Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3290 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO IRES, IVA E IRAP 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21725/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in Attività Finanziaria in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, da ll’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO Pieve di Cadore INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-intimata –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA – NAPOLI n. 1499/39/2016, depositata in data 19/2/2016;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 28 novembre 2024;
Fatti di causa
La RAGIONE_SOCIALE Agenzia in Attività Finanziaria in Liquidazione (d’ora in poi, anche ‘la società’ o ‘la contribuente’ ) fu sottoposta a una verifica fiscale in relazione all’anno d’imposta 2009, verifica ultimata con la consegna del processo verbale di constatazione in data 24/10/2012.
In sede di verifica, in relazione all’anno 2009, i verificatori rilevarono che con riferimento al conto n. 08071013 intestato ad un fornitore, la contribuente rilevò nel conto economico un costo di euro 38.957,28 per compenso di intermediazione, mentre nell’anno 2010 venne rilevata in contabilità una fattura da ricevere in relazione alla stessa attività di intermediazione per l’importo di euro 6.492,88 : la parte non spiegò la differenza di importi, con il conseguente recupero a tassazione di tale differenza.
Con riferimento al conto n. 52060005, relativo a spese di cancelleria e stampanti, la contribuente riportò un costo, per il 2009, di più di 11.000 euro, ritenuto dai verificatori indeducibile in quanto non inerente.
Con riferimento alle provvigioni per intermediazione, nel 2009 risultavano fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE ed imputati al conto economico della odierna contribuente dei servizi di intermediazione finanziaria forniti per un imponibile totale di più di 108.000 euro, mentre la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE aveva fatturato operazioni imputate al conto economico della stessa odierna contribuente per un imponibile pari ad euro 59.761.
Il totale delle operazioni dei due fornitori risultava pari al 51% dei costi registrati come ‘provvigioni per intermediazione’ imputati al 2009, al netto del recupero fiscale già determinato per le fatture da ricevere.
I verbalizzanti, sul presupposto che i due citati fornitori fossero parti correlate alla odierna contribuente per quote detenute da NOME COGNOME, anche amministratore di RAGIONE_SOCIALE, pari al 10% nella RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e del 50% da COGNOME NOME, socio di RAGIONE_SOCIALE, disconobbero l’integrale deducibilità dei detti costi e la riconobbero solo in relazione ad una quota parte, ritenendo i costi per intermediazione della odierna contribuente gonfiati in seguito ad una pianificazione fiscale coinvolgente le parti correlate e mirante ad una elusione di imposte.
Instauratosi un contraddittorio solo cartolare, l’Agenzia delle Entrate notificò un avviso di accertamento per la ripresa delle imposte asseritamente dovute.
L’odierna contribuente presentò all’Ufficio un’istanza di autotutela, con cui, dopo aver ribadito le osservazioni già presentate con la memoria del 21 dicembre 2012, chiese il riesame dell’avviso di accertamento.
Non essendo stato dato nessun riscontro dall’Ufficio, e non andata a buon fine un’istanza di accertamento con adesione, la contribuente propose ricorso contro l’avviso di accertamento dinanzi alla C.T.P. di Napoli che, nel contraddittorio con l’Ufficio, accolse in parte il ricorso ,
annullando l’accertamento nella parte in cui erano state riprese a tassazione le spese per cancelleria e stampanti per più di euro 11.000.
Avverso la sentenza di primo grado, la contribuente propose appello dinanzi alla C.T.R. della Campania, che nel contraddittorio con l’Ufficio confermò la decisione di prime cure.
Avverso la sentenza d’appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate non ha depositato controricorso, ma solo un atto di costituzione al fine di ricevere l’avviso di fissazione dell’eventuale udienza pubblica.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Illegittimità/Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992, 112 c.p.c. , nonché dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata per motivazione apparente. Il motivo si appunta sulla efficacia fidefacente attribuita al processo verbale di constatazione. Contesta anche la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
Sarebbe apparente anche la motivazione della sentenza impugnata con riferimento al parziale disconoscimento di costi per provvigioni.
1.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata è corredata da una parte motiva sufficiente a far comprendere le ragioni della decisione.
Peraltro, la contribuente non spiega per quale ragione sarebbe immotivato il rigetto della censura di violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000: il contraddittorio preventivo è stato garantito alla società, che ha anche presentato memoria.
Coglie, peraltro, nel segno la C.T.R. quando osserva che, una volta che sia stato garantito il contraddittorio preventivo cartolare di cui all’art.
12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, non esiste in capo all’amministrazione alcun obbligo di motivazione rafforzata .
La contestazione dell’efficacia fidefacente del processo verbale di constatazione, inoltre, non è concludente, perché mira sostanzialmente a mettere in dubbio la ricostruzione di fatto operata dal giudice di appello, che ha sufficientemente motivato la sua decisione.
2.Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità/illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2699 e 2700 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha statuito che ‘il processo verbale di constatazione, redatto al termine di un controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 c.c., di conseguenza occorre proporre una querela di falso per contestarne la veridicità essendo atto istruttorio non autonomamente impugnabile’ .
Deduce la contribuente che i rapporti e i verbali della polizia giudiziaria fanno fede fino a querela di falso per i fatti che il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuto o constatato, mentre per ciò che attiene alle altre circostanze di cui lo stesso pubblico ufficiale ha avuto notizia da altre persone i suindicati rapporti forniscono pur sempre al Giudice un materiale indiziario utilizzabile, se non superato da prova contraria.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Esso manca di concludenza, in quanto non si traduce in una censura relativa al come il giudice di appello abbia ricostruito i fatti materiali rilevanti ai fini dell’avviso di accertamento o alla norma di legge nella quale quei fatti siano stati sussunti. In altre parole, quand’anche fosse fondata la doglianza relativa all’estensione dell’efficacia fidefacente del processo verbale di constatazione, non è spiegato nel motivo quale sia, nel caso di specie, il thema probandum rispetto al quale al pvc sia stata attribuita indebitamente una efficacia fidefacente, né come
l’attribuzione di una ‘eccessiva’ efficacia fidefacente del processo verbale di constatazione abbia ‘inquinato’ la ricostruzione del fatto operata dal giudice d’appello o l’applicazione delle norme tributarie relative al caso di specie.
3.Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità/Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, nonché dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata per non aver considerato che dopo aver inoltrato la memoria difensiva ex art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, essa non era stata convocata, né aveva ricevuto risposta dall’ufficio. L’avviso di accertamento, infatti, non conterrebbe alcun cenno alle osservazioni svolte dalla parte con la memoria, con la conseguenza che esso sarebbe immotivato.
Il contraddittorio che si instaura con l’accertamento con adesione non sarebbe idoneo a recuperare le carenze del contraddittorio verificatesi a monte del procedimento amministrativo sfociato nell’avviso di accertamento.
3.1. Il motivo è infondato.
La sequenza procedimentale di cui all’art. 12, comma 7 , della legge n. 212 del 2000 è stata rispettata dall’amministrazione, né si può ritenere, come pretende la contribuente, che l’avviso di accertamento è nullo se non motiva espressamente sulle osservazioni contenute nelle memorie inviate ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12343 del 07/05/2024, Rv. 670941 – 01). Ciò che rileva è che l’avviso di accertamento contenga una motivazione, per evitare la nullità.
Che la motivazione sia fondata su fatti correttamente accertati, è questione di merito, e rientra nel monopolio dei giudici di primo e
secondo grado che dispongono di tutti i poteri istruttori predisposti dalla legge.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità/Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109, commi 1, 2 e 5 del Tuir, nonché degli artt. 9 e 21 d.P.R. n. 633/72 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’ , la contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto indeducibile il costo di più di 32.000 euro consistenti in ‘fatture da ricevere’ dal fornitore ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
In particolare, contesta il giudizio di mancata documentazione del costo di euro 32.464,40 appostato nel conto economico, secondo il criterio di competenza, nel 2009, ma del quale non risulterebbe il pagamento nel corso dell’esercizio successivo.
Deduce la contribuente che l’Agenzia delle Entrate, pretendendo il riscontro della movimentazione finanziaria in uscita nell’esercizio successivo, avrebbe violato il principio di competenza.
4.1. Il motivo è infondato.
Il giudizio in esito al quale la C.T.R. perviene a ritenere non deducibile, in gran parte, il costo appostato nel conto economico dell’esercizio 2009, è un giudizio fondato sulla assenza di documentazione relativa alla veridicità di quel costo, e dunque si risolve in un giudizio di fatto, che in questa sede non può essere sovvertito.
In altri termini, la C.T.R. ha inteso dire che i verificatori non hanno trovato tracce dell’esistenza dell’intero costo appostato nel conto economico dell’esercizio 2009, visto che nell’esercizio successivo è stata rinvenuta documentazione relativa al pagamento di soli euro 6.492,88.
Sarebbe stato, allora, onere della contribuente dimostrare che quel costo di complessivi euro 38.957,28, imputato all’esercizio 2009, era
interamente reale e veritiero, non comprendendosi perché di gran parte di quella somma non risulti il pagamento.
4.2. Sotto un diverso profilo, la contribuente censura la sentenza impugnata per violazione di norme di legge, specificamente degli artt. 2697 c.c., 109, commi 1, 2 e 5 Tuir, 19 e 21 d.P.R. n. 633 del 1972, nella parte in cui ha avallato il disconoscimento di costi per attività di intermediazione svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE e dalla ditta individuale COGNOME Antonio.
In particolare, i compensi corrisposti a tali soggetti, parti correlate della odierna contribuente, sarebbero stati antieconomici, considerando il fatturato della contribuente e i compensi pagati ad altri intermediari, e l’odierna ricorrente non avrebbe offerto la prova che il pagamento delle provvigioni di quella entità non fosse un comportamento antieconomico.
La contribuente censura la violazione del principio dell’inerenza, che consente la deduzione dei costi sostenuti per la produzione del reddito; contesta il giudizio di antieconomicità dei costi sostenuti, che non poggerebbe su elementi certi e censura la ritenuta indetraibilità dell’iva pagata ai fornitori parti correlate, che sarebbe stata ammissibile solo in presenza di comportamenti macroscopicamente antieconomici.
4.2.1. Il secondo profilo del motivo in esame è infondato.
La C.T.R. ha avallato il giudizio di antieconomicità del comportamento economico (con riferimento ad alcuni costi sostenuti) espresso dall’Agenzia delle Entrate, fonda ndolo su plurimi elementi di fatto (natura di parti correlate in capo ai due soggetti fornitori di servizi di intermediazione, entità delle provvigioni corrisposte rispetto alla media delle provvigioni corrisposte agli altri intermediari ; rapporto tra l’entità delle provvigioni corrisposte e il fatturato globale della contribuente), e pervenendo a conclusioni di merito che non possono essere oggetto di riconsiderazione in questa sede di legittimità.
Quanto all’inerenza, si deve rilevare che l’antieconomicità è, per giurisprudenza di questa Corte, un fattore che rende i costi, o una parte dei costi, non inerenti (Cass., sez. 5, n. 33568/2022; Cass., sez. 5, n. 19232/2024; Cass., sez. 5, n. 27961/2021).
Lo stesso giudizio di antieconomicità di una quota di costi per intermediazione finanziaria, cui è pervenuta la C.T.R., inoltre, giustifica la ritenuta indetraibilità dell’iva (Cass., Sez. 5, n. 27961 del 14/10/2021; Cass., Sez. 5, n. 10422 del 19/04/ 2023 e giurisprudenza ivi citata; Cassazione, Sez. V, n. 16873 del 19/06/2024).
L’articolato e motivato apprezzamento di fatto circa l’antieconomicità manifesta assume, nella valutazione di merito, rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva. Ed invero la C.T.R. ha anche accertato in fatto che mancava la prova certa di una determinazione contrattuale dei servizi resi e dei relativi compensi, con conseguente carenza della certezza e della determinazione dei costi in questione.
5. Il ricorso è rigettato.
Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle Entrate esime il Collegio dal provvedere sulle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2024.