affermati e altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025