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Costi black list: la prova per la deducibilità fiscale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13115/2024, ha rigettato il ricorso di una società in merito alla deducibilità dei costi black list per importazioni da Hong Kong. La Corte ha ribadito che per vincere la presunzione di indeducibilità, l’impresa deve fornire una prova rigorosa sia dell’effettiva operatività commerciale del fornitore estero, sia del concreto interesse economico dell’operazione, non essendo sufficiente il solo basso costo della merce.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Costi Black List: Come Dimostrare la Deducibilità Fiscale

L’ordinanza n. 13115/2024 della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale per le imprese che operano a livello internazionale: la deducibilità dei costi black list. Questa pronuncia conferma il rigido onere probatorio a carico del contribuente che intende dedurre le spese derivanti da operazioni commerciali con entità situate in Paesi a fiscalità privilegiata. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il Caso: Importazioni da un Paese a Fiscalità Privilegiata

Una società italiana, attiva nel settore calzaturiero, aveva ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2013. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’indeducibilità dei costi sostenuti per l’importazione di merci da Hong Kong, un territorio all’epoca inserito nelle cosiddette ‘black list’.

La società si era opposta, sostenendo di aver importato la merce a costi molto competitivi, di averla regolarmente sdoganata e di averla rivenduta all’ingrosso in Italia. A suo avviso, questi elementi dimostravano sia l’effettività delle operazioni sia il concreto interesse economico. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione al Fisco, ritenendo la prova fornita insufficiente.

La Questione Giuridica sui Costi da Paesi Black List

La normativa di riferimento all’epoca dei fatti (art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. 917/1986) stabiliva una presunzione di indeducibilità per i costi derivanti da transazioni con imprese residenti in Stati a fiscalità privilegiata. Per superare questa presunzione, il contribuente italiano era tenuto a fornire una duplice prova:

1. L’effettiva attività commerciale: dimostrare che l’impresa estera non è una mera ‘scatola vuota’, ma svolge una reale e concreta attività economica.
2. Il concreto interesse economico: provare che le operazioni commerciali rispondono a un effettivo interesse economico per l’impresa e non mirano solo a un risparmio fiscale.

La società ricorrente sosteneva che il basso costo d’acquisto delle calzature e il regolare sdoganamento fossero prove sufficienti a soddisfare entrambi i requisiti. La Corte di Cassazione, però, è stata di diverso avviso.

La Decisione della Corte: l’Onere della Prova sui Costi Black List

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando un orientamento giurisprudenziale molto rigoroso in materia di costi black list.

Le motivazioni

I giudici hanno chiarito che, per dimostrare l’effettiva operatività di un’impresa estera, non basta produrre l’atto costitutivo o il bilancio. È necessario fornire prove concrete come contratti di locazione degli immobili dove si svolge l’attività, fatture delle utenze, contratti di lavoro dei dipendenti ed estratti conto bancari. In sostanza, bisogna dimostrare che l’azienda straniera ha una struttura e un’organizzazione reale.

Per quanto riguarda il secondo requisito, l’interesse economico, la Corte ha specificato che il solo basso costo della merce non è una prova sufficiente. Questo perché Paesi a basso costo di produzione esistono anche al di fuori delle black list (la Corte cita la Cina stessa). Il contribuente deve dimostrare un vantaggio complessivo, che può includere la qualità dei prodotti, la tempestività delle consegne e una comparazione concreta con le offerte di fornitori situati in Paesi non privilegiati. La sentenza impugnata aveva correttamente applicato questi principi, compiendo un accertamento in fatto che non può essere messo in discussione in sede di legittimità.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce che la disciplina antielusiva sui costi black list impone al contribuente un onere della prova particolarmente gravoso. Le imprese devono essere in grado di documentare in modo dettagliato e inequivocabile non solo la convenienza economica, ma soprattutto la reale sostanza commerciale delle loro controparti estere situate in paradisi fiscali. L’approccio ‘formale’ basato sulla sola prova dell’avvenuta importazione è del tutto inadeguato a superare la presunzione di indeducibilità voluta dal legislatore.

È sufficiente dimostrare che la merce proveniente da un paese in ‘black list’ è stata regolarmente importata per dedurne i costi?
No, secondo la Corte di Cassazione la semplice prova dell’importazione e dello sdoganamento delle merci non è sufficiente a superare la presunzione di indeducibilità dei costi.

Quali prove deve fornire un’impresa per dedurre i costi di operazioni con fornitori in Paesi ‘black list’?
L’impresa deve fornire una duplice prova: 1) che l’impresa estera svolge un’effettiva attività commerciale, documentandola con atti costitutivi, bilanci, contratti d’affitto, fatture di utenze, contratti di lavoro, ecc.; 2) che le operazioni rispondono a un concreto interesse economico, dimostrando vantaggi complessivi che vanno oltre il mero basso costo (es. qualità, tempi di consegna) rispetto ad alternative in mercati non privilegiati.

Il basso costo della merce è una prova sufficiente a dimostrare l’interesse economico dell’operazione?
No. La Corte ha specificato che il basso costo non è, da solo, una prova sufficiente, in quanto tale condizione potrebbe essere offerta anche da fornitori di Paesi non inseriti nelle ‘black list’. L’interesse economico deve essere valutato in un’ottica più ampia e complessiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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