Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20708 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16869/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 2173/2018 depositata il 22/11/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. 240775 del 22 luglio 2009, la Provincia di Teramo chiedeva ad RAGIONE_SOCIALE il pagamento del canone relativo al 2008, quantificato in €10.896,65, preteso per le occupRAGIONE_SOCIALE di spazi e aree pubbliche (RAGIONE_SOCIALE), con riferimento alle strade provinciali sottostanti ai pontoni autostradali, e delle relative sanzioni. Con atto di citazione notificato il 4 novembre 2009, RAGIONE_SOCIALE conveniva la Provincia dinanzi al Tribunale di Teramo, che, con sentenza n. 231/2013, dichiarava che ‘ RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’avviso di accertamento RAGIONE_SOCIALE relativo all’anno 2008 prot. 240773 del 22.7.09 è tenuta a pagare alla Provincia di Teramo le sole voci relative al canone RAGIONE_SOCIALE oltre agli interessi di mora calcolati solo su tali voci ed alle spese di notificazione’, mentre per quanto riguardava le sanzioni amministrative dichiarava che la Provincia non avrebbe potuto chiederne il pagamento ‘ in altra e diversa forma prima della formazione del titolo costituito dall’ordinanza -ingiunzione di cui all’art. 18 della citata legge (n. 689/1981)’.
Avverso detta sentenza, RAGIONE_SOCIALE proponeva appello innanzi alla Corte di Appello di L’Aquila, resistito dalla Provincia con appello incidentale, con il quale chiedeva, in riforma della sentenza di primo grado, il riconoscimento della legittimità della richiesta di pagamento delle sanzioni; prima della sentenza, la Provincia rinunciava all’appello incidentale, avendo RAGIONE_SOCIALE provveduto al pagamento a seguito di apposita ordinanza -ingiunzione ex L. n. 689/1981.
Con sentenza n. 2173/2018, pubblicata in data 22 novembre 2018, la Corte di Appello di L’Aquila respingeva l’appello principale e dichiarava inammissibile, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, l’appello incidentale. Nella specie la Corte di Appello di L’Aquila osservava che: (i) come statuito dalla Corte di Cassazione (Cass.19693/2018), ‘ l’esenzione (…) postula che l’occupazione sia ascrivibile al soggetto esente sicché ove la stessa avvenga a opera di RAGIONE_SOCIALE in qualità di concessionaria per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica alla stessa non spetta l’esenzione, senza che assuma rilevanza che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione, tenuto conto delle finalità lucrative dell’attività di impresa svolta da una RAGIONE_SOCIALE … ‘; (ii) circa l’asserita necessità di verificare in concreto l’effettiva sottrazione dello spazio all’uso pubblico, era applicabile il principio, ritenuto estensibile anche al canone RAGIONE_SOCIALE, secondo cui ‘ l’attraversamento da parte di un viadotto autostradale del suolo comunale, sebbene sia previsto dalla legge, è assoggettato a TOSAP in virtù dell’art. 38, comma 2 del d.lgs. n. 507/93 ‘; (iii) non era necessario che l’occupazione fosse abusiva, ma era sufficiente che riguardasse uno spazio, nella specie sovrastante, un’area demaniale o patrimoniale della Provincia, ed era dovuto da qualunque occupatore, anche di fatto, di una porzione del territorio sottratta all’uso pubblico (artt.2 e 29 del regolamento provinciale).
Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di ricorso e resistito con controricorso dalla Provincia di Teramo.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. L’istanza in data 16 -2 -2024 presentata dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite è stata rigettata con provvedimento della Prima Presidente in data 1 -3 -2024. La Procura
Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 1 del d.lgs. n. 446/97, delle leggi n. 729/1961 (Piano di nuove costruzioni stradali e autostradali in specie artt. 1 – 2 -6 – 7 – 8 – 12) e n. 385/68 (Modifiche ed integrRAGIONE_SOCIALE alla legge 24 luglio 1961, n. 729 concernente il piano di nuove costruzioni stradali e autostradali), dell’art. 1 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Teramo (approvato ex art. 52 del d. lgs. n. 446/97 con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 100 del 28 dicembre 2001 e successive modifiche e integrRAGIONE_SOCIALE), in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto sufficiente che l’occupazione riguardasse lo spazio sovrastante un’area demaniale o patrimoniale della Provincia, a prescindere dall’abusività dell’occupazione, inesistente nel caso di specie, poiché lo spazio sottostante il tracciato dei pontoni autostradali è destinato alla costruzione dell’autostrada; (ii) con il secondo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art.63, comma 1 del d. lgs. n.446/1997 e dell’art. 30 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Teramo, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito erroneamente affermato che l’esenzione prevista per lo Stato postula l’ascrivibilità dell’occupazione al soggetto esente, sicché, ove la stessa avvenga ad opera della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in qualità di concessionaria per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetterebbe l’esenzione, nonché per non avere la Corte di merito considerato che la realizzazione e gestione dell’opera è finalizzata alla realizzazione degli scopi istituzionali dello Stato e all’interesse della collettività; (iii) con il terzo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art.9, comma 1, l.n.729/1961, dell’art.63,
comma 1 del d. lgs. n. 446/1997 e degli artt. 2, 12, 29 e 49 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Teramo, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il viadotto autostradale sovrastante il suolo pubblico precluderebbe alcune delle possibilità di utilizzazione dell’area, senza considerare che sull’area in questione passa una strada provinciale, che di per sé esclude qualsiasi altra forma di utilizzazione (edificatoria e/o agricola), e che il sedime sottostante al viadotto autostradale sarebbe qualificabile come pertinenza dell’opera pubblica autostradale.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza formulata da parte ricorrente di trattazione del ricorso in pubblica udienza, attesa la sussistenza di una giurisprudenza consolidata di questa Corte in senso contrario alla tesi sostenuta nel ricorso. Al riguardo non rilevano le decisioni del Consiglio di Stato richiamate dalla ricorrente (sentenze nn.10010, 10011, 10012, 10013, 10014, 10015, 10016, 10017, 10018 e 10130 del 2023), come non rileverebbero neppure precedenti della giurisprudenza di merito, poiché esse – in presenza di specifiche pronunce di questa Corte in materia -non costituiscono, di per sé sole, riscontro d ella fondatezza dei tre motivi di ricorso, tutti aventi ad oggetto presunti vizi di violazione di legge, ossia il vizio tipico denunciabile in Cassazione, attesa la funzione nomofilattica della Corte di legittimità. Si è, invero, osservato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentRAGIONE_SOCIALE intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermRAGIONE_SOCIALE in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentRAGIONE_SOCIALE in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dalla ricorrente, fermo restando, all’evidenza, il vaglio degli argomenti addotti dalla giurisprudenza amministrativa al fine di un’ eventuale modifica degli orientamenti di questa Corte, caso non ricorrente nella specie. Diversamente opinando, verrebbe ad essere impedito alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 24298/2016; Cass.16600/2020; Cass. Sez. U. 23745/2020; Cass. 18998/2021).
Ciò posto, nel merito, i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Le questioni oggetto del contendere, come si è anticipato, sono state decise più volte da questa Corte con l’affermazione di principi condivisi integralmente dal Collegio e ormai consolidati (cfr. oltre a quelle citate nella sentenza impugnata e nel citato provvedimento della Prima Presidente, tra le tante Cass.16395/2021 e da ultimo Cass. 709/2022; Cass. 2486/2024; Cass.15171/2024; Cass.15186/2024 ), e le articolate censure svolte in ricorso, così come le ragioni esplicitate dalla giurisprudenza amministrativa nelle sentenze richiamate dalla ricorrente, non offrono argomentRAGIONE_SOCIALE idonee a supportare un mutamento di indirizzo.
Riepilogando in sintesi il quadro normativo di riferimento e i principi affermati da questa Corte, occorre premettere che il RAGIONE_SOCIALE è stato istituito con il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che ha previsto all’art. 63, primo comma, come modificato dalla legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31 e vigente ratione temporis , che: “i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo 2^ del d.lgs. 15 novembre 1993, n.507. I comuni e le province
possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa ‘. Quest’ultimo articolo ha attribuito, dunque, a comuni e province la facoltà di escludere, nell’ambito dei rispettivi territori, l’applicazione della tosap e di prevedere e disciplinare, con specifico regolamento, che -in sostituzione di detta tassa -l’occupazione di spazi ed aree pubbliche sia soggetta al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa cosap. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che la tosap ed il cosap ” hanno natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico ” (Cass. 16395/2021 sul richiamo a Cass.n.24541/2019 e a Cass. Sez. U.n.12167/2003). Dunque, il cosap risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o
eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico (tra le tante Cass.16395/2021; Cass. 17296/2019; Cass. 10733//2018).
4.1. E’ stato altresì chiarito che il soggetto obbligato a corrispondere il cosap è chi pone in essere l'”occupazione”, titolata su atto di concessione o abusiva (Cass. 12167/2003), degli spazi e delle aree del demanio, mentre l’esenzione postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato, o nel demanio comunale e provinciale, da parte di una RAGIONE_SOCIALE concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione, in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (Cass. 11886/2017; Cass.19693/2018).
4.2. E’ stato anche condivisibilmente aggiunto che tale quadro giurisprudenziale -in relazione alla fattispecie in esame di occupazione di fatto (effettuata, cioè, in assenza del titolo concessorio rilasciato dalla provincia) -non è mutato a seguito della sentenza a Sezioni Unite n.8628 del 07/05/2020, che, affrontando l’antitetico tema della legittimazione passiva in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, ha affermato che «In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 507 del 1993, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo
irrilevante, ai fini passivi di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica».
E’ dirimente, pertanto, rimarcare, nelle ipotesi, come quella che si sta scrutinando, in cui l’occupazione non sia assistita da un atto concessorio della Provincia, l’attività di gestione economica e funzionale del bene, effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE concessionaria e le finalità lucrative proprie dell’attività d’impresa svolte dalla medesima, ciò determinando l’effetto di escludere l’estensione dell’esenzione – della quale fruisca il soggetto autorizzato -alle occupRAGIONE_SOCIALE connesse e conseguenti a tali attività e finalità. Questo principio risulta evidentemente applicabile anche al RAGIONE_SOCIALE -ove il regolamento abbia previsto l’esenzione a favore dell’ente concedente.
4.3. Nel caso in esame, la Provincia di Teramo si è avvalsa della facoltà attribuitale dal citato art. 63 ed ha istituito il RAGIONE_SOCIALE con Regolamento, prevedendo all’art.29 -in linea con la normativa richiamata -che il canone è dovuto dall’intestatario dell’autorizzazione o, in mancanza di regolare autorizzazione/concessioni o nulla osta, è dovuto dal titolare dell’occupazione -sia esso proprietario o affittuario o usufruttuario o occupante di fatto anche abusivo; ha altresì introdotto, all’art.30 l’esenzione per le occupRAGIONE_SOCIALE effettuate dallo Stato, in applicazione di quanto già previsto dall’art.49, comma 1, del d.lgs. n.507/1993.
4.4. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi e risulta immune dai vizi denunciati.
Inconferenti sono le deduzioni circa la mancanza di ‘effettiva sottrazione’, perché il cosap è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilità particolare o eccezionale che ne trae il singolo (cfr. Cass. S.U. 61/2016).
Corretta, inoltre, è la qualificazione dell’occupazione effettuata dalla Corte di merito, atteso che essa pacificamente è attuata in assenza di titolo concessorio della Provincia e “di fatto” effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente, quale RAGIONE_SOCIALE concessionaria dell’infrastruttura autostradale, circostanza, anche questa, incontroversa.
Parimenti corretto è il rilievo dirimente attribuito dalla Corte di merito al fatto che l’occupazione della concessionaria per la gestione dell’infrastruttura autostradale, destinata a protrarsi per un lungo periodo di tempo, è finalizzata al conseguimento di un utile economico da parte dell’impresa, calcolato sulla differenza tra il canone concessorio corrisposto all’ente concedente e gli utili provenienti dalla gestione della infrastruttura, il che ulteriormente avvalora, alla luce dei ricordati principi, l’inapplicabilità dell’esenzione prevista in favore dello Stato.
Va in radice esclusa, inoltre, nella specie, la violazione del ‘principio di non discriminazione’ secondo il diritto europeo tra RAGIONE_SOCIALE in proprietà privata e RAGIONE_SOCIALE in proprietà pubblica, pure dedotta dalla ricorrente. Come si è visto, secondo il regolamento cosap ora in esame e alla stregua della citata disciplina e dei suesposti principi, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente (cfr. Cass. 17296/2019, in una fattispecie relativa all’occupazione permanente di spazi pubblici ad opera delle aziende di erogazione di servizi pubblici o di quelle che svolgono attività ad essi strumentali).
Occorre, pertanto, che l’occupazione sia direttamente ascrivibile ad uno degli enti indicati nell’art.30 del regolamento, sicché non è ipotizzabile la violazione del suddetto principio nel senso invocato, dovendo ribadirsi che l’esenzione non opera ove l’occupazione sia invece ascrivibile ad una RAGIONE_SOCIALE concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica “in quanto è detta RAGIONE_SOCIALE ad
eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione” (da ultimo tra le tante Cass. 16395/2021 citata).
In relazione alla fattispecie in esame, l’attività di gestione economica e funzionale del pontone autostradale da parte dalla ricorrente, integra, come correttamente affermato dalla Corte di merito, una occupazione di fatto dello spazio sovrastante alla INDIRIZZO provinciale, realizzata dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente in forza di concessione dell’RAGIONE_SOCIALE e in assenza del titolo concessorio rilasciato dalla provincia di Teramo.
Infine, inconferente, nel delineato contesto, è anche il riferimento all’appartenenza dell’autostrada al demanio statale ex art.822 cod. cod. ed è altresì marginale e priva di decisività l’indagine sulla effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e del pontone che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante (così anche da ultimo Cass. 10351/2023; Cass. 2486/2024) . Infatti la proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza -integrativa del presupposto di applicazione del cosap da parte della provincia di Teramo -secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la RAGIONE_SOCIALE disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di “occupazione” del sottostante suolo provinciale, anche se, si ribadisce, solo per proiezione.
4.5. Partendo proprio da quest’ultima considerazione, che il Collegio intende qui ribadire, non può condividersi la diversa ricostruzione, a cui ha prestato adesione la Procura Generale, fornita dal giudice amministrativo con le sentenze allegate dalla ricorrente, emesse in giudizi instaurati da RAGIONE_SOCIALE avverso verbali di accertamento relativi a sanzioni amministrative pecuniarie per ‘occupazione abusiva’.
Le citate pronunce del Consiglio di Stato, che, peraltro, non si confrontano con l’ormai consolidato indirizzo di questa Corte di cui si è dato conto, offrono una lettura ermeneutica del ‘combinato disposto’ delle norme in discussione non rispondente al dettato complessivo della stessa disciplina nei termini precisati e non rispettosa dei suesposti principi, oltre che contrastante con il tenore letterale delle previsioni del regolamento cosap ora in esame. In particolare, come si è rimarcato, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al cosap, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente, il che incontrovertibilmente non è nella specie.
Il Consiglio di Stato afferma: ‘ … l’art. 1 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Teramo regolamentava, in ordine ai periodi su cui si controverte, le fattispecie di ‘occupazione onerosa, permanente o temporanea, di strade, aree e relativi spazi sovrastanti o sottostanti, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile della Provincia di Teramo ovvero di proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge’, per le quali era prescritto il rilascio di apposita concessione. Il successivo art. 2 (‘Soggetti attivi e passivi’) chiariva quindi che ‘Il canone è dovuto all’Ente proprietario del suolo dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’ occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio’. Dal combinato disposto delle norme che precedono discende -a contrario -che sono escluse dall’ambito applicativo del RAGIONE_SOCIALE le occupRAGIONE_SOCIALE che non necessitano di concessione provinciale, ossia quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo ‘.
A detto ragionamento, invero espresso per sillogismo a contrario non del tutto lineare , osta proprio il disposto dell’art.30 del regolamento provinciale cosap applicabile ratione temporis, a mente del quale sono esentate dal pagamento del canone ‘ le occupRAGIONE_SOCIALE effettuate dallo stato, dalle regioni, provincie, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello stato, da enti pubblici e privati, diversi dalle RAGIONE_SOCIALE, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità educazione, cultura e ricerca scientifica ‘. La norma prevede l’esenzione per le occupRAGIONE_SOCIALE effettuate dallo Stato, in applicazione di quanto già previsto dall’art.49, comma 1, del d.lgs. n.507/1993, individua specificamente i soggetti esenti ed è da ritenersi di stretta interpretazione, poiché introduce un’eccezione alla regola generale.
A ciò si aggiunga che l’assoggettamento al canone, con facoltà di eventuale è prevista anche nelle ipotesi di ‘occupRAGIONE_SOCIALE ritenute di particolare interesse pubblico e in particolare per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali’, ai sensi dell’art. 63, comma 2, lett. e), D. Lgs. n. 446/1997 vigente ratione temporis , il che elude la rilevanza attribuibile al fatto che si tratta di beni appartenenti al demanio ‘ involgenti interessi di più ampio rilievo ‘, contrariamente a quanto pare valorizzare la giurisprudenza amministrativa, come rimarcato anche dalla controricorrente.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2024.