Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6831 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6831 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11584/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso, il quale
chiede di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente –
E
Comune di Ferrara
-intimato-
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, n. 2215/2023, depositata in data 8 novembre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L’ICA (RAGIONE_SOCIALE), quale società concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del Canone di occupazione degli spazi e aree pubbliche (COSAP) del Comune di Ferrara, notificava ad Autostrade per l’Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi API) gli avvisi di accertamento nn. 7061/2013, 5408/2014, 5731/2015, 5599/2016, 3792/2017 e 2998/2018, recanti la richiesta di pagamento dell’importo complessivo di euro 161.996,00, a titolo di canoni non versati, oltre ad interessi e sanzioni.
Il pagamento era richiesto per l’occupazione di aree ricadenti nel comune di Ferrara e, in particolare, per l’occupazione del soprassuolo comunale mediante cavalcavia autostradali.
L’RAGIONE_SOCIALE agiva dinanzi al tribunale di Ferrara contro l’ICA e nei confronti del Comune evidenziando l’inesistenza dei presupposti di legge, mancando un provvedimento di
concessione amministrativa da parte del Comune, in ordine all’occupazione dello spazio pubblico mediante cavalcavia. In subordine, reputava sussistere una causa di esenzione, essendo stata effettuata l’occupazione ad opera dello Stato.
Inoltre, l’API rilevava che non dovevano essere applicate le sanzioni in base al principio di legalità o, comunque, per la sussistenza di una causa di esclusione della responsabilità.
Il tribunale rigettava le domande di API. Precisava, in particolare, che la suprema Corte, «con orientamento consolidato seguito anche dalla giurisprudenza di merito, aveva riconosciuto l’applicabilità della tassa in questione nei casi di occupazione del soprassuolo comunale per effetto dei cavalcavia stradali».
Aggiungeva il tribunale che «doveva considerarsi irrilevante il fatto che il tracciato autostradale appartenesse allo Stato, ai sensi dell’art. 122 c.c., posto che «non era applicabile per la TOSAP l’art. 49, comma 1, lettera a), del d.lgs. 15 novembre 1993 numero 507, che prevedeva l’esenzione per le occupazioni realizzate direttamente dallo Stato o dagli altri enti pubblici richiamati dalla norma».
Chiariva che «le stesse ragioni, nel caso di specie, non era invocabile l’esenzione di cui all’art. 30, comma 1, lettera a), del regolamento COSAP del Comune di Ferrara».
Inoltre, ad avviso del tribunale, in assenza di un titolo abilitativo comunale, l’occupazione, ai fini del pagamento del canone, era da considerare come occupazione di fatto, pur sussistendo la concessione statale alla gestione del tracciato autostradale».
Con il primo motivo di appello RAGIONE_SOCIALE si doleva della «illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata, nella parte
in cui ha ritenuto applicabile il COSAP alla fattispecie in esame nonostante l’assenza dei presupposti di legge ».
Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante RAGIONE_SOCIALE deduceva «illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto non applicabile alla fattispecie in esame l’esenzione da COSAP prevista dall’art. 35, lett. a), del Regolamento Comunale per le ‘occupazioni effettuate dallo Stato’».
Con il terzo motivo d’appello RAGIONE_SOCIALE lamentava «illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva confermato la sanzione irrogata, per omesso/ritardato versamento, pari al 30% del canone richiesto, sulla base dell’art. 41, comma 4, Reg. comunale citato».
La sanzione applicata violava il principio di legalità in quanto l’art. 63, comma 2, del d.lgs. 446 del 1997 si era limitata ad individuare i criteri di legge per la determinazione delle sanzioni, senza individuare l’omesso versamento come fattispecie passibile di sanzione amministrative.
La Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame con sentenza n. 2215/2023, dell’ 8/11/2023.
In particolare, con riferimento al primo ed al secondo motivo di gravame, trattati congiuntamente, la Corte territoriale richiamava i principi affermati dalla Corte di cassazione, per cui il COSAP non risultava un corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, ma era dovuto in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne traeva il singolo.
Veniva richiamata la giurisprudenza di legittimità avente «ad oggetto proprio l’occupazione di suolo pubblico di viadotti interamente realizzati da un concessionario, per la quale si era
esclusa la possibilità di applicare l’esenzione prevista dall’art. 49, comma 1, lettera a), del d.lgs. 507/1993, riguardando tale esenzione le occupazioni effettuate direttamente dallo Stato ed agli altri enti pubblici indica».
In particolare, evidenziava la Corte territoriale che «i viadotti sono funzionali allo svolgimento di attività commerciale, con fine di lucro, e che le norme di esenzione sono ad applicazioni tassativa e, quindi, non suscettibili di estensione per analogia».
Proprio la finalità commerciale escludeva «la rilevanza del fatto che, trattandosi di beni demaniali, l’opera sia destinata a ritornare in proprietà dello Stato, al termine della concessione».
Non era applicabile neppure l’esenzione di cui all’art. 35, comma 1, lettera a), del regolamento del Comune di Ferrara, in quanto l’esenzione non operava ove l’occupazione fosse ascrivibile «ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di opera pubblica».
Ai fini del pagamento del corrispettivo non era necessario un formale atto di concessione, «essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni».
Con riferimento al terzo motivo di appello, la Corte territoriale evidenziava che non risultava violato il principio di legalità, in quanto la circostanza che il Comune di Ferrara avesse optato per il COSAP, in luogo della TOSAP, non precludeva all’ente di adottare il regolamento prevedente sanzioni per il mancato pagamento del canone.
Tra l’altro era prevista espressamente la fattispecie della sanzione in relazione all’omesso pagamento del canone di occupazione abusiva, nel senso di occupazione di fatto, ossia in assenza di un provvedimento di concessione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE per lRAGIONE_SOCIALE), depositando memoria.
Ha resistito con controricorso l’ICA – RAGIONE_SOCIALE, depositando memoria.
È rimasto intimato il Comune di Ferrara.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso la società deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997; degli articoli 1 e 4 del Reg.Com.; delle leggi n. 463/1955 (‘Provvedimenti per la costruzione di autostrade strade’, in specie articoli 1-2), n. 729/1961 (‘Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali’, in specie articoli 1-2-6-7-812) e n. 385/1968 (‘Modifiche ed integrazioni alla legge 24 luglio 1961, n. 729, concernente il piano di nuove costruzioni stradali autostradali’), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: assenza del presupposto applicativo del canonecorrispettivo».
Per la ricorrente, se il COSAP è il corrispettivo che il Comune può richiedere a fronte della concessione al privato di un proprio spazio pubblico, ovvero della mera occupazione del proprio spazio pubblico, nel quale pertanto l’ente locale avrebbe modo di esercitare il proprio potere di natura amministrativa, non si comprenderebbe perché il Comune non ha mai provveduto, né può provvedere, alla ‘rimozione’ dell’infrastruttura e rimessa in pristino dei luoghi, come prescritto dall’art. 11 del regolamento comunale per le occupazioni abusive e/o di fatto.
Tra l’altro, non si comprenderebbe perché il Comune non possa rinnovare, modificare, sospendere o revocare la disponibilità degli spazi occupati con l’infrastruttura autostradale.
Neppure si comprenderebbe la ragione per cui il Comune non possa esercitare alcuno dei poteri previsti dal proprio regolamento COSAP.
Tra l’altro varie pronunce amministrative che si sono occupate dell’argomento (Cons. Stato, sentenze numeri 1001010011-10012-10013-10014-10015-10016-10017-10018 delle 22/11/2023 e n. 10130/2023 delle 27/11/23), per le quali sono escluse dall’ambito applicativo del COSAP le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ovvero quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo. Sarebbe impossibile configurare i presupposti applicativi del COSAP, in quanto questo non potrebbe certo gravare «un bene del demanio statale, per di più realizzato per evidenti finalità di interesse generale».
L’esistenza e l’utilizzo di un ponte autostradale, in quanto parte inseparabile di un bene demaniale funzionalmente unitario, non richiederebbe «alcuna autorizzazione da parte degli enti territoriali cui appartengono gli eventuali beni al di sopra dei quali la detta struttura sia stata a suo tempo realizzata in base ad un’espressa disposizione di legge».
Per tale ragione «nessun canone (o altro corrispettivo) di occupazione sarà reciprocamente dovuto dalle parti in causa».
Pertanto, ad avviso della ricorrente, «per la realizzazione e la gestione di opera autostradali, le società concessionarie non devono chiedere alcuna concessione agli enti locali per l’attraversamento sovrastante/sottostante di strade, comunali o provinciali».
Non potendo la Provincia e il Comune accordare o negare concessioni per le infrastrutture autostradali, la concessionaria RAGIONE_SOCIALE non può essere inclusa dai soggetti passivi per l’applicazione del canone.
In realtà, lo spazio sovrastante la strada comunale non appartiene (più) al demanio del Comune, in quanto la costruzione dell’autostrada, con la conseguente pianificazione delle aree soggette agli attraversamenti, è riconducibile alla volontà statale ed è stata stabilita con alcune risalenti legge dello Stato. L’ente locale, dunque, avrebbe perso e non disporrebbe più di alcun potere, perché di ciò privato a seguito delle determinazioni statali.
Per la ricorrente, peraltro, non si può neppure obiettare che la normativa richiamata sia stata superata dal d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto le normative hanno ambiti di applicazione non sovrapponibili.
Le leggi n. 463 del 1955 e n. 729 del 1961, come successivamente modificate, hanno sottratto alla disponibilità dell’ente locale le volumetrie necessarie per la realizzazione dell’autostrada. Di conseguenza l’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997 ha previsto per comuni e province la possibilità di istituire il COSAP sulle «aree residue» e cioè «in relazione alle occupazioni del demanio/patrimonio indisponibile ‘appartenenti’ all’ente locale».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997 e dell’art. 35, comma 1, lettera a), Reg. Com., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.: esenzione COSAP per le ‘occupazioni realizzate dallo Stato’».
Per la ricorrente, nel caso di cavalcavia autostradali si verifica, in realtà, un’occupazione dello spazio pubblico non ad opera della società concessionaria, ma da parte dello Stato stesso, quale effettivo titolare del bene demaniale ‘autostrade’, realizzata per il perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Quanto, poi, all’obiezione per cui la società svolge un’attività economica lucrativa, la ricorrente evidenzia che i profitti dell’attività di concessionario vengono regolarmente assoggettati alla ordinaria fiscalità erariale e che l’ordinamento non prevede tributi locali sui profitti aziendali. Inoltre, ogni onere gravante sul soggetto concessionario, in base alla Convenzione, deve essere considerato computato in tariffa.
Pertanto, il prelievo per il COSAP finirebbe per gravare sugli utenti, su cui graverebbe l’onere relativo ai cavalcavia.
Non vi sarebbe, dunque, una gestione ‘in piena autonomia’ dell’autostrada da parte del concessionario.
Da un lato, le norme applicabili determinano un penetrante potere del concedente su concessionaria sull’attività da quest’ultimo svolta, con rilevanti limitazioni all’autonomia imprenditoriale, coerenti con le finalità di carattere generale perseguite attraverso di essa.
Il concessionario non sarebbe libero di definire la componente tariffaria, che invece è approvata dallo Stato.
Dovrebbe porsi attenzione al carattere marcatamente pubblicistico del pedaggio autostradale.
Dovrebbero essere considerati anche penetranti obblighi stabiliti dalla legge nei confronti del concessionario autostradale, il quale deve certificare il bilancio, mantenere requisiti adeguati di solidità patrimoniale, agire come amministrazione aggiudicatrice nell’affidamento di lavori a terzi.
Al concedente sono poi riconosciuti penetranti poteri di direzione, vigilanza, controllo e sanzionatori sull’attività del concessionario autostradale.
Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia UE ha chiarito che l’indifferenza rispetto alla natura -pubblico privato del regime proprietario, non deve tradursi in forme di discriminazione.
L’occupazione effettuata dalla infrastruttura autostradale deve intendersi come operata dallo Stato, rispetto al quale il soggetto concessionario è solo un braccio esecutivo, che ha effettuato investimenti attraverso i proventi della gestione recupera gli investimenti effettuati.
Diversamente opinando, la Corte di cassazione dovrebbe sottoporre alla Corte di giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE la questione di compatibilità comunitaria volta stabilire se gli articoli 49,56,63 e 345, TFUE ed è in ogni caso il diritto dell’unione consentano nei confronti dei concessionari di infrastrutture pubbliche l’applicazione di un trattamento differenziato e discriminatorio rispetto ai rapporti con gli enti locali interessati, in funzione della proprietà pubblica o privata del concessionario».
I primi due motivi di impugnazione, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
Si impone, preliminarmente, per ragioni di chiarezza una ricostruzione normativa.
5.1.Ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, invero, si prevede: «sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei
corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province».
Al comma 2 si prevedeva: «Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande….e simili infissi di carattere stabile…».
5.2. Ai sensi dell’art. 39 (Soggetti attivi e passivi) del d.lgs. n. 507 del 1993, poi, «la tassa è dovuta al Comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio».
5.3.L’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 15 novembre 1993 dispone anche: «Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province….’.
Il nuovo d.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, poi, ha stabilito all’art. 63, che: «I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche…..I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile…sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione…al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa….Il regolamento è informato ai seguenti criteri:….b) classificazione in categorie di importanza delle strade, aree e spazi pubblici; c) indicazione della tariffa determinata sulla base della classificazione di cui alla
lettera b) , dell’entità della occupazione, espressa in metri quadrati o lineari ; g) applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50%, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto dal competente pubblico ufficiale; g-bis) previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie di importo non inferiore all’ammontare della somma di cui alla lettera g) né superiore al doppio della stessa».
Questa Corte ha anche chiarito che il Cosap è stato introdotto nell’ordinamento della finanza locale dal d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di abolire la tassa per l’occupazione degli spazi e delle aree pubblici e per la contestuale attribuzione alle province ed ai comuni della facoltà di prevedere, per l’occupazione, concessa o abusiva, di aree ricadenti nel demanio e nel patrimonio disponibile di loro rispettiva pertinenza, il pagamento di un canone commisurato alle esigenze di bilancio, al valore economico del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati ed all’aggravamento degli oneri di manutenzione di detti spazi.
Il Cosap, quindi, si è inserito nel solco di un processo politicoistituzionale inteso ad una sempre più vasta defiscalizzazione delle entrate rimesse alla competenza degli enti locali e risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Il titolo che legittima l’occupazione, nel Cosap è costituito da un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di
concessione dell’uso esclusivo o speciale di detto suolo (Cass., n. 12167 del 2003, in motivazione).
6. Invero, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (in tal senso vedi Cass., 10/6/2021n. 16395).
La TOSAP ed il COSAP hanno natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico (Cass., n. 25614 del 2024; Cass. n. 24541 del 2/10/2019; Cass. Sez. U. n. 12167 del 19/8/2003).
Il COSAP, pertanto, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del COSAP è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo
pubblico (Cass. n. 17296 del 27/06/2019; Cass. n. 18037 del 06/08/2009; Cass. n. 3710 dell’8/02/2019; Cass. n. 10733 del 04/05/2018; Cass. n. 1435 del 19/01/2018; in motivazione, Cass. n. 9240 del 20/05/2020). Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite della Cassazione, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il COSAP è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.
6.1. Per quanto attiene alla individuazione del soggetto passivo obbligato a corrispondere il COSAP, ciò che interessa è proprio il presupposto costituito della condotta integrante l'”occupazione” degli spazi e delle aree demaniali (non rilevando la capacità contributiva).
Al fine di valutare tale presupposto è utile ricordare quanto affermato – con condivisibile principio – dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla TOSAP, in merito a fattispecie analoghe a quella in esame (occupazione dovuta ad infrastrutture autostradali), in cui cioè l’occupazione di aree o spazi demaniali sia stata attuata da opere e strutture che si assumono di proprietà dello Stato, e pertanto suscettibili di beneficiare di un’esenzione.
Questa Corte ha affermato, in maniera costante, che «In tema di TOSAP, il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e 39, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione
della superficie all’uso pubblico, essendo in proposito irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 del cit. decreto (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto soggetti alla tassa i viadotti autostradali in quanto impediscono l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante nonchè l’utilizzo agricolo riferito a determinate colture, e costituiscono un impianto ai fini del D.Lgs. n. 507 cit., art. 38, comma 2, essendo formati da una costruzione completata da strutture – quali gli impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità).» (Cass. n. 28341 del 05/11/2019). Ha, quindi, rimarcato che l’esenzione postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato, o nel demanio comunale e provinciale, da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (Cass. n. 11886 del 12/05/2017; Cass., sez. 5, n. 11689 del 2017; Cass., sez. 5, 11/5/2017, n. 11688; Cass. n. 19693 del 25/07/2018; Cass. n. 28341 del 05/11/2019).
Tale quadro giurisprudenziale – in relazione alla fattispecie in esame di occupazione abusiva (effettuata, cioè, in assenza del titolo concessorio rilasciato dalla provincia) – non è mutato a seguito della sentenza a Sezioni Unite n. 8628 del 07/05/2020 che, affrontando l’antitetico tema della legittimazione passiva in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato
dall’ente locale, ha affermato che «In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo irrilevante, ai fini passivi di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica».
Assumono, pertanto, decisivo rilievo e prevalenza, quale presupposto per l’individuazione del soggetto obbligato, – in un caso come il presente in cui l’occupazione non sia assistita da un atto concessorio del Comune – l’attività di gestione economica e funzionale del bene, effettuata dalla società concessionaria del soggetto esente, e le finalità lucrative proprie dell’attività d’impresa svolte dalla prima, con l’effetto di escludere l’estensione dell’esenzione alle occupazioni connesse e conseguenti a tali attività e finalità: questo principio risulta evidentemente applicabile anche al COSAP – ove il regolamento abbia previsto l’esenzione a favore dell’ente concedente -.
6.3. Nel caso in esame, il Comune si è avvalso della facoltà ed ha istituito il COSAP con Regolamento.
6.4. La sentenza impugnata si è conformata ai principi sopra enucleati.
6.5. Innanzi tutto, l’occupazione del demanio comunale di cui si tratta come da accertamento di fatto della Corte distrettuale, non direttamente impugnato – concerne l’occupazione di suolo pubblico per pontoni sovrastanti tratti di strade comunali attuata con strutture sopraelevate, che costituisce idoneo presupposto
per l’applicazione del COSAP ex art. 63 cit., e non l’occupazione dei terreni su cui sono stati costruiti i pontoni autostradali.
6.6. L’occupazione in esame risulta poi essere “abusiva”, in quanto – alla stregua degli atti – risulta attuata in assenza di titolo concessorio del Comune, e “di fatto” effettuata dalla API, quale società concessionaria dell’infrastruttura autostradale, circostanze queste incontestate.
Il COSAP è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilità particolare o eccezionale che ne trae il singolo (Cass., sez. 1, 18/4/2023, n. 10351; Cass., Sez. U., 61/2016).
La decisione impugnata è immune da vizi laddove ha ravvisato il presupposto soggettivo passivo dell’obbligazione nell’occupazione di fatto realizzata dalla società, concessionaria per la gestione dell’infrastruttura autostradale per un lungo periodo di tempo, destinata a ritrarre dalla gestione un proprio utile economico calcolato sulla differenza tra il canone concessorio corrisposto all’ente concedente e gli utili provenienti dalla gestione della infrastruttura stessa, con l’effetto di escludere, alla luce dei ricordati principi la applicabilità dell’esenzione prevista in favore dello Stato (cfr. Cass. n. 16395 del 10/6/2021; anche Cass., n. 10351 del 2023).
A nulla rileva, poi, che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da una persona giuridica che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello
sfruttamento dei beni (Cass. n. 11886 del 12/5/2017; Cass. n. 19693 del 25/7/2018; Cass., n. 28341 del 5/11/2019).
Infatti, la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza integrativa del presupposto di applicazione del COSAP da parte del Comune di Ferrara, secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di ‘occupazione’ del sottostante suolo comunale (Cass., 18/4/2023, n. 10351; anche Cass., 12 gennaio 2022, n. 708, in tema di Cosap; Cass., sez. 5, 11 gennaio 2022, n. 509, in tema di Cosap; anche Cass., sez. 5, 26/1/2024, n. 2512).
Questi elementi sono più che sufficienti a radicare la debenza del canone in capo alla concessionaria e occupante API, mentre risulta marginale e privo di decisività indagare la effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e dei pontoni che occupano per proiezione la strada provinciale sottostante, attesa la rilevanza dirimente della accertata ed indiscussa circostanza che la società ne disponeva per la gestione quale concessionaria ed in tal modo realizzava la condotta di “occupazione”.
Ben può essere condivisa, quindi, l’affermazione della Corte di appello secondo la quale l’obbligazione di pagamento del canone grava solo sul soggetto che occupa lo spazio pubblico in modo abusivo e di fatto, per avvalersene ai fini dell’attività d’impresa svolta.
Si è del resto ritenuto, in tema di TOSAP, che le finalità pubblicistiche, cui certamente è finalizzata la gestione e manutenzione della rete autostradale, se pur imprimono alla riscossione dei pedaggi una preminente destinazione dei ricavi al perseguimento delle finalità proprie della realizzazione del
tracciato autostradale, non annullano il perseguimento del profitto tipico dell’attività di impresa svolta da società per azioni, quale indubbiamente è la società RAGIONE_SOCIALE l’Italia. Ciò che rende irrilevante la natura demaniale dell’autostrada ed il ritorno della stessa allo stato al tempo della concessione (Cass., sez. 5, 30/5/2024, n. 15162; Cass., sez. 5, 1/12/2022, n. 35408; Cass., sez. 6-5, 25/7/2018, n. 19693, in tema di TOSAP).
Si è anche rilevato che non può convenirsi con l’assolutezza dell’affermazione, secondo cui nella fattispecie in esame sarebbe imputabile a monte allo Stato la volontà di occupazione, per mezzo dell’attraversamento da parte del viadotto autostradale, del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729, recante ‘Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali’. Se ciò è vero nelle sue premesse, la portata degli effetti va commisurata alla predisposizione della successiva normativa di finanza derivata per gli enti locali di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, che regola l’istituzione della TOSAP ed il relativo regime di esenzione, con norme, come si è detto, di stretta interpretazione (Cass., sez. 5, n. 15162 del 2024).
Le leggi citate dalla contribuente (21 maggio 1955, numeri 463 e 24 luglio 1961, n. 729, relative alla realizzazione dell’autostrada sono anteriori al d.lgs. n. 507 del 1993, la cui disciplina ha sottoposto ad imposizione l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale (Cass., sez. 5, n. 15162 del 2024, in tema di TOSAP).
8.1. A ciò si aggiunga che, sebbene la realizzazione della rete autostradale sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato
ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale. L’art. 822 cod. civ. prevede, del resto, che le strade, le autostrade e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico se appartengono allo Stato e, cioè, rientrano nel demanio pubblico statale meramente eventuale, sicché è ben possibile che la strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada appartenga ad altro ente.
Infine, l’art. 12, ultimo comma, della l. n. 729 del 1961, vigente ratione temporis , nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali.
In definitiva, occorre distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164).
Va anche rammentato che lo svolgimento di un’attività strumentale alla realizzazione di un fine pubblico non è sufficiente a giustificare l’esenzione dalla COSAP in quanto le disposizioni normative sono chiare nell’indicare la necessaria presenza di un ulteriore presupposto ai fini dell’applicazione dell’esenzione, ovvero che il soggetto occupante sia lo Stato (Cass., sez. 1, 29/5/2023, n. 15010; Cass., n. 25614 del 2024).
Con l’ulteriore precisazione che, rispetto a quanto dedotto dalla ricorrente al fine di determinare se questo agisca in autonomia, oppure come longa manus delle amministrazioni
statali, la presenza di vincoli di carattere pubblico alla gestione della concessione non depone a favore dell’esenzione, in quanto la posizione di vincoli è attività tipica è fondamentale dell’agire pubblico nell’economia. Qualora lo Stato concedesse la gestione e lo sfruttamento economico dell’infrastruttura ad autostrade per l’Italia senza imporle il rispetto di alcun vincolo nulla si frapporrebbe allo sfruttamento dell’infrastruttura ai soli fini di lucro, tale che la finalità pubblica per il quale lo Stato agisce sarebbe definitivamente e completamente annullata (Cass., sez. 1, 29/5/2023, n. 15010).
9.1. Ciò senza dimenticare la natura di stretta interpretazione delle norme tributarie che prevedano esenzioni o agevolazioni (Cass., sez. 5, 30/5/2024, n. 15162, in tema di TOSAP; che richiama Cass., sez. 5, 4/5/2016, n. 8869; Cass., sez. 5, 26/3/2014, n. 7037; Corte cost., n. 242 del 2017).
9.2. Deve aggiungersi che, per questa corte (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164; anche Cass., sez. 5, 23/1/2024, n. 2275), «anche laddove RAGIONE_SOCIALE fosse una società in house , la scelta della forma privata comporta la necessaria applicazione del regime previsto per gli altri soggetti privati, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessari all’espletamento del compito pubblico assegnato (vedi art. 106, comma 2, del TFUE, che stabilisce che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti alla adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata) o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad esempio, applicazione delle regole sul reclutamento
del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al procedimento di evidenza pubblica, salvo che nei settori speciali).
10. Inoltre, va in radice esclusa, inoltre, nella specie, la violazione del «principio di non discriminazione» secondo il diritto Europeo tra società in proprietà privata e società in proprietà pubblica, dedotta dalla ricorrente. Come si è visto, secondo il regolamento Cosap ora in esame e alla stregua dei suesposti principi, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al Cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente (cfr. Cass. 17296/2019, in una fattispecie relativa all’occupazione permanente di spazi pubblici ad opera delle aziende di erogazione di servizi pubblici o di quelle che svolgono attività ad essi strumentali). Occorre, pertanto, che l’occupazione sia direttamente ascrivibile ad uno degli enti indicati nel regolamento comunale, sicché non è ipotizzabile la violazione del suddetto principio nel senso invocato, dovendo ribadirsi che l’esenzione non opera ove l’occupazione sia invece ascrivibile ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica «in quanto è detta società ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione» (da ultimo tra le tante Cass. 16395/2021 citata). In relazione alla fattispecie in esame, l’attività di gestione economica e funzionale del pontone autostradale da parte dalla ricorrente, integra, come correttamente affermato dalla Corte di merito, una «occupazione abusiva» dello spazio sovrastante alla INDIRIZZO, realizzata dalla società ricorrente in forza di concessione
dell’ANAS e in assenza del titolo concessorio rilasciato dal comune di Ferrara (in tal senso Cass., sez. 1, 18/4/2023, n. 10351).
Le sentenze amministrative citate dalla ricorrente non sono in grado di travolgere l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato (Cass., sez. 1, 18 aprile 2023, n. 10351; Cass., n. 25614 del 2024).
Non è dirimente la dedotta assenza di poteri di rimozione o di riappropriazione del bene da parte del Comune, poiché tale limite non vale ad escludere l’imposizione fiscale, semmai a confermarla, in ragione della perdurante occupazione (Cass. sez. 5, n. 15162 del 2024).
12.1. Inoltre, si è già chiarito (Cass., sez. 1, 25/7/2024, n. 20708; Cass., n. 25614 del 2024) che le citate pronunce del Consiglio di Stato, che, peraltro, non si confrontano con l’ormai consolidato indirizzo di questa Corte di cui si è dato conto, offrono una lettura ermeneutica del “combinato disposto” delle norme in discussione non rispondente al dettato complessivo della stessa disciplina nei termini precisati e non rispettosa dei suesposti principi, oltre che contrastante con il tenore letterale delle previsioni del regolamento cosap ora in esame. In particolare, come si è rimarcato, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente, il che incontrovertibilmente non è nella specie.
Il Consiglio di Stato afferma: «… l’art. 1 del Regolamento COSAP della Provincia di Teramo regolamentava, in ordine ai periodi su cui si controverte, le fattispecie di “occupazione onerosa, permanente o temporanea, di strade, aree e relativi spazi sovrastanti o sottostanti, appartenenti al demanio o al
patrimonio indisponibile della Provincia di Teramo ovvero di proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge», per le quali era prescritto il rilascio di apposita concessione. Il successivo art. 2 (“Soggetti attivi e passivi”) chiariva quindi che « canone è dovuto all’Ente proprietario del suolo dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio». Dal combinato disposto delle norme che precedono «discende a contrario – che sono escluse dall’ambito applicativo del COSAP le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ossia quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo».
A detto ragionamento, invero espresso per sillogismo a contrario non del tutto lineare, osta proprio il disposto dell’art.30 del regolamento provinciale cosap applicabile ratione temporis , a mente del quale sono esentate dal pagamento del canone «le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, provincie, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello stato, da enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità educazione, cultura e ricerca scientifica». La norma prevede l’esenzione per le occupazioni effettuate dallo Stato, in applicazione di quanto già previsto dall’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, individua
specificamente i soggetti esenti ed è da ritenersi di stretta interpretazione, poiché introduce un’eccezione alla regola generale.
A ciò si aggiunga che l’assoggettamento al canone, con facoltà di eventuale previsione di speciali «agevolazioni», è prevista anche nelle ipotesi di «occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e in particolare per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali», ai sensi dell’art. 63, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 446/1997 vigente ratione temporis , il che elude la rilevanza attribuibile al fatto che si tratta di beni appartenenti al demanio “involgenti interessi di più ampio rilievo”, contrariamente a quanto pare valorizzare la giurisprudenza amministrativa, come rimarcato anche dalla controricorrente.
Non è idonea al mutamento giurisprudenziale richiesto la nota del MIT prot. 15776 del 21/6/2023 che attiene alla costruzione delle infrastrutture pubbliche, fra cui autostrade.
In tal caso deve eseguirsi un «puntuale iter autorizzativo, il quale prevede, tra le altre cose, l’indizione e l’espletamento di un’apposita Conferenza di Servizi, nelle forme previste dall’art. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990, proprio al fine di consentire il coinvolgimento, oltre che del Concedente Ministero e del soggetto attuatore, di tutti gli Enti coinvolti, ovvero Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni e altri Enti territoriali».
La nota, che non ha natura normativa, disciplina la fase a monte, relativa alla costruzione dell’autostrada.
Ma, come detto, l’aver pianificato la rete autostradale da parte dello Stato, unitamente agli enti locali, nell’ambito della Conferenza di servizi, non esime la società concessionaria, che gestisce le autostrade, incassando i relativi profitti, dall’obbligo
di pagare il Cosap per l’attraversamento dei pontoni sulle strade comunali o provinciali.
Per tale ragione va anche superato quanto osservato dall’API, riportando le conclusioni della Procura Generale in altro giudizio, ove si evidenzia che «appare del tutto evidente che, essendo il titolo dell’occupazione una legge statale, non possa ravvisarsi in capo allo Stato, proprietario della struttura occupante, alcuna forma abusiva o meramente fattuale di occupazione».
In realtà, la legge statale ha pianificato la costruzione dell’autostrada, anche attraverso la Conferenza di servizi, ma l’occupazione del suolo comunale o provinciale, quando vi è un regime concessorio di gestione delle autostrade – come nel caso in esame – comporta che l’ente gestore provveda al pagamento in favore degli enti locali territoriali. Se, invece, la gestione fosse rimasta allo Stato, scatterebbe l’esenzione.
13.1. Quanto, poi, alla distinzione tra «esclusione» ed «esenzione», come argomentato dalla ricorrente nella memoria depositata il 6/9/2024, non si ritiene di aderire all’interpretazione per cui nella fattispecie in esame ci si troverebbe dinanzi ad una «esclusione» dall’imposta, perché fuori perimetro impositivo e non ad una esenzione.
Per l’API, dunque, nella specie non si sarebbe dinanzi ad un’ipotesi di esenzione, ma – al contrario – di una vera e propria ipotesi di esclusione.
Per la società «è escluso ciò che è estraneo ed ‘esterno’ all’ambito applicativo COSAP, per assenza/mancanza dei relativi presupposti soggettivi/oggettivi, e come tale non è soggetto tout court al relativo pagamento».
Diversamente «è esente ciò che, pur rientrando in detto ambito applicativo (con i conseguenti poteri dispositivi
esercitabili dall’ente locale), non sconta comunque il pagamento del canone in ragione di specifiche ragioni ‘agevolative’ e/o di favore individuate dalla normativa stessa».
Si muove, dunque, dalla affermazione di questa Corte (Cass., sez. 5, 16/6/2023) per cui « come posto in rilievo da attenta dottrina, che si è soffermata, in particolare, sulle differenze sussistenti tra le norme disciplinanti le esenzioni e le esclusioni tributarie, le norme che prevedono le esclusioni tributarie hanno la funzione di delimitare i confini della fattispecie impositiva, ed esprimono la scelta del legislatore di individuare correttamente solo quei fatti che siano reale manifestazione della specifica capacità contributiva che il medesimo vuole colpire con una determinata imposta; tali norme, quindi, non rivestono carattere di specialità, in quanto operano in modo sistematico nel delimitare l’ambito oggettivo del tributo in chiave con la ratio ad esso sottesa e possono essere ricondotte a quelle ipotesi ove il presupposto astrattamente considerato imponibile dalla norma venga già colpito da altro tributo o se ne presuma l’inesistenza per la sua modesta entità o per la sua marginalità; le norme che prevedono le esenzioni, invece, si configurano come vere e proprie disposizioni speciali, in quanto dettano una specifica disciplina giuridica per situazioni nelle quali si verifica il fenomeno economico colpito dalla norma impositiva, e, a differenza delle esclusioni, introducono delle deroghe alle regole designate, in ordine al presupposto del tributo, dalla norma impositrice, esonerando dall’imponibilità fattispecie che altrimenti rientrerebbero nell’ambito applicativo del tributo stesso; mentre le esclusioni d’imposta sono dunque rinvenibili nelle ipotesi in cui la mancata applicazione del tributo è giustificata da valutazioni di estraneità relative al tributo stesso,
si è in presenza di un’esenzione, invece, nel caso in cui il beneficio fiscale mira a creare posizioni di favore, in funzione del perseguimento di determinate finalità decise dal legislatore, cosicché le esclusioni sono determinate da considerazioni che possono qualificarsi in termini di mancanza di capacità contributiva che sarebbe colpita da quel tributo, le esenzioni, viceversa, hanno un valore soltanto strumentale in funzione di finalità per lo più estranee all’ordinamento tributario, per cui deve ritenersi che esse derogano alla normale disciplina dei tributi».
13.2. In dottrina si è, dunque, ritenuto che le esenzioni sono disposizioni che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di un tributo, ipotesi che sarebbero imponibili in base alla definizione generale del presupposto.
Le esclusioni, invece, risultano da disposizioni con cui il legislatore chiarisce i limiti di applicazione del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali. L’esclusione, quindi, costituisce una revisione che concorre a definire il presupposto del tributo.
Pertanto, il binomio di riferimento è rappresentato da: proventi esclusi-spese deducibili; proventi esenti-spese non deducibili.
13.3. Nel caso in esame, non v’è dubbio (Cass. n. 25614 del 2024), che ci si trovi dinanzi ad una vera e propria esenzione, sia perché l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 prevede un’espressa esenzione per lo Stato («Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province »), sia perché si ha esenzione quando una norma di diritto singolare (l’art. 49 richiamato appunto) sottrae all’imposizione situazioni e soggetti che, altrimenti, ricadrebbero nell’ambito della previsione
della norma impositiva (art. 38 del d.lgs. n. 507 del 1993 «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico»).
Ad una norma impositiva generale si contrappone, allora, una norma particolare, la quale esclude l’applicazione del tributo a situazioni comprese nella fattispecie della norma generale.
Al contrario, si ha esclusione soltanto nel caso in cui si è in presenza di situazioni sostanzialmente estranee alla norma impositiva per l’assenza del fenomeno economico colpito da tale norma, come accade, appunto, per i dividendi societari che, dopo la riforma del 2003 (d.lgs. n. 344 del 2003), vengono tassati solo in capo alla società che li ha prodotti, mentre sono fiscalmente irrilevanti in capo ai soci che li hanno ricevuti, anche se detta irrilevanza non è totale, ma solo per il 95%.
Non convince, quindi, l’asserto dell’API, per cui «nel caso dell’infrastruttura autostradale l’ente locale è del tutto privo di qualsiasi autorità e/o potere dispositivo, che compete esclusivamente allo Stato: la totale assenza di qualsiasi potere/potestà dell’ente locale sull’infrastruttura autostradale conferma dunque che la presente fattispecie è esclusa dall’ambito applicativo COSAP».
Al contrario, invece, proprio la distinzione tra i concetti di esclusione ed esenzione di imposta, conduce ad un risultato diametralmente opposto a quello invocato dall’API.
La norma applicata, ossia l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 chiarisce che si tratta di «esenzione», e non di esclusione.
14. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, lettera g e gbis , del d.lgs. n. 446 del 1997, e degli articoli 24, comma 7, e 43, comma 3, pro tempore vigenti, regolamento COSAP del
Comune di Ferrara, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: assenza dei presupposti legali per l’applicazione della sanzione irrogata per ‘omesso versamento’ e violazione dei principi di legalità, specificità e tassatività».
Con gli avvisi impugnati è stata irrogata nei confronti della società la sanzione per omesso o tardivo pagamento, pari al 30% del canone chiesto in pagamento ex art. 41, comma 4, del regolamento comunale.
La Corte d’appello ha ritenuto la legittimità della sanzione comminata per l’occupazione di spazi di pertinenza del Comune da parte di autostrade in difetto di autorizzazione comunale, e quindi abusiva.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito la sanzione per ‘omesso pagamento’ prevista dal regolamento comunale non trova riscontro in alcuna norma di legge.
Ed infatti, l’art. 63, comma 2, lettera gbis , del d.lgs. n. 446 del 1997, riguarda esclusivamente la ‘misura’ minima-massima della sanzione irrogabile, ma non anche l’individuazione della condotta punibile.
15. Il motivo è infondato.
Invero, è sufficiente leggere l’art. 63, comma 2, lettera g-bis, del d.lgs. n. 446 del 1997, che quantifica la misura della sanzione, per un importo non inferiore all’ammontare della somma di cui alla lettera G), né superiore al doppio della stessa, per comprendere che vi era un rimando espresso proprio a tale lettera G).
L’art. 66, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 446 del 1997, prevede che regolamento comunale si è informato ai seguenti criteri: g) «applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando
permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto dal competente pubblico ufficiale».
Pertanto, il principio di legalità risulta pienamente rispettato, con applicazione della sanzione anche alle ipotesi di occupazione abusiva, quindi in caso di omesso versamento proprio in ragione della mancata richiesta di autorizzazione comunale.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 4 legge numero 689/1981, in relazione all’art. 360, primo comma, numero 3, c.p.c.: inapplicabilità della sanzione per esistenza di una causa di esclusione della responsabilità».
La Corte d’appello ha evidenziato, in relazione all’art. 4, comma 1, della legge numero 689 del 1981, che potevano essere richiamati principi della suprema Corte.
Per la Corte territoriale, quindi, la scelta di assoggettare l’occupazione di suolo pubblico provinciale o comunale al pagamento di un canone e, d’altra parte, essa stessa espressione della volontà dello Stato.
Ad avviso della ricorrente invece, la decisione impugnata non ha considerato che «l’adesione della società alla già citata concessione con Anas (ed ora con il limite) rappresenta la necessaria e vincolata conseguenza degli impegni assunti per la realizzazione della rete autostradale nel territorio nazionale, come sanciti a livello legislativo nei provvedimenti richiamati».
Pertanto, tale situazione «legittima e legale» consente di escludere qualsiasi responsabilità ai fini sanzionatori, non potendo la società rispondere «delle violazioni amministrative»,
commesse «nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima».
16.1. Il motivo è infondato.
Non può non ribadirsi che la concessione autostradale rappresenta provvedimento applicativo ben diverso dall’autorizzazione comunale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
Deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte per cui il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) costituisce il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni, sicché la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass., sez. 1, 10/6/2021, n. 16395).
Neppure si può sostenere che nella fattispecie in esame sarebbe imputabile a monte allo Stato la volontà di occupazione, per mezzo dell’attraversamento da parte del viadotto autostradale, del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729, recante «Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali».
Infatti, la portata degli effetti di tale affermazione va commisurata alla volontà, altrettanto statale, nella predisposizione con la successiva normativa di finanza derivata per gli enti locali di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, nella parte in cui ha istituito la TOSAP ed il relativo regime di esenzione, con
norme soggette ad interpretazione restrittiva (Cass., sez. 6-5, n. 19693 del 2018).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo