Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16873 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16873 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/06/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 2499/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dei primi due, come da procura speciale allegata al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1100/01/2015, depositata il 15.06.2015.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTP di Massa Carrara accoglieva, nel merito, il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (in breve CSP) avverso l ‘avviso di accertamento , per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno 2009, con il quale erano stati disconosciuti costi, costituiti da una quota dei canoni corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE per la locazione di un immobile, ritenuti indeducibili per difetto di inerenza , annullando l’atto impugnato, ma rigettando l’eccezione preliminare proposta dalla contribuente in relazione alla violazione del principio del contraddittorio preventivo ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e rigettava quello incidentale proposto dalla contribuente, osservando che:
la contribuente pagava alla RAGIONE_SOCIALE il canone per il subaffitto di una parte dell’immobile in relazione al quale la prima società aveva stipulato, a sua volta, un contratto di leasing con la società RAGIONE_SOCIALE;
sia la CEP che la CSP avevano la sede legale in detto immobile e appartenevano ‘allo stesso centro di interessi’, in quanto uno dei soci della CSP, tale NOME COGNOME, era anche socio della CEP, mentre un altro socio della CSP era legato da rapporti di parentela con due dei soci della CEP;
la predetta spesa era antieconomica e sproporzionata, dato che l’ammontare annuo dei canoni pagati dalla CSP (pari ad € 252.000,00) era superiore non solo a quello corrisposto dalla CEP per l’intero immobile (pari ad € 204.048,00), ma anche ai prezzi di affitto al metro quadro, stabiliti dalla CEP nei confronti di altri soggetti;
-l’Ufficio aveva, dunque, recuperato a tassazione l’importo di € 102.000,00, corrispondente alla quota dei canoni, ritenuta non inerente, perché antieconomica;
il contratto di sublocazione era stato sottoscritto senza considerare i valori di mercato, ma a seguito di una precisa ‘pianificazione fiscale’, come risultava confermato dal fatto che in circa 4 anni erano stati risolti ben tre contratti di locazione, senza alcuna motivazione, aventi ciascuno la durata di 6 anni, e stipulati nuovi contratti che prevedevano una diversa corresponsione del canone; inoltre, la RAGIONE_SOCIALE, società immobiliare di gestione, aveva aumentato i propri ricavi tipici, senza effetto sull’IRES, per effetto dei canoni percepiti dalla CSP, in quanto venivano annullati dai correlati canoni di leasing, con conseguente aumento del ROL e un più alto limite di deducibilità cui parametrare gli interessi passivi relativi al leasing;
-prive di pregio erano le osservazioni dell’appellata con riferimento al canone di leasing anticipato e al maxi canone finale, pari a circa € 810.000,00, in quanto detto importo, suddiviso per il periodo di 15 anni, determinava un maggior costo annuale di € 60.700,00 circa, portando il canone di leasing annuale ad € 264.748,00 circa, che restava sempre più basso rispetto al canone pagato dalla CSP, considerata la minore superficie locata da quest’ultima società rispetto all’intero immobile concesso in leasing alla CEP;
-l’eccezione riproposta dalla contribuente con l’appello incidentale, per il mancato rispetto da parte dell’Ufficio del termine dilatorio, in violazione dell’art. 7, comma 12, della l. n. 212 del 2000, era infondata, in quanto si trattava di un’attività di controllo svolta presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, a conclusione della quale non veniva rilasciato il PVC, ma solo un verbale di chiusura della verifica documentale;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
-l’RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la società deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, 6 della CEDU, 117, comma 1, Cost. e 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere non applicabile nel caso in esame il termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, non essendo stato riconosciuto neppure il diritto al contraddittorio preventivo, sebbene la ripresa riguardasse anche i tributi armonizzati e la fattispecie fosse stata qualificata come ‘pianificazione fiscale illecita’ , essendosi ravvisata, quindi, una fattispecie di abuso del diritto, con conseguente applicazione dell’ art. 37 -bis , comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973;
il motivo è infondato;
come ha in più occasioni affermato questa Corte, l’ambito di applicabilità dei diritti e RAGIONE_SOCIALE garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, stabiliti dall’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente, postula, a norma del 1° comma della norma, lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente ( ex plurimis , Cass. 4.04.2014, n. 7957);
-da ciò discende che la disciplina prevista dall’art. 12 cit. – ed in particolare l’obbligo di redazione del processo verbale di constatazione e il rispetto del termine dilatorio all’azione di accertamento -non si applica ai controlli effettuati dall’Amministrazione finanziaria – come nel caso in esame – nella
propria sede (c.d. controllo a tavolino), in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente ( ex plurimis , Cass. 5.11.2020, n. 24793);
occorre poi ribadire che nei casi di accertamento c.d. a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto impositivo, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U, n. 24823 del 9.12.2015);
nella specie, versandosi in presenza di accertamento effettuato presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, quindi, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale rispetto ai tributi non armonizzati oggetto di ripresa;
-per quanto riguarda l’IVA, invece, occorre premettere che, poiché per le modalità di svolgimento del contraddittorio non viene prescritta alcuna forma vincolata, va ribadito il principio, secondo il quale è sufficiente (e necessario) che detto contraddittorio, quando previsto, ‘si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obiettivo’ (Cass. 19.07.2021, n. 20436);
nella specie, risulta che alla contribuente era stato inviato un invito con la richiesta di esibizione di documentazione, proprio al fine di
verificare la regolarità della sua posizione contabile e fiscale, e che in occasione del deposito di tali documenti erano stati redatti i relativi verbali di consegna;
il contatto instaurato con la contribuente in tale occasione era sicuramente idoneo ad essere qualificato quale contraddittorio endoprocedimentale;
la censura difetta in ogni caso di specificità, laddove ipotizza la sussistenza dell’abuso del diritto ex art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non essendo stata riprodotta nel testo del ricorso la parte dell’atto impositivo che avrebbe rilevato detta fattispecie con riferimento alla posizione fiscale della contribuente, certamente non ricavabile dalla mera contestazione di una ‘pianificazione fiscale’, correlata, piuttosto, alla mancanza di inerenza dei costi ritenuti indeducibili;
con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 del TUIR, 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR correttamente apprezzato le risultanze istruttorie, avendo la contribuente dimostrato l’economicità e, quindi, l’inerenza de l costo relativo ai canoni di locazione, nonché la non strumentalità dello stesso all’attivazione di qualsivoglia operazione d’indebita pianificazione fiscale, anche sulla base di prospetti le c ui risultanze non erano state contestate dall’Ufficio, e per non avere considerato, con riferimento al recupero dell’IVA e RAGIONE_SOCIALE relative sanzioni, che si trattava di costi effettivi, afferenti l’immobile in cui la contribuente svolgeva la propria attività, non essendo ravvisabile alcuna ipotesi di abuso del diritto;
-con il terzo motivo, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso
di considerare le seguenti circostanze decisive per il giudizio: 1) la prova della maggiore economicità del contratto di locazione rispetto a quello di leasing, avuto riguardo alla diversa causa giuridica e struttura dei due contratti, che per questo motivo non erano comparabili; 2) la prova dell’insussistenza di qualsivoglia vantaggio fiscale sotteso al contratto di affitto, avuto riguardo all’operazione alternativa ipotizzata dall’Ufficio, relativa alla conclusione da parte della stessa contribuente di un contratto di leasing immobiliare;
-il predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili, in quanto la ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge e l’ omesso esame di fatto decisivo, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme, bensì l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
il terzo motivo è altresì inammissibile, perché tende a contestare, in sostanza, la sufficienza della motivazione della sentenza impugnata, come tale non più consentita a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze depositate dopo l’11.09.2012);
il secondo motivo, poi, sarebbe in ogni caso infondato;
-secondo un costante indirizzo di questa Corte, l’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d’impresa e integra un giudizio, di natura qualitativa, sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, produttiva del reddito soggetto a
tassazione, sebbene il percorso evolutivo di questo concetto abbia portato la giurisprudenza ad ancorarlo, a volte, a riferimenti di tipo ‘quantitativo’, con conseguente inclusione nel principio di inerenza anche dei profili di congruità o antieconomicità RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dall’imprenditore;
-l’orientamento più recente ha, tuttavia, cercato di ricollegare il principio di inerenza dei costi deducibili esclusivamente all’esercizio dell’attività d’impresa, con esclusione di ogni valutazione di tipo quantitativo (Cass. 11.01.2018, n. 450), considerando i parametri di congruità e antieconomicità solo meri indici sintomatici dell’inesistenza del requisito dell’inerenza (Cass. 9.02.2018, n. 3170 e Cass. 17.07.2018, n. 18904);
-la definizione di inerenza, utilizzata nell’ambito RAGIONE_SOCIALE imposte dirette in termini esclusivamente qualitativi, è coerente con la disciplina dell’IVA, in relazione alla quale la mancanza di congruità della spesa non esclude il diritto alla detrazione, stante il carattere neutrale dell’imposta, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (che deve essere dimostrata dall’Amministrazione) sia ‘tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA’ ( ex multis , Cass. 30.01.2018, n. 2240);
anche in materia di IVA va escluso, dunque, il diritto alla detrazione dell’imposta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri la manifesta e macroscopica antieconomicità dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene
o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass. n. 22130 del 27/09/2013; Cass. n. 27961 del 14/10/2021);
la CTR ha accertato che la spesa sostenuta dalla contribuente per i canoni di locazione era evidentemente sproporzionata rispetto al canone di leasing pagato, a sua volta, dalla società locatrice, anche perché riguardava solo una parte dell’immobile concesso in leasing , tanto da ritenere che la misura del canone fosse stata determinata in funzione di un azzeramento degli utili tassabili, considerata l’esiguità del reddito dichiarato dalla contribuente per gli anni dal 2008 al 2011, nonostante il significativo volume di affari conseguito dalla CSP, dato che una particolare incidenza sul risultato di bilancio veniva svolta proprio dalla voce dei fitti passivi pagati alla locatrice CEP;
a ciò si aggiungevano ulteriori elementi sintomatici, quali i legami anche parentali che univano alcuni soci della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, le continue modifiche contrattuali del suddetto rapporto di sublocazione per determinare la misura del canone di locazione, la sproporzione di detto canone anche rispetto a quelli concordati con altri soggetti, i vantaggi fiscali ottenuti dall’operazione in esame anche dalla RAGIONE_SOCIALE;
-a fronte dell’evidente antieconomicità dell’operazione , spettava alla contribuente dimostrarne l’effettività e l’inerenza ;
il giudice di appello ha dato atto di avere esaminato gli elementi dedotti dalla CSP, ritenendoli non sufficienti a superare i rilievi dell’Amministrazione finanziaria;
-ogni ulteriore contestazione mossa dalla contribuente con le suddette censure costituisce, come si è detto, un’inammissibile valutazione di merito, non consentita in sede di legittimità, in relazione agli elementi istruttori adeguatamente valutati dal giudice di appello;
-sul punto va aggiunta qualche considerazione sull’asserita mancanza di contestazione da parte dell’Ufficio in ordine a i dati
prodotti dalla contribuente per dimostrare l’economicità dell’operazione;
a parte la mancanza di specificità di detta affermazione, non avendo la ricorrente indicato in quale sede l’RAGIONE_SOCIALE avesse ritenuto pacifiche le circostanze dedotte dalla contribuente, occorre precisare che il principio di non contestazione è applicabile al processo tributario (Cass. n. 23710 dell’1/10/2018), ma deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (Cass. n. 7127 del 13/03/2019);
non va dimenticato, peraltro, che, stante l’indisponibilità dei diritti controversi, il principio di non contestazione riguarda esclusivamente i profili probatori dei fatti non contestati, e sempre che il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte del processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. n. 2196 del 6/02/2015);
il ricorso va, dunque, rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio di soccombenza, a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del
giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 4.300,00, oltre alle spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 16 gennaio 2024.