Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6831 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 6831  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11584/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO  e  dall’AVV_NOTAIO,  il  quale  chiede  di  ricevere  le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente  domiciliata  presso  il  suo  studio  sito  in  Roma,  INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in  persona  del suo  legale rappresentante pro tempore,  rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO,  in  virtù  di  procura  speciale  in  calce  al  controricorso,  il  quale
chiede di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente –
E
Comune RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Bologna,  n.  2215/2023, depositata in data 8 novembre 2023;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 12/3/2025 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE, quale società concessionaria del RAGIONE_SOCIALEo di accertamento e riscossione del Canone di occupazione degli spazi e aree pubbliche (RAGIONE_SOCIALE) del Comune di RAGIONE_SOCIALE, notificava ad RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi API) gli avvisi di accertamento nn. 7061/2013, 5408/2014, 5731/2015, 5599/2016, 3792/2017 e 2998/2018, recanti la richiesta di pagamento dell’importo complessivo di euro 161.996,00, a titolo di canoni non versati, oltre ad interessi e sanzioni.
Il pagamento era richiesto per l’occupazione di aree ricadenti nel  comune  di  RAGIONE_SOCIALE  e,  in  particolare,  per  l’occupazione  del soprassuolo comunale mediante cavalcavia autostradali.
RAGIONE_SOCIALE agiva dinanzi al tribunale di RAGIONE_SOCIALE contro l’ICA e nei  confronti  del  Comune  evidenziando  l’inesistenza  dei presupposti di legge, mancando un provvedimento di
concessione  amministrativa  da  parte  del  Comune,  in  ordine all’occupazione  dello  spazio  pubblico  mediante  cavalcavia.  In subordine, reputava sussistere una causa di esenzione, essendo stata effettuata l’occupazione ad opera dello Stato.
Inoltre, l’RAGIONE_SOCIALE rilevava che non dovevano essere applicate le sanzioni  in  base  al  principio  di  legalità  o,  comunque,  per  la sussistenza di una causa di esclusione della responsabilità.
 Il  tribunale  rigettava  le  domande  di  RAGIONE_SOCIALE.  Precisava,  in particolare, che la suprema Corte, «con orientamento consolidato seguito anche dalla giurisprudenza di merito, aveva riconosciuto  l’applicabilità  della  tassa  in  questione  nei  casi  di occupazione del soprassuolo comunale per effetto dei cavalcavia stradali».
Aggiungeva il tribunale che «doveva considerarsi irrilevante il  fatto che il tracciato RAGIONE_SOCIALE appartenesse allo Stato, ai sensi  dell’art.  122  c.c.,  posto  che  «non  era  applicabile  per  la TOSAP l’art. 49, comma 1, lettera a), del d.lgs. 15 novembre 1993 numero 507, che prevedeva l’esenzione per le occupazioni realizzate  direttamente  dallo  Stato  o  dagli  altri  enti  pubblici richiamati dalla norma».
Chiariva che «le stesse ragioni, nel caso di specie, non era invocabile l’esenzione di cui all’art. 30, comma 1, lettera a), del regolamento RAGIONE_SOCIALE del Comune di RAGIONE_SOCIALE».
Inoltre,  ad  avviso  del  tribunale,  in  assenza  di  un  titolo abilitativo  comunale,  l’occupazione,  ai  fini  del  pagamento  del canone,  era  da  considerare  come  occupazione  di  fatto,  pur sussistendo  la  concessione  statale  alla  gestione  del  tracciato RAGIONE_SOCIALE».
 Con  il  primo  motivo  di  appello  RAGIONE_SOCIALE  si  doleva  della «illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata, nella parte
in cui ha ritenuto applicabile il RAGIONE_SOCIALE alla fattispecie in esame nonostante l’assenza dei presupposti di legge ».
Con  il  secondo  motivo  di  impugnazione  l’appellante  RAGIONE_SOCIALE deduceva  «illegittimità  ed  erroneità  della  sentenza  impugnata nella parte in cui aveva ritenuto non applicabile alla fattispecie in esame l’esenzione da RAGIONE_SOCIALE prevista dall’art. 35, lett. a), del Regolamento  Comunale  per  le  ‘occupazioni  effettuate  dallo Stato’».
Con il terzo motivo d’appello RAGIONE_SOCIALE lamentava «illegittimità ed erroneità  della  sentenza  impugnata  nella  parte  in  cui  aveva confermato la sanzione irrogata, per omesso/ritardato versamento, pari al 30% del canone richiesto, sulla base dell’art. 41, comma 4, Reg. comunale citato».
La sanzione applicata violava il principio di legalità in quanto l’art.  63,  comma 2, del  d.lgs.  446  del  1997  si  era  limitata  ad individuare i criteri di legge per la determinazione delle sanzioni, senza individuare l’omesso versamento come fattispecie passibile di sanzione amministrative.
 La  Corte  d’appello  di  Bologna  rigettava  il  gravame  con sentenza n. 2215/2023, dell’ 8/11/2023.
In particolare, con riferimento al primo ed al secondo motivo di gravame, trattati congiuntamente, la Corte territoriale richiamava i principi affermati dalla Corte di cassazione, per cui il RAGIONE_SOCIALE non risultava un corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, ma era dovuto in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne traeva il singolo.
Veniva richiamata la giurisprudenza di legittimità avente «ad oggetto  proprio  l’occupazione  di  suolo  pubblico  di  viadotti interamente realizzati da un concessionario, per la quale si era
esclusa la possibilità di applicare l’esenzione prevista dall’art. 49, comma  1,  lettera  a),  del  d.lgs.  507/1993,  riguardando  tale esenzione le occupazioni effettuate direttamente dallo Stato ed agli altri enti pubblici indica».
In particolare, evidenziava la Corte territoriale che «i viadotti sono funzionali allo svolgimento di attività commerciale, con fine di  lucro,  e  che  le  norme  di  esenzione  sono  ad  applicazioni tassativa e, quindi, non suscettibili di estensione per analogia».
Proprio  la  finalità  commerciale  escludeva  «la  rilevanza  del fatto che, trattandosi di beni demaniali, l’opera sia destinata a ritornare in proprietà dello Stato, al termine della concessione».
Non  era  applicabile  neppure  l’esenzione  di  cui  all’art.  35, comma 1, lettera a), del regolamento del Comune di RAGIONE_SOCIALE, in quanto l’esenzione non operava ove l’occupazione fosse ascrivibile «ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di opera pubblica».
Ai fini del pagamento del corrispettivo non era necessario un formale atto di concessione, «essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni».
Con riferimento al terzo motivo di appello, la Corte territoriale evidenziava che non risultava violato il principio di legalità, in quanto la circostanza che il Comune di RAGIONE_SOCIALE avesse optato per il  RAGIONE_SOCIALE,  in  luogo  della  TARGA_VEICOLO,  non  precludeva  all’ente  di adottare  il  regolamento  prevedente  sanzioni  per  il  mancato pagamento del canone.
Tra  l’altro  era  prevista  espressamente  la  fattispecie  della sanzione  in  relazione  all’omesso  pagamento  del  canone  di occupazione abusiva, nel senso di occupazione di fatto, ossia in assenza di un provvedimento di concessione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, depositando memoria.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, depositando memoria.
È rimasto intimato il Comune di RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso la società deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997; degli articoli 1 e 4 del Reg.Com.; delle leggi n. 463/1955 (‘Provvedimenti per la costruzione di RAGIONE_SOCIALE strade’, in specie articoli 1-2), n. 729/1961 (‘Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali’, in specie articoli 1-2-6-7-812) e n. 385/1968 (‘Modifiche ed integrazioni alla legge 24 luglio 1961, n. 729, concernente il piano di nuove costruzioni stradali autostradali’), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: assenza del presupposto applicativo del canonecorrispettivo».
Per la ricorrente, se il RAGIONE_SOCIALE è il corrispettivo che il Comune può richiedere a fronte della concessione al privato di un proprio spazio pubblico, ovvero della mera occupazione del proprio spazio pubblico, nel quale pertanto l’ente locale avrebbe modo di esercitare il proprio potere di natura amministrativa, non si comprenderebbe perché il Comune non ha mai provveduto, né può provvedere, alla ‘rimozione’ dell’infrastruttura e rimessa in pristino dei luoghi, come prescritto dall’art. 11 del regolamento comunale per le occupazioni abusive e/o di fatto.
Tra  l’altro,  non  si  comprenderebbe  perché  il  Comune  non possa rinnovare, modificare, sospendere o revocare la disponibilità degli spazi occupati con l’infrastruttura RAGIONE_SOCIALE.
Neppure si comprenderebbe la ragione per cui il Comune non possa esercitare alcuno dei poteri previsti dal proprio regolamento RAGIONE_SOCIALE.
Tra l’altro varie pronunce amministrative che si sono occupate dell’argomento (Cons. Stato, sentenze numeri 1001010011-10012-10013-10014-10015-10016-10017-10018 delle 22/11/2023 e n. 10130/2023 delle 27/11/23), per le quali sono escluse dall’ambito applicativo del RAGIONE_SOCIALE le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ovvero quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo. Sarebbe impossibile configurare i presupposti applicativi del RAGIONE_SOCIALE, in quanto questo non potrebbe certo gravare «un bene del demanio statale, per di più realizzato per evidenti finalità di interesse generale».
L’esistenza  e  l’utilizzo  di  un  ponte  RAGIONE_SOCIALE,  in  quanto parte inseparabile di un bene demaniale funzionalmente unitario, non  richiederebbe  «alcuna  autorizzazione  da  parte  degli  enti territoriali cui appartengono gli eventuali beni al di sopra dei quali la  detta  struttura  sia  stata  a  suo  tempo  realizzata  in  base  ad un’espressa disposizione di legge».
Per  tale  ragione  «nessun  canone  (o  altro  corrispettivo)  di occupazione sarà reciprocamente dovuto dalle parti in causa».
Pertanto, ad avviso della ricorrente, «per la realizzazione e la gestione  di  opera  autostradali,  le  società  concessionarie  non devono chiedere alcuna concessione agli enti locali per l’attraversamento sovrastante/sottostante di strade, comunali o provinciali».
Non potendo la RAGIONE_SOCIALE e il Comune accordare o negare concessioni per le infrastrutture autostradali, la concessionaria RAGIONE_SOCIALE non può essere inclusa dai soggetti passivi per l’applicazione del canone.
In  realtà,  lo  spazio  sovrastante  la  strada  comunale  non appartiene (più) al demanio del Comune, in quanto la costruzione  dell’autostrada,  con  la  conseguente  pianificazione delle  aree  soggette  agli  attraversamenti,  è  riconducibile  alla volontà statale ed è stata stabilita con alcune risalenti legge dello Stato. L’ente locale, dunque, avrebbe perso e non disporrebbe più  di  alcun  potere,  perché  di  ciò  privato  a  seguito  delle determinazioni statali.
Per la ricorrente, peraltro, non si può neppure obiettare che la normativa richiamata sia stata superata dal d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto le normative hanno ambiti di applicazione non sovrapponibili.
Le  leggi  n.  463  del  1955  e  n.  729  del  1961,  come successivamente  modificate,  hanno  sottratto  alla  disponibilità dell’ente  locale  le  volumetrie  necessarie  per  la  realizzazione dell’autostrada.  Di  conseguenza  l’art.  63  del  d.lgs.  n.  446  del 1997 ha previsto per comuni e province la possibilità di istituire il RAGIONE_SOCIALE sulle «aree residue» e cioè «in relazione alle occupazioni del demanio/patrimonio  indisponibile ‘appartenenti’ all’ente locale».
 Con  il  secondo  motivo  di  impugnazione  la  ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997 e dell’art. 35, comma 1, lettera a), Reg. Com., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.: esenzione RAGIONE_SOCIALE per le ‘occupazioni realizzate dallo Stato’».
Per  la  ricorrente,  nel  caso  di  cavalcavia  autostradali  si verifica, in realtà, un’occupazione dello spazio pubblico non ad opera  della  società  concessionaria,  ma  da  parte  dello  Stato stesso, quale effettivo titolare del bene demaniale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, realizzata per il perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Quanto, poi, all’obiezione per cui la società svolge un’attività economica lucrativa, la ricorrente evidenzia che i profitti dell’attività di concessionario vengono regolarmente assoggettati alla ordinaria fiscalità erariale e che l’ordinamento non prevede tributi locali sui profitti aziendali. Inoltre, ogni onere gravante sul soggetto concessionario, in base alla Convenzione, deve essere considerato computato in tariffa.
Pertanto, il prelievo per il RAGIONE_SOCIALE finirebbe per gravare sugli utenti, su cui graverebbe l’onere relativo ai cavalcavia.
Non vi sarebbe, dunque, una gestione ‘in piena autonomia’ dell’autostrada da parte del concessionario.
Da un lato, le norme applicabili determinano un penetrante potere del concedente su concessionaria sull’attività da quest’ultimo svolta, con rilevanti limitazioni all’autonomia imprenditoriale,  coerenti  con  le  finalità  di  carattere  generale perseguite attraverso di essa.
Il concessionario non sarebbe libero di definire la componente tariffaria, che invece è approvata dallo Stato.
Dovrebbe porsi attenzione al carattere marcatamente pubblicistico del pedaggio RAGIONE_SOCIALE.
Dovrebbero  essere  considerati  anche  penetranti  obblighi stabiliti dalla legge nei confronti del concessionario RAGIONE_SOCIALE, il quale deve certificare il bilancio, mantenere requisiti adeguati di solidità patrimoniale, agire come amministrazione aggiudicatrice nell’affidamento di lavori a terzi.
Al  concedente  sono  poi  riconosciuti  penetranti  poteri  di direzione,  vigilanza,  controllo  e  sanzionatori  sull’attività  del concessionario RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre,  la  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  UE  ha chiarito che l’indifferenza rispetto alla natura -pubblico privato del regime proprietario, non deve tradursi in forme di discriminazione.
L’occupazione  effettuata  dalla infrastruttura  RAGIONE_SOCIALE deve  intendersi  come  operata  dallo  Stato,  rispetto  al  quale  il soggetto  concessionario  è  solo  un  braccio  esecutivo,  che  ha effettuato investimenti attraverso i proventi della  gestione recupera gli investimenti effettuati.
Diversamente opinando, la Corte di cassazione dovrebbe sottoporre alla Corte di giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE la questione di compatibilità comunitaria volta stabilire se gli articoli 49,56,63 e 345, TFUE ed è in ogni caso il diritto dell’unione consentano nei confronti dei concessionari di infrastrutture pubbliche l’applicazione di un trattamento differenziato e discriminatorio rispetto ai rapporti con gli enti locali interessati, in funzione della proprietà pubblica o privata del concessionario».
I primi due motivi di impugnazione, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
Si impone, preliminarmente, per ragioni di chiarezza una ricostruzione normativa.
5.1.Ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, invero, si prevede: «sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei
corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province».
Al comma 2 si prevedeva: «Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande….e simili infissi di carattere stabile…».
5.2. Ai sensi dell’art. 39 (Soggetti attivi e passivi) del d.lgs. n.  507  del  1993,  poi,  «la  tassa  è  dovuta  al  Comune  o  alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o,  in  mancanza,  dall’occupante  di  fatto,  anche  abusivo,  in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio».
5.3.L’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 15 novembre 1993 dispone anche:  «Sono  esenti  dalla  tassa:  a)  le  occupazioni  effettuate dallo Stato, dalle regioni, province….’.
Il nuovo d.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, poi, ha stabilito all’art. 63, che: «I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche…..I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile…sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione…al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa….Il regolamento è informato ai seguenti criteri:….b) classificazione in categorie di importanza delle strade, aree e spazi pubblici; c) indicazione della tariffa determinata sulla base della classificazione di cui alla
lettera b) , dell’entità della occupazione, espressa in metri quadrati o lineari […]; g) applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50%, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto dal competente pubblico ufficiale; g-bis) previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie di importo non inferiore all’ammontare della somma di cui alla lettera g) né superiore al doppio della stessa».
Questa Corte ha anche chiarito che il Cosap è stato introdotto nell’ordinamento della finanza locale dal d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di abolire la tassa per l’occupazione degli spazi e delle aree pubblici e per la contestuale attribuzione alle province ed ai comuni della facoltà di prevedere, per l’occupazione, concessa o abusiva, di aree ricadenti nel demanio e nel patrimonio disponibile di loro rispettiva pertinenza, il pagamento di un canone commisurato alle esigenze di bilancio, al valore economico del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati ed all’aggravamento degli oneri di manutenzione di detti spazi.
Il Cosap, quindi, si è inserito nel solco di un processo politicoistituzionale inteso ad una sempre più vasta defiscalizzazione delle entrate rimesse alla competenza degli enti locali e risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Il titolo che legittima l’occupazione, nel Cosap è costituito da un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di
concessione dell’uso esclusivo o speciale di detto suolo (Cass., n. 12167 del 2003, in motivazione).
6. Invero,  il  canone  per  l’occupazione  di  spazi  ed  aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (in tal senso vedi Cass., 10/6/2021n. 16395).
La TOSAP ed il RAGIONE_SOCIALE hanno natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico (Cass., n. 25614 del 2024; Cass. n. 24541 del 2/10/2019; Cass. Sez. U. n. 12167 del 19/8/2003).
Il RAGIONE_SOCIALE, pertanto, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del RAGIONE_SOCIALE è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo
pubblico (Cass. n. 17296 del 27/06/2019; Cass. n. 18037 del 06/08/2009; Cass. n. 3710 dell’8/02/2019; Cass. n. 10733 del 04/05/2018; Cass. n. 1435 del 19/01/2018; in motivazione, Cass. n. 9240 del 20/05/2020). Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite della Cassazione, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il RAGIONE_SOCIALE è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.
6.1.  Per  quanto  attiene  alla  individuazione  del  soggetto passivo obbligato a corrispondere il RAGIONE_SOCIALE, ciò che interessa è proprio il presupposto costituito della condotta integrante l'”occupazione” degli spazi e delle aree demaniali (non rilevando la capacità contributiva).
Al fine di valutare tale presupposto è utile ricordare quanto affermato – con condivisibile principio – dalla giurisprudenza di legittimità  in  relazione  alla  TOSAP,  in  merito  a  fattispecie analoghe a quella in esame (occupazione dovuta ad infrastrutture  autostradali),  in  cui  cioè  l’occupazione  di  aree  o spazi  demaniali  sia  stata  attuata  da  opere  e  strutture  che  si assumono  di  proprietà  dello  Stato,  e  pertanto  suscettibili  di beneficiare di un’esenzione.
Questa  Corte  ha  affermato,  in  maniera  costante,  che  «In tema di TOSAP, il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del D.Lgs.  n.  507  del  1993,  artt.  38  e  39,  dalle  occupazioni,  di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione
della superficie all’uso pubblico, essendo in proposito irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 del cit. decreto (in applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE.C. ha ritenuto soggetti alla tassa i viadotti autostradali in quanto impediscono l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante nonchè l’utilizzo agricolo riferito a determinate colture, e costituiscono un impianto ai fini del D.Lgs. n. 507 cit., art. 38, comma 2, essendo formati da una costruzione completata da strutture – quali gli impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità).» (Cass. n. 28341 del 05/11/2019). Ha, quindi, rimarcato che l’esenzione postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato, o nel demanio comunale e provinciale, da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (Cass. n. 11886 del 12/05/2017; Cass., sez. 5, n. 11689 del 2017; Cass., sez. 5, 11/5/2017, n. 11688; Cass. n. 19693 del 25/07/2018; Cass. n. 28341 del 05/11/2019).
Tale quadro giurisprudenziale – in relazione alla fattispecie in esame di occupazione abusiva (effettuata, cioè, in assenza del titolo  concessorio  rilasciato  dalla  provincia)  –  non  è  mutato  a seguito della sentenza a Sezioni Unite n. 8628 del 07/05/2020 che, affrontando l’antitetico tema della legittimazione passiva in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato
dall’ente locale, ha affermato che «In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo irrilevante, ai fini passivi di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica».
Assumono, pertanto, decisivo rilievo e prevalenza, quale presupposto per l’individuazione del soggetto obbligato, – in un caso come il presente in cui l’occupazione non sia assistita da un atto concessorio del Comune – l’attività di gestione economica e funzionale del bene, effettuata dalla società concessionaria del soggetto esente, e le finalità lucrative proprie dell’attività d’impresa svolte dalla prima, con l’effetto di escludere l’estensione dell’esenzione alle occupazioni connesse e conseguenti a tali attività e finalità: questo principio risulta evidentemente applicabile anche al RAGIONE_SOCIALE – ove il regolamento abbia previsto l’esenzione a favore dell’ente concedente -.
6.3. Nel caso in esame, il Comune si è avvalso della facoltà ed ha istituito il RAGIONE_SOCIALE con Regolamento.
6.4. La sentenza impugnata si è conformata ai principi sopra enucleati.
6.5. Innanzi tutto, l’occupazione del demanio comunale di cui si tratta come da accertamento di fatto della Corte distrettuale, non direttamente impugnato – concerne l’occupazione di suolo pubblico per pontoni sovrastanti tratti di strade comunali attuata con strutture sopraelevate, che costituisce idoneo presupposto
per l’applicazione del RAGIONE_SOCIALE ex art. 63 cit., e non l’occupazione dei terreni su cui sono stati costruiti i pontoni autostradali.
6.6. L’occupazione in esame risulta poi essere “abusiva”, in quanto – alla stregua degli atti – risulta attuata in assenza di titolo concessorio del Comune, e “di fatto” effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE, quale società concessionaria dell’infrastruttura RAGIONE_SOCIALE, circostanze queste incontestate.
Il RAGIONE_SOCIALE è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilità particolare o eccezionale che ne trae il singolo (Cass., sez. 1, 18/4/2023, n. 10351; Cass., Sez. U., 61/2016).
La decisione impugnata è immune da vizi laddove ha ravvisato il presupposto soggettivo passivo dell’obbligazione nell’occupazione di fatto realizzata dalla società, concessionaria per la gestione dell’infrastruttura RAGIONE_SOCIALE per un lungo periodo di tempo, destinata a ritrarre dalla gestione un proprio utile economico calcolato sulla differenza tra il canone concessorio corrisposto all’ente concedente e gli utili provenienti dalla gestione della infrastruttura stessa, con l’effetto di escludere, alla luce dei ricordati principi la applicabilità dell’esenzione prevista in favore dello Stato (cfr. Cass. n. 16395 del 10/6/2021; anche Cass., n. 10351 del 2023).
 A  nulla  rileva,  poi,  che  il  viadotto  sia  di  proprietà  del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un RAGIONE_SOCIALEo di pubblica utilità, è gestito in regime di  concessione  da  una  persona  giuridica  che  agisce  in  piena autonomia e non quale mero  sostituto dello Stato nello
sfruttamento dei beni (Cass. n. 11886 del 12/5/2017; Cass. n. 19693 del 25/7/2018; Cass., n. 28341 del 5/11/2019).
Infatti, la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza integrativa del presupposto di applicazione del RAGIONE_SOCIALE da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE, secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di ‘occupazione’ del sottostante suolo comunale (Cass., 18/4/2023, n. 10351; anche Cass., 12 gennaio 2022, n. 708, in tema di Cosap; Cass., sez. 5, 11 gennaio 2022, n. 509, in tema di Cosap; anche Cass., sez. 5, 26/1/2024, n. 2512).
Questi elementi sono più che sufficienti a radicare la debenza del canone in capo alla concessionaria e occupante RAGIONE_SOCIALE, mentre risulta  marginale  e  privo  di  decisività  indagare  la  effettiva proprietà dell’infrastruttura RAGIONE_SOCIALE e dei  pontoni  che occupano per proiezione la strada provinciale sottostante, attesa la rilevanza dirimente della accertata ed indiscussa circostanza che la società ne disponeva per la gestione quale concessionaria ed in tal modo realizzava la condotta di “occupazione”.
Ben può essere condivisa, quindi, l’affermazione della Corte di  appello  secondo  la  quale  l’obbligazione  di  pagamento  del canone grava solo sul soggetto che occupa lo spazio pubblico in modo  abusivo  e  di  fatto,  per  avvalersene  ai  fini  dell’attività d’impresa svolta.
Si  è  del  resto  ritenuto,  in  tema  di  TOSAP,  che  le  finalità pubblicistiche, cui certamente è finalizzata la gestione e manutenzione  della  rete  RAGIONE_SOCIALE,  se  pur  imprimono  alla riscossione dei pedaggi una preminente destinazione dei ricavi al perseguimento  delle  finalità proprie della realizzazione del
tracciato  RAGIONE_SOCIALE,  non  annullano  il  perseguimento  del profitto tipico dell’attività di impresa svolta da società per azioni, quale indubbiamente è la società RAGIONE_SOCIALE. Ciò che rende irrilevante la natura demaniale dell’autostrada ed il ritorno della stessa allo stato al tempo della concessione (Cass., sez. 5, 30/5/2024, n. 15162; Cass., sez. 5, 1/12/2022, n. 35408; Cass., sez. 6-5, 25/7/2018, n. 19693, in tema di TOSAP).
Si è anche rilevato che non può convenirsi con l’assolutezza dell’affermazione, secondo cui nella fattispecie in esame sarebbe imputabile a monte allo Stato la volontà di occupazione, per mezzo dell’attraversamento da parte del viadotto RAGIONE_SOCIALE, del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729, recante ‘Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali’. Se ciò è vero nelle sue premesse, la portata degli effetti va commisurata alla predisposizione della successiva normativa di finanza derivata per gli enti locali di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, che regola l’istituzione della TOSAP ed il relativo regime di esenzione, con norme, come si è detto, di stretta interpretazione (Cass., sez. 5, n. 15162 del 2024).
Le leggi citate dalla contribuente (21 maggio 1955, numeri 463  e  24  luglio 1961,  n.  729,  relative alla realizzazione dell’autostrada sono anteriori al  d.lgs.  n.  507  del  1993,  la  cui disciplina ha sottoposto ad imposizione l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete RAGIONE_SOCIALE  (Cass.,  sez.  5,  n.  15162  del  2024,  in  tema  di TOSAP).
8.1. A ciò si aggiunga che, sebbene la realizzazione della rete RAGIONE_SOCIALE sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato
ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale. L’art. 822 cod. civ. prevede, del resto, che le strade, le RAGIONE_SOCIALE e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico  se  appartengono  allo  Stato  e,  cioè,  rientrano  nel demanio  pubblico  statale  meramente  eventuale,  sicché  è  ben possibile che la strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada appartenga ad altro ente.
Infine,  l’art.  12,  ultimo  comma,  della  l.  n.  729  del  1961, vigente ratione temporis , nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere  provvisionali  da  eseguire  durante  la  costruzione  delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali.
In definitiva, occorre distinguere la proprietà della strada su cui  insiste  il  pontone  o  cavalcavia  dell’autostrada  da  quella  di quest’ultimo  manufatto:  la  prima  resta  di  titolarità  dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la  seconda  di  proprietà  statale.  Non  si  configura,  infatti,  una ipotesi  di  accessione  invertita  a  favore  dello  Stato,  che  non  è contemplata dalla legge (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164).
 Va  anche  rammentato  che  lo  svolgimento  di  un’attività strumentale alla realizzazione di un fine pubblico non è sufficiente  a  giustificare  l’esenzione  dalla  RAGIONE_SOCIALE  in  quanto  le disposizioni  normative  sono  chiare  nell’indicare  la  necessaria presenza  di  un  ulteriore  presupposto  ai  fini  dell’applicazione dell’esenzione,  ovvero  che  il  soggetto  occupante  sia  lo  Stato (Cass., sez. 1, 29/5/2023, n. 15010; Cass., n. 25614 del 2024).
Con l’ulteriore  precisazione  che,  rispetto  a  quanto  dedotto dalla  ricorrente  al  fine  di  determinare  se  questo  agisca  in autonomia,  oppure  come longa  manus delle  amministrazioni
statali, la presenza di vincoli di carattere pubblico alla gestione della concessione non depone a favore dell’esenzione, in quanto la posizione di vincoli è attività tipica è fondamentale dell’agire pubblico nell’economia. Qualora lo Stato concedesse la gestione e lo sfruttamento economico dell’infrastruttura ad RAGIONE_SOCIALE per l’RAGIONE_SOCIALE senza imporle il rispetto di alcun vincolo nulla si frapporrebbe allo sfruttamento dell’infrastruttura ai soli fini di lucro, tale che la finalità pubblica per il quale lo Stato agisce sarebbe definitivamente e completamente annullata (Cass., sez. 1, 29/5/2023, n. 15010).
9.1. Ciò senza dimenticare la natura di stretta interpretazione delle  norme  tributarie  che  prevedano esenzioni  o  agevolazioni (Cass.,  sez.  5,  30/5/2024,  n.  15162,  in  tema  di  TOSAP;  che richiama  Cass.,  sez.  5,  4/5/2016,  n.  8869;  Cass.,  sez.  5, 26/3/2014, n. 7037; Corte cost., n. 242 del 2017).
9.2. Deve aggiungersi che, per questa corte (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164; anche Cass., sez. 5, 23/1/2024, n. 2275), «anche laddove RAGIONE_SOCIALE fosse una società in house , la scelta della forma privata comporta la necessaria applicazione del regime previsto per gli altri soggetti privati, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessari all’espletamento del compito pubblico assegnato (vedi art. 106, comma 2, del TFUE, che stabilisce che le imprese incaricate della gestione di RAGIONE_SOCIALE di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti alla adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata) o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad esempio, applicazione delle regole sul reclutamento
del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al  procedimento  di  evidenza  pubblica,  salvo  che  nei  settori speciali).
10. Inoltre, va in radice esclusa, inoltre, nella specie, la violazione del «principio di non discriminazione» secondo il diritto Europeo tra società in proprietà privata e società in proprietà pubblica, dedotta dalla ricorrente. Come si è visto, secondo il regolamento Cosap ora in esame e alla stregua dei suesposti principi, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al Cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente (cfr. Cass. 17296/2019, in una fattispecie relativa all’occupazione permanente di spazi pubblici ad opera delle aziende di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE pubblici o di quelle che svolgono attività ad essi strumentali). Occorre, pertanto, che l’occupazione sia direttamente ascrivibile ad uno degli enti indicati nel regolamento comunale, sicché non è ipotizzabile la violazione del suddetto principio nel senso invocato, dovendo ribadirsi che l’esenzione non opera ove l’occupazione sia invece ascrivibile ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica «in quanto è detta società ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione» (da ultimo tra le tante Cass. 16395/2021 citata). In relazione alla fattispecie in esame, l’attività di gestione economica e funzionale del pontone RAGIONE_SOCIALE da parte dalla ricorrente, integra, come correttamente affermato dalla Corte di merito, una «occupazione abusiva» dello spazio sovrastante alla INDIRIZZO, realizzata dalla società ricorrente in forza di concessione
dell’RAGIONE_SOCIALE  e  in  assenza  del  titolo  concessorio  rilasciato  dal comune  di  RAGIONE_SOCIALE  (in  tal  senso  Cass.,  sez.  1,  18/4/2023,  n. 10351).
 Le  sentenze  amministrative  citate  dalla  ricorrente  non sono  in grado  di travolgere l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato (Cass., sez. 1, 18 aprile 2023, n. 10351; Cass., n. 25614 del 2024).
Non è dirimente la dedotta assenza di poteri di rimozione o di riappropriazione del bene da parte del Comune, poiché tale limite  non  vale  ad  escludere  l’imposizione  fiscale,  semmai  a confermarla, in ragione della perdurante occupazione (Cass. sez. 5, n. 15162 del 2024).
12.1. Inoltre, si è già chiarito (Cass., sez. 1, 25/7/2024, n. 20708; Cass., n. 25614 del 2024) che le citate pronunce del Consiglio di Stato, che, peraltro, non si confrontano con l’ormai consolidato indirizzo di questa Corte di cui si è dato conto, offrono una lettura ermeneutica del “combinato disposto” delle norme in discussione non rispondente al dettato complessivo della stessa disciplina nei termini precisati e non rispettosa dei suesposti principi, oltre che contrastante con il tenore letterale delle previsioni del regolamento cosap ora in esame. In particolare, come si è rimarcato, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente, il che incontrovertibilmente non è nella specie.
Il  Consiglio  di  Stato  afferma:  «…  l’art.  1  del  Regolamento RAGIONE_SOCIALE  della  RAGIONE_SOCIALE  di  Teramo  regolamentava,  in  ordine  ai periodi  su  cui  si  controverte,  le  fattispecie  di  “occupazione onerosa,  permanente o temporanea, di strade, aree e relativi spazi  sovrastanti  o  sottostanti,  appartenenti  al  demanio  o  al
patrimonio indisponibile della RAGIONE_SOCIALE di Teramo ovvero di proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge», per le quali era prescritto il rilascio di apposita concessione. Il successivo art. 2 (“Soggetti attivi e passivi”) chiariva quindi che «[l] canone è dovuto all’Ente proprietario del suolo dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio». Dal combinato disposto delle norme che precedono «discende a contrario – che sono escluse dall’ambito applicativo del RAGIONE_SOCIALE le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ossia quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo».
A detto ragionamento, invero espresso per sillogismo a contrario non del tutto lineare, osta proprio il disposto dell’art.30 del regolamento provinciale cosap applicabile ratione temporis , a mente del quale sono esentate dal pagamento del canone «le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, provincie, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello stato, da enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità educazione, cultura e ricerca scientifica». La norma prevede l’esenzione per le occupazioni effettuate dallo Stato, in applicazione di quanto già previsto dall’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, individua
specificamente  i  soggetti  esenti  ed  è  da  ritenersi  di  stretta interpretazione, poiché introduce un’eccezione alla regola generale.
A ciò si aggiunga che l’assoggettamento al canone, con facoltà di eventuale previsione di speciali «agevolazioni», è prevista anche nelle ipotesi di «occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e in particolare per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali», ai sensi dell’art. 63, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 446/1997 vigente ratione temporis , il che elude la rilevanza attribuibile al fatto che si tratta di beni appartenenti al demanio “involgenti interessi di più ampio rilievo”, contrariamente a quanto pare valorizzare la giurisprudenza amministrativa, come rimarcato anche dalla controricorrente.
Non è idonea al mutamento giurisprudenziale richiesto la nota  del  MIT  prot.  15776  del  21/6/2023  che  attiene  alla costruzione delle infrastrutture pubbliche, fra cui RAGIONE_SOCIALE.
In tal caso deve eseguirsi un «puntuale iter autorizzativo, il quale prevede, tra le altre cose, l’indizione e l’espletamento di un’apposita Conferenza di Servizi, nelle forme previste dall’art. 14  e  seguenti  della  legge  n.  241  del  1990,  proprio  al  fine  di consentire il coinvolgimento, oltre che del Concedente Ministero e del soggetto attuatore, di tutti gli Enti coinvolti, ovvero Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni e altri Enti territoriali».
La nota, che non ha natura normativa, disciplina la fase a monte, relativa alla costruzione dell’autostrada.
Ma,  come  detto,  l’aver  pianificato  la  rete  RAGIONE_SOCIALE  da parte dello  Stato,  unitamente agli enti locali,  nell’ambito  della Conferenza di RAGIONE_SOCIALE, non esime la società concessionaria, che gestisce le RAGIONE_SOCIALE, incassando i relativi profitti, dall’obbligo
di pagare il Cosap per l’attraversamento dei pontoni sulle strade comunali o provinciali.
Per tale ragione va anche superato quanto osservato dall’RAGIONE_SOCIALE, riportando le conclusioni della Procura Generale in altro giudizio, ove si evidenzia che «appare del tutto evidente che, essendo il titolo dell’occupazione una legge statale, non possa ravvisarsi in capo  allo  Stato,  proprietario  della  struttura  occupante,  alcuna forma abusiva o meramente fattuale di occupazione».
In  realtà,  la  legge  statale  ha  pianificato  la  costruzione dell’autostrada,  anche  attraverso  la  Conferenza  di  RAGIONE_SOCIALE,  ma l’occupazione del suolo comunale o provinciale, quando vi è un regime concessorio di gestione delle RAGIONE_SOCIALE – come nel caso in esame – comporta che l’ente gestore provveda al pagamento in favore degli enti locali territoriali. Se, invece, la gestione fosse rimasta allo Stato, scatterebbe l’esenzione.
13.1.  Quanto,  poi,  alla  distinzione  tra  «esclusione»  ed «esenzione», come argomentato dalla ricorrente nella memoria depositata il 6/9/2024, non si ritiene di aderire all’interpretazione per cui nella fattispecie in esame ci si troverebbe dinanzi ad una «esclusione»  dall’imposta,  perché  fuori  perimetro  impositivo  e non ad una esenzione.
Per  l’RAGIONE_SOCIALE,  dunque,  nella  specie  non  si  sarebbe  dinanzi  ad un’ipotesi di esenzione, ma – al contrario – di una vera e propria ipotesi di esclusione.
Per  la  società  «è  escluso  ciò  che  è  estraneo  ed  ‘esterno’ all’ambito applicativo RAGIONE_SOCIALE, per assenza/mancanza dei relativi presupposti soggettivi/oggettivi, e come tale non è soggetto tout court al relativo pagamento».
Diversamente  «è  esente  ciò  che,  pur  rientrando  in  detto ambito applicativo (con i conseguenti poteri dispositivi
esercitabili dall’ente locale), non sconta comunque il pagamento del canone in ragione di specifiche ragioni ‘agevolative’ e/o di favore individuate dalla normativa stessa».
Si muove, dunque, dalla affermazione di questa Corte (Cass., sez. 5, 16/6/2023) per cui « […] come posto in rilievo da attenta dottrina, che si è soffermata, in particolare, sulle differenze sussistenti tra le norme disciplinanti le esenzioni e le esclusioni tributarie, le norme che prevedono le esclusioni tributarie hanno la funzione di delimitare i confini della fattispecie impositiva, ed esprimono la scelta del legislatore di individuare correttamente solo quei fatti che siano reale manifestazione della specifica capacità contributiva che il medesimo vuole colpire con una determinata imposta; tali norme, quindi, non rivestono carattere di specialità, in quanto operano in modo sistematico nel delimitare l’ambito oggettivo del tributo in chiave con la ratio ad esso sottesa e possono essere ricondotte a quelle ipotesi ove il presupposto astrattamente considerato imponibile dalla norma venga già colpito da altro tributo o se ne presuma l’inesistenza per la sua modesta entità o per la sua marginalità; le norme che prevedono le esenzioni, invece, si configurano come vere e proprie disposizioni speciali, in quanto dettano una specifica disciplina giuridica per situazioni nelle quali si verifica il fenomeno economico colpito dalla norma impositiva, e, a differenza delle esclusioni, introducono delle deroghe alle regole designate, in ordine al presupposto del tributo, dalla norma impositrice, esonerando dall’imponibilità fattispecie che altrimenti rientrerebbero nell’ambito applicativo del tributo stesso; mentre le esclusioni d’imposta sono dunque rinvenibili nelle ipotesi in cui la mancata applicazione del tributo è giustificata da valutazioni di estraneità relative al tributo stesso,
si è in presenza di un’esenzione, invece, nel caso in cui il beneficio fiscale mira a creare posizioni di favore, in funzione del perseguimento di determinate finalità decise dal legislatore, cosicché le esclusioni sono determinate da considerazioni che possono qualificarsi in termini di mancanza di capacità contributiva che sarebbe colpita da quel tributo, le esenzioni, viceversa, hanno un valore soltanto strumentale in funzione di finalità per lo più estranee all’ordinamento tributario, per cui deve ritenersi che esse derogano alla normale disciplina dei tributi».
13.2. In dottrina si è, dunque, ritenuto che le esenzioni sono disposizioni che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di  un  tributo,  ipotesi  che  sarebbero  imponibili  in  base  alla definizione generale del presupposto.
Le  esclusioni,  invece,  risultano  da  disposizioni  con  cui  il legislatore  chiarisce  i  limiti  di  applicazione  del  tributo,  senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali. L’esclusione, quindi,  costituisce  una  revisione  che  concorre  a  definire  il presupposto del tributo.
Pertanto,  il  binomio  di  riferimento  è  rappresentato  da: proventi  esclusi-spese  deducibili;  proventi  esenti-spese  non deducibili.
13.3. Nel caso in esame, non v’è dubbio (Cass. n. 25614 del 2024), che ci si trovi dinanzi ad una vera e propria esenzione, sia perché l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 prevede un’espressa esenzione per lo Stato («Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province […]»), sia perché si ha esenzione quando una norma di diritto singolare (l’art. 49 richiamato appunto) sottrae all’imposizione situazioni e soggetti che, altrimenti, ricadrebbero nell’ambito della previsione
della norma impositiva (art. 38 del d.lgs. n. 507 del 1993 «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico»).
Ad una norma impositiva generale si contrappone, allora, una norma particolare, la quale esclude l’applicazione del tributo a situazioni comprese nella fattispecie della norma generale.
Al contrario, si ha esclusione soltanto nel caso in cui si è in presenza  di  situazioni  sostanzialmente  estranee  alla  norma impositiva per l’assenza del fenomeno economico colpito da tale norma, come accade, appunto, per i dividendi societari che, dopo la riforma del 2003 (d.lgs. n. 344 del 2003), vengono tassati solo in capo alla società che li ha prodotti, mentre sono fiscalmente irrilevanti in capo ai soci che li hanno ricevuti, anche se detta irrilevanza non è totale, ma solo per il 95%.
Non  convince,  quindi,  l’asserto  dell’RAGIONE_SOCIALE,  per  cui  «nel  caso dell’infrastruttura RAGIONE_SOCIALE l’ente locale è del tutto privo di qualsiasi autorità e/o potere dispositivo, che compete esclusivamente allo Stato: la totale assenza di qualsiasi potere/potestà  dell’ente  locale  sull’infrastruttura  RAGIONE_SOCIALE conferma dunque che la presente fattispecie è esclusa dall’ambito applicativo RAGIONE_SOCIALE».
Al  contrario,  invece,  proprio  la  distinzione  tra  i  concetti  di esclusione  ed  esenzione  di  imposta,  conduce  ad  un  risultato diametralmente opposto a quello invocato dall’RAGIONE_SOCIALE.
La norma applicata, ossia l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 chiarisce che si tratta di «esenzione», e non di esclusione.
14. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera g e gbis , del d.lgs. n. 446 del 1997, e degli articoli 24, comma 7, e 43, comma 3, pro tempore vigenti, regolamento RAGIONE_SOCIALE del
Comune di RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.:  assenza  dei  presupposti  legali  per  l’applicazione  della sanzione  irrogata  per  ‘omesso  versamento’  e  violazione  dei principi di legalità, specificità e tassatività».
Con gli avvisi impugnati è stata irrogata nei confronti della società la sanzione per omesso o tardivo pagamento, pari al 30% del  canone  chiesto  in  pagamento  ex  art.  41,  comma  4,  del regolamento comunale.
La Corte d’appello  ha  ritenuto  la  legittimità  della  sanzione comminata per l’occupazione di spazi di pertinenza del Comune da parte di RAGIONE_SOCIALE in difetto di autorizzazione comunale, e quindi abusiva.
Contrariamente  a  quanto  ritenuto  dal  giudice  di  merito  la sanzione  per  ‘omesso  pagamento’  prevista  dal  regolamento comunale non trova riscontro in alcuna norma di legge.
Ed infatti, l’art. 63, comma 2, lettera gbis , del d.lgs. n. 446 del 1997, riguarda esclusivamente la ‘misura’ minima-massima della  sanzione  irrogabile,  ma  non  anche  l’individuazione  della condotta punibile.
15. Il motivo è infondato.
Invero, è sufficiente leggere l’art. 63, comma 2, lettera g-bis, del  d.lgs.  n.  446  del  1997,  che  quantifica  la  misura  della sanzione,  per  un  importo  non  inferiore  all’ammontare  della somma di cui alla lettera G), né superiore al doppio della stessa, per comprendere che vi era un rimando espresso proprio a tale lettera G).
L’art.  66, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 446 del 1997, prevede che regolamento comunale si è informato ai seguenti criteri: g) «applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari  al  canone  maggiorato  fino  al  50  per  cento,  considerando
permanenti  le  occupazioni  abusive  realizzate  con  impianti  o manufatti  di  carattere  stabile,  mentre  le  occupazioni  abusive temporanee  si  presumono  effettuate  dal  trentesimo  giorno antecedente  la  data  del  verbale  di  accertamento,  redatto  dal competente pubblico ufficiale».
Pertanto, il principio di legalità risulta pienamente rispettato, con applicazione della sanzione anche alle ipotesi di occupazione abusiva, quindi in caso di omesso versamento proprio in ragione della mancata richiesta di autorizzazione comunale.
 Con  il  quarto  motivo  di  impugnazione  la  ricorrente deduce  la  «violazione  e  falsa  applicazione  dell’art.  4  legge numero  689/1981,  in  relazione  all’art.  360,  primo  comma, numero 3, c.p.c.: inapplicabilità della sanzione per esistenza di una causa di esclusione della responsabilità».
La  Corte  d’appello  ha  evidenziato,  in  relazione  all’art.  4, comma 1, della legge numero 689 del 1981, che potevano essere richiamati principi della suprema Corte.
Per  la  Corte  territoriale,  quindi,  la  scelta  di  assoggettare l’occupazione di suolo pubblico provinciale o comunale  al pagamento di un canone e, d’altra parte, essa stessa espressione della volontà dello Stato.
Ad avviso della ricorrente invece, la decisione impugnata non ha  considerato  che  «l’adesione  della  società  alla  già  citata concessione  con  RAGIONE_SOCIALE  (ed  ora  con  il  limite)  rappresenta  la necessaria e vincolata conseguenza degli impegni assunti per la realizzazione  della  rete  RAGIONE_SOCIALE  nel  territorio  nazionale, come sanciti a livello legislativo nei provvedimenti richiamati».
Pertanto,  tale  situazione  «legittima  e  legale»  consente  di escludere qualsiasi responsabilità ai fini sanzionatori, non potendo la società rispondere «delle violazioni amministrative»,
commesse «nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima».
16.1. Il motivo è infondato.
Non  può  non  ribadirsi  che  la  concessione  RAGIONE_SOCIALE rappresenta provvedimento applicativo ben diverso dall’autorizzazione comunale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
Deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte per cui il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (RAGIONE_SOCIALE) costituisce il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni, sicché la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass., sez. 1, 10/6/2021, n. 16395).
Neppure  si  può  sostenere  che  nella  fattispecie  in  esame sarebbe imputabile a monte allo Stato la volontà di occupazione, per mezzo dell’attraversamento da parte del viadotto RAGIONE_SOCIALE, del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729, recante «Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali».
Infatti, la portata  degli effetti  di  tale  affermazione  va commisurata alla volontà, altrettanto statale, nella predisposizione con la successiva normativa di finanza derivata per gli enti locali di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, nella parte in cui ha istituito la TOSAP ed il relativo regime di esenzione, con
norme soggette ad interpretazione restrittiva (Cass., sez. 6-5, n. 19693 del 2018).
 Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  vanno  poste,  per  il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente  le  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  si liquidano  in  complessivi  euro  6.000,00,  oltre  euro  200,00  per esborsi, spese generali nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento,  da  parte  della  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo