Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23233 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8037/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso dall’Avvocato NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali chiedono di ricevere le comunicazioni ai propri indirizzi di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
PROVINCIA DI TERAMO, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale conferita sul documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto al controricorso, preposto al Settore Avvocatura dell’Ente, il quale chiede di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, n. 1421/2023, depositata in data 2/10/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi API) proponeva domanda per l’accertamento negativo in relazione al COSAP per l’anno 2014, per l’occupazione del soprassuolo di strade provinciali mediante cavalcavia autostradali, nei confronti della Provincia di Teramo.
L’API evidenziava l’inesistenza dei presupposti di legge. In subordine, reputava sussistere una causa di esenzione, essendo stata effettuata l’occupazione ad opera dello Stato.
Il Tribunale rigettava le domande di API, affermando che, ai sensi dell’art. 1 del Regolamento COSAP, emesso dalla Provincia, era soggetto al pagamento anche l’occupante di fatto di area pubblica, prescindendosi dall’esistenza o meno di un provvedimento di concessione della Provincia.
Tra l’altro, API era l’unico soggetto beneficiario, a livello economico, dell’utilizzazione dell’area.
Le esenzioni di cui all’art. 30 del Regolamento dovevano considerarsi tassative, non potendo essere ampliate per analogia.
Interponeva appello l’API, evidenziando con il primo motivo l’assenza dei presupposti, in quanto la decisione di costruire un’autostrada promanava dalla volontà statale, deliberata con legge dello Stato ed attuata da apposita convenzione.
Ai sensi dell’art. 822 c.c. le autostrade erano parte del demanio statale.
Con il secondo motivo di appello l’API si doleva della «mancata applicazione dell’esenzione prevista dall’articolo 30 del regolamento provinciale, che stabilisce, al primo comma, che sono esenti dal canone le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dai loro consorzi».
Con il terzo motivo di impugnazione l’appellante lamentava che il giudice di primo grado non aveva riconosciuto la necessità di verificare in concreto la sottrazione dello spazio all’uso pubblico.
5. La Corte d’appello dell’Aquila rigettava il gravame con sentenza n. 1421 del 2/10/2023.
In particolare, con riferimento ai primi due motivi di gravame, la Corte territoriale richiamava i principi affermati dalla Corte di cassazione, per cui il COSAP non costituiva un corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, ma era dovuto in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne traeva il singolo.
Il soggetto obbligato a corrispondere il COSAP era chi poneva in essere l’occupazione, titolata su atto di concessione o abusiva, degli spazi e delle aree del demanio.
Richiamando talune pronunce di questa Corte, si evidenziava che non rilevava che il viadotto fosse di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritornasse in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure era funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, era gestito in regime di concessione da un ente che agiva in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni.
Circa la natura del COSAP, si evidenziava che costituiva corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico.
Non spettava l’esenzione in quanto la società concessionaria aveva eseguito la costruzione dell’opera e provvedeva alla gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che la stessa era di proprietà dello Stato, al quale sarebbe ritornata la gestione al termine della concessione.
L’occupazione era avvenuta senza autorizzazione da parte dell’ente locale ed era quindi da considerarsi abusiva.
Il viadotto impediva l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante ed anche l’utilizzo agricolo riferito a determinate colture 6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l’RAGIONE_SOCIALE (API).
Ha resistito con controricorso la Provincia di Teramo, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso la società deduce la «violazione e falsa applicazione dell’articolo 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997; dell’art. 1 del Regolamento Prov. COSAP della Provincia di Teramo (approvato ex articolo 52 d.lgs. n. 446/1997); delle leggi n. 463/1955 (‘Provvedimenti per la costruzione di autostrade strade’, in specie articoli 1-2), n. 729/1961 (‘Piano di nuo -ve costruzioni stradali ed autostradali’, in specie articoli 1-2-67-8-12) e n. 385/1968 (‘Modifiche ed integrazioni alla legge 24 luglio 1961, n. 729, concernente il piano di nuove costruzioni stradali autostradali’), in relazione all’articolo 360, primo com -ma, n. 3, c.p.c.: assenza del presupposto applicativo del canonecorrispettivo».
Manca, in realtà, un formale atto di concessione e/o autorizzazione rilasciato dall’ente territoriale per l’occupazione dello spazio pubblico da parte della società autostradale.
Non si comprende per quale ragione la disponibilità delle aree occupate dall’infrastruttura autostradale non è soggetta ai limiti temporali e di uso prescritti dal Regolamento provinciale.
La Provincia non può rinnovare, modificare, sospendere o revocare la disponibilità degli spazi occupati con l’infrastruttura autostradale.
La Provincia, infatti, non ha mai provveduto, né può provvedere, alla rimozione dell’infrastruttura.
La costruzione dell’autostrada è stata deliberata con legge dello Stato, sicché l’occupazione non può essere qualificata come ‘di fatto’, essendo piuttosto fondata su uno specifico titolo giuridico che trova la propria fonte direttamente nella legge.
Difetta, allora, il presupposto applicativo del canone.
In tal senso depongono anche la nota del Mit n. 15776 del 21/6/2023 e la nota n. 17841 del 7/7/2023.
L’ente locale ha dunque perso e non dispone più di alcun potere, né può rilasciare alcuna propria concessione al riguardo.
Neppure vale obiettare che la normativa sopra richiamata sarebbe stata superata dal d.lgs. n. 446 del 1997, successivamente intervenuto ai fini del riordino della disciplina dei tributi locali e ai fini della istituzione del COSAP.
Le due procedure hanno infatti ambiti di applicazione non sovrapponibili.
Le leggi dello Stato n. 463/1955 e n. 729/1961 hanno sottratto alla disponibilità dell’ente locale le volumetrie necessarie per realizzare l’autostrada; l’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997 ha previsto per comuni e province la possibilità di istituire il COSAP
sulle «aree residue», cioè in relazione alle occupazioni del demanio/patrimonio indisponibile appartenente all’ente locale.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’articolo 63, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997 e dell’articolo 30 del Regolamento COSAP della Provincia di Teramo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: esenzione COSAP per le occupazioni ‘effettuate dallo Stato’».
Per la ricorrente, nel caso di cavalcavia autostradali si verifica, in realtà, un’occupazione dello spazio pubblico non ad opera della società concessionaria, ma da parte dello Stato stesso, quale effettivo titolare del bene demaniale ‘autostrade’, realizzata per il perseguimento dei suoi fini istituzionali.
L’attraversamento nel territorio della Provincia di Teramo con rete autostradale deriva da una concessione a tutt’oggi riferibile direttamente allo Stato.
L’occupazione dello spazio pubblico è avvenuta «non ad opera della società concessionaria, ma da parte dello Stato stesso, quale effettivo titolare del bene demaniale ‘autostrada’, realizzata per il perseguimento dei suoi fini istituzionali , come tale esonerata dal canone ex articolo 30 del regolamento provinciale».
Quanto all’argomento della Corte d’appello in base al quale la società RAGIONE_SOCIALE sarebbe assoggettata al canone in ragione del fatto che svolge un’attività economica lucrativa, la ricorrente eccepisce che i profitti dell’attività di concessionario vengono regolarmente assoggettati alla ordinaria fiscalità erariale (IRES e IRAP). L’ordinamento non prevede tributi locali sui profitti aziendali, mentre ogni onere gravante sul concessionario, in base alla convenzione, deve essere considerato computato in tariffa.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del Regolamento COSAP della provincia di Teramo, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: ‘effettiva sottrazione’ come presupposto del COSAP».
La Corte d’appello ha ritenuto che la Provincia di Teramo abbia indicato con precisione i criteri di determinazione del canone applicato, nel rispetto dell’art. 29 del Regolamento provinciale, che stabilisce che il canone va determinato in proporzione alla superficie sottratta all’uso pubblico espressa in metri quadrati, senza alcun riferimento all’altezza dei ponti autostradali.
Tale affermazione sarebbe errata in quanto la ‘effettiva sottrazione’ è parametro stabilito dall’art. 2 del Regolamento provinciale.
In realtà, ad avviso della ricorrente, il canone deve essere escluso se «in concreto, non sussiste alcuna limitazione alla libera circolazione di uomini e mezzi sulla strada provinciale (perché, ad esempio, non vi è interferenza del sovrappasso autostradale rispetto alla circolazione sulla strada sottostante, stante l’altezza della infrastruttura stessa, né alcun restringimento della carreggiata tale da ostacolare la guida o il passaggio di pedoni e/o veicoli)».
I motivi primo, secondo e terzo di impugnazione, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
Si impone, preliminarmente, per ragioni di chiarezza una ricostruzione normativa.
5.1. Ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, invero, si prevede: «sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei
corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province».
Al comma 2 si prevede: «Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande e simili infissi di carattere stabile…».
5.2. Ai sensi dell’art. 39 (Soggetti attivi e passivi) del d.lgs. n. 507 del 1993, poi, «la tassa è dovuta al Comune o alla Provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio».
5.3. L’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 15 novembre 1993 dispone anche: «Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province…’.
Il nuovo d.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, poi, ha stabilito all’art. 63, che: «I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa Il regolamento è informato ai seguenti criteri: b) classificazione in categorie di importanza delle strade, aree e spazi pubblici; c) indicazione della tariffa determinata sulla base della classificazione di cui alla lettera b),
dell’entità della occupazione, espressa in metri quadrati o lineari ; g) applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50%, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto dal competente pubblico ufficiale; gbis ) previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie di importo non inferiore all’ammontare della somma di cui alla lettera g) né superiore al doppio della stessa».
Questa Corte ha chiarito che il COSAP è stato introdotto nello ordinamento della finanza locale dal d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di abolire la tassa per l’occupazione degli spazi e delle aree pubblici e per la contestuale attribuzione alle province ed ai comuni della facoltà di prevedere, per l’occupazione, concessa o abusiva, di aree ricadenti nel demanio e nel patrimonio disponibile di loro rispettiva pertinenza, il pagamento di un canone commisurato alle esigenze di bilancio, al valore economico del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati ed all’aggravamento degli oneri di manutenzione di detti spazi.
Il COSAP, quindi, si è inserito nel solco di un processo politico-istituzionale inteso ad una sempre più vasta defiscalizzazione delle entrate rimesse alla competenza degli enti locali e risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Il titolo che legittima l’occupazione nel COSAP è costituito da un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di conces-
sione dell’uso esclusivo o speciale di detto suolo (Cass., n. 12167 del 2003, in motivazione).
6. Invero, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (in tal senso vedi Cass., 10/6/2021, n. 16395).
La TOSAP ed il COSAP hanno natura e presupposti impositivi differenti, in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico (Cass. n. 24541 del 2/10/2019; Cass., Sez. U, n. 12167 del 19/8/ 2003; di recente Cass., sez. 1, 25/9/2024, n. 25614).
Il COSAP, pertanto, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del COSAP è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico
(Cass. n. 17296 del 27/06/2019; Cass. n. 18037 del 06/08/ 2009; Cass. n. 3710 dell’8/02/2019; Cass. n. 10733 del 04/05/ 2018; Cass. n. 1435 del 19/01/2018; in motivazione, Cass. n. 9240 del 20/05/2020). Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016, n. 61 delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il COSAP è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.
6.1. Per quanto attiene alla individuazione del soggetto passivo obbligato a corrispondere il COSAP, ciò che interessa è proprio il presupposto costituito della condotta integrante l'”occupazione” degli spazi e delle aree demaniali (non rilevando la capacità contributiva).
Al fine di valutare tale presupposto è utile ricordare quanto affermato – con condivisibile principio – dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla TOSAP, in merito a fattispecie analoghe a quella in esame (occupazione dovuta ad infrastrutture autostradali), in cui cioè l’occupazione di aree o spazi demaniali sia stata attuata da opere e strutture che si assumono di proprietà dello Stato, e pertanto suscettibili di beneficiare di un’esenzione.
Questa Corte ha affermato, in maniera costante, che «in tema di TOSAP, il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e 39, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico, essendo in proposito irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione,
salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 del cit. decreto (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto soggetti alla tassa i viadotti autostradali in quanto impediscono l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante nonché l’utilizzo agricolo riferito a determinate colture, e costituiscono un impianto ai fini del D.Lgs. n. 507 cit., art. 38, comma 2, essendo formati da una costruzione completata da strutture – quali gli impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità)» (Cass. n. 28341 del 05/11/2019). Ha, quindi, rimarcato che l’esenzione postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato, o nel demanio comunale e provinciale, da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (Cass. n. 11886 del 12/05/2017; Cass., sez. 5, n. 11689 del 2017; Cass., sez. 5, 11/5/2017, n. 11688; Cass. n. 19693 del 25/07/2018; Cass. n. 28341 del 05/11/2019).
Tale quadro giurisprudenziale – in relazione alla fattispecie in esame di occupazione abusiva (effettuata, cioè, in assenza del titolo concessorio rilasciato dalla provincia) – non è mutato a seguito della sentenza a Sezioni Unite n. 8628 del 07/05/2020 che, affrontando l’antitetico tema della legittimazione passiva in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, ha affermato che «in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione
o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo irrilevante, ai fini passivi di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica».
Assumono, pertanto, decisivo rilievo e prevalenza, quale presupposto per l’individuazione del soggetto obbligato, – in un caso come il presente in cui l’occupazione non sia assistita da un atto concessorio del Comune – l’attività di gestione economica e funzionale del bene, effettuata dalla società concessionaria del soggetto esente, e le finalità lucrative proprie dell’attività d’impresa svolte dalla prima, con l’effetto di escludere l’estensione dell’esenzione alle occupazioni connesse e conseguenti a tali attività e finalità: questo principio risulta evidentemente applicabile anche al COSAP – ove il regolamento abbia previsto l’esenzione a favore dell’ente concedente -.
6.3. Nel caso in esame, la Provincia di Teramo si è avvalso della facoltà ed ha istituito il COSAP con Regolamento.
6.4. La sentenza impugnata si è conformata ai principi sopra enucleati.
6.5. Innanzi tutto, l’occupazione del demanio comunale di cui si tratta come da accertamento di fatto della Corte distrettuale, non direttamente impugnato, concerne l’occupazione di suolo pubblico per pontoni autostradali, che costituisce idoneo presupposto per l’applicazione del COSAP ex art. 63 cit.
6.6. L’occupazione in esame risulta poi essere “abusiva”, in quanto – alla stregua degli atti – risulta attuata in assenza di titolo concessorio della Provincia, e “di fatto” effettuata dalla API, quale
società concessionaria dell’infrastruttura autostradale, circostanze queste incontestate.
Il COSAP è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilità particolare o eccezionale che ne trae il singolo (Cass., sez. 1, 18/4/2023, n. 10351; Cass., Sez. U., 61/2016; di recente Cass., sez. 1, 25/9/2024, n. 25614).
La decisione impugnata è immune da vizi laddove ha ravvisato il presupposto soggettivo passivo dell’obbligazione nell’occupazione di fatto realizzata dalla società, concessionaria per la gestione dell’infrastruttura autostradale per un lungo periodo di tempo, destinata a ritrarre dalla gestione un proprio utile economico calcolato sulla differenza tra il canone concessorio corrisposto all’ente concedente e gli utili provenienti dalla gestione della infrastruttura stessa, con l’effetto di escludere, alla luce dei ricordati principi, la applicabilità dell’esenzione prevista in favore dello Stato (cfr. Cass. n. 16395 del 10/6/2021; anche Cass., n. 10351 del 2023; Cass., sez. 1, 25/9/2024, n. 25614).
A nulla rileva, poi, che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da una persona giuridica che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni (Cass. n. 11886 del 12/5/2017; Cass. n. 19693 del 25/7/2018; Cass., n. 28341 del 5/11/2019).
Infatti, la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza integrativa del presupposto di applicazione del COSAP da parte del Comune, se-
condo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di ‘occupazione’ del sottostante suolo comunale (Cass., 18/4/2023, n. 10351; anche Cass., 12 gennaio 2022, n. 708, in tema di COSAP; Cass., sez. 5, 11 gennaio 2022, n. 509, in tema di COSAP; anche Cass., sez. 5, 26/1/2024, n. 2512).
Questi elementi sono più che sufficienti a radicare la debenza del canone in capo alla concessionaria e occupante API, mentre risulta marginale e privo di decisività indagare la effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e dei pontoni che occupano per proiezione la strada provinciale sottostante, attesa la rilevanza dirimente della accertata ed indiscussa circostanza che la società ne disponeva per la gestione quale concessionaria ed in tal modo realizzava la condotta di “occupazione”.
Ben può essere condivisa, quindi, l’affermazione della Corte di appello secondo la quale l’obbligazione di pagamento del canone grava solo sul soggetto che occupa lo spazio pubblico in modo abusivo e di fatto, per avvalersene ai fini dell’attività d’impresa svolta.
Si è del resto ritenuto, in tema di TOSAP, che le finalità pubblicistiche, cui certamente è preordinata la gestione e manutenzione della rete autostradale, se pur imprimono alla riscossione dei pedaggi una preminente destinazione dei ricavi al perseguimento delle finalità proprie della realizzazione del tracciato autostradale, non annullano il perseguimento del profitto tipico della attività di impresa svolta da società per azioni, quale indubbiamente è la società RAGIONE_SOCIALE. Ciò che rende irrilevante la natura demaniale dell’autostrada ed il ritorno della stessa allo Stato al tempo della scadenza della concessione
(Cass., sez. 5, 30/5/2024, n. 15162; Cass., sez. 5, 1/12/2022, n. 35408; Cass., sez. 6-5, 25/7/2018, n. 19693, in tema di TOSAP).
Si è anche rilevato che non può convenirsi con l’assolutezza dell’affermazione, secondo cui nella fattispecie in esame sarebbe imputabile a monte allo Stato la volontà di occupazione, per mezzo dell’attraversamento da parte del viadotto autostradale, del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729, recante ‘Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali’. Se ciò è vero nelle sue premesse, la portata degli effetti va commisurata alla predisposizione della successiva normativa di finanza derivata per gli enti locali di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, che regola l’istituzione della TOSAP ed il relativo regime di esenzione, con norme, come si è detto, di stretta interpretazione (Cass., sez. 5, n. 15162 del 2024).
Le leggi citate dalla contribuente (21 maggio 1955, n. 463 e 24 luglio 1961, n. 729), relative alla realizzazione dell’autostrada sono anteriori al d.lgs. n. 507 del 1993, la cui disciplina ha sottoposto ad imposizione l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale (Cass., sez. 5, n. 15162 del 2024, in tema di TOSAP).
8.1. A ciò si aggiunga che, sebbene la realizzazione della rete autostradale sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale. L’art. 822 cod. civ. prevede, del resto, che le strade, le autostrade e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico se appartengono allo Stato e, cioè, rientrano nel demanio pubblico statale meramente eventuale, sicché è ben possibile che la
strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada appartenga ad altro ente.
Infine, l’art. 12, ultimo comma, della l. n. 729 del 1961, vigente ratione temporis , nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali.
In definitiva, occorre distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164).
Va anche rammentato che lo svolgimento di un’attività strumentale alla realizzazione di un fine pubblico non è sufficiente a giustificare l’esenzione dalla COSAP in quanto le disposizioni normative sono chiare nell’indicare la necessaria presenza di un ulteriore presupposto ai fini dell’applicazione dell’esenzione, ovvero che il soggetto occupante sia lo Stato (Cass., sez. 1, 29/5/2023, n. 15010).
Con l’ulteriore precisazione che, rispetto a quanto dedotto dalla ricorrente al fine di determinare se questo agisca in autonomia, oppure come longa manus delle amministrazioni statali, la presenza di vincoli di carattere pubblico alla gestione della concessione non depone a favore dell’esenzione, in quanto la apposizione di vincoli è attività tipica e fondamentale dell’agire pubblico nell’economia. Qualora lo Stato concedesse la gestione e lo sfruttamento economico dell’infrastruttura ad Autostrade per l’I-
talia senza imporle il rispetto di alcun vincolo nulla si frapporrebbe allo sfruttamento dell’infrastruttura ai soli fini di lucro, tale che la finalità pubblica per il quale lo Stato agisce sarebbe definitivamente e completamente annullata (Cass., sez. 1, 29/5/ 2023, n. 15010).
9.1. Ciò senza dimenticare la natura di stretta interpretazione delle norme tributarie che prevedano esenzioni o agevolazioni (Cass., sez. 5, 30/5/2024, n. 15162, in tema di TOSAP; che richiama Cass., sez. 5, 4/5/2016, n. 8869; Cass., sez. 5, 26/3/ 2014, n. 7037; Corte cost., n. 242 del 2017).
9.2. Deve aggiungersi che, per questa Corte (Cass., sez. 5, 22/1/2024, n. 2164; anche Cass., sez. 5, 23/1/2024, n. 2275), «anche laddove RAGIONE_SOCIALE fosse una società in house , la scelta della forma privata comporta la necessaria applicazione del regime previsto per gli altri soggetti privati, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessarie all’espletamento del compito pubblico assegnato (vedi art. 106, comma 2, del TFUE, che stabilisce che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata) o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad esempio, applicazione delle regole sul reclutamento del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al procedimento di evidenza pubblica, salvo che nei settori speciali)».
Inoltre, va in radice esclusa, nella specie, la violazione del «principio di non discriminazione» secondo il diritto europeo tra società in proprietà privata e società in proprietà pubblica,
dedotta dalla ricorrente. Come si è visto, secondo il Regolamento COSAP ora in esame e alla stregua dei suesposti principi, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al COSAP, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente (cfr. Cass. n. 17296/ 2019, in una fattispecie relativa all’occupazione permanente di spazi pubblici ad opera delle aziende di erogazione di servizi pubblici o di quelle che svolgono attività ad essi strumentali). Occorre, pertanto, che l’occupazione sia direttamente ascrivibile ad uno degli enti indicati nel regolamento comunale, sicché non è ipotizzabile la violazione del suddetto principio nel senso invocato, dovendo ribadirsi che l’esenzione non opera ove l’occupazione sia invece ascrivibile ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica «in quanto è detta società ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione» (da ultimo tra le tante Cass. n. 16395/2021 citata). In relazione alla fattispecie in esame, l’attività di gestione economica e funzionale del pontone autostradale da parte dalla ricorrente, integra, come correttamente affermato dalla Corte di merito, una «occupazione abusiva» dello spazio sovrastante alla strada provinciale, realizzata dalla società ricorrente in forza di concessione dell’ANAS e in assenza del titolo concessorio (in tal senso Cass., sez. 1, 18/4/2023, n. 10351).
Le sentenze amministrative citate dalla ricorrente non sono in grado di travolgere l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato (Cass., sez. 1, 18 aprile 2023, n. 10351).
Non è dirimente la dedotta assenza di poteri di rimozione o di riappropriazione del bene da parte del Comune, poiché tale
limite non vale ad escludere l’imposizione fiscale, semmai a confermarla, in ragione della perdurante occupazione (Cass. sez. 5, n. 15162 del 2024).
12.1. Inoltre, si è già chiarito (Cass., sez. 1, 25/7/2024, n. 20708) che le citate pronunce del Consiglio di Stato, che, peraltro, non si confrontano con l’ormai consolidato indirizzo di questa Corte di cui si è dato conto, offrono una lettura ermeneutica del “combinato disposto” delle norme in discussione non rispondente al dettato complessivo della stessa disciplina nei termini precisati e non rispettosa dei suesposti principi, oltre che contrastante con il tenore letterale delle previsioni del regolamento COSAP ora in esame. In particolare, come si è rimarcato, l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al COSAP, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto esente, il che incontrovertibilmente non è nella specie.
Il Consiglio di Stato afferma: «… l’art. 1 del Regolamento COSAP della Provincia di Teramo regolamentava, in ordine ai periodi su cui si controverte, le fattispecie di “occupazione onerosa, permanente o temporanea, di strade, aree e relativi spazi sovrastanti o sottostanti, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile della Provincia di Teramo ovvero di proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge», per le quali era prescritto il rilascio di apposita concessione. Il successivo art. 2 (“Soggetti attivi e passivi”) chiariva quindi che « canone è dovuto all’Ente proprietario del suolo dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio». Dal combinato disposto delle norme che
precedono «discende a contrario – che sono escluse dall’ambito applicativo del COSAP le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ossia quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l’occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo».
A detto ragionamento, invero espresso per sillogismo a contrario non del tutto lineare, osta proprio il disposto dell’art. 30 del Regolamento provinciale COSAP applicabile ratione temporis , a mente del quale sono esentate dal pagamento del canone «le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, provincie, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello stato, da enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità educazione, cultura e ricerca scientifica». La norma prevede l’esenzione per le occupazioni effettuate dallo Stato, in applicazione di quanto già previsto dall’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, che individua specificamente i soggetti esenti ed è da ritenersi di stretta interpretazione, poiché introduce un’eccezione alla regola generale.
A ciò si aggiunga che l’assoggettamento al canone, con facoltà di eventuale previsione di speciali «agevolazioni», è prevista anche nelle ipotesi di «occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e in particolare per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali», ai sensi dell’art. 63, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 446/1997 vigente ratione temporis , il che elude la rilevanza attribuibile al fatto che si tratta di beni appartenenti al demanio “involgenti interessi di più ampio rilievo”, contraria-
mente a quanto pare valorizzare la giurisprudenza amministrativa, come rimarcato anche dalla controricorrente.
Non è idonea al mutamento giurisprudenziale richiesto la nota del MIT prot. 15776 del 21/6/2023 che attiene alla costruzione delle infrastrutture pubbliche, fra cui autostrade.
In tal caso deve eseguirsi un «puntuale iter autorizzativo, il quale prevede, tra le altre cose, l’indizione e l’espletamento di un’apposita Conferenza di Servizi, nelle forme previste dall’articolo 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990, proprio al fine di consentire il coinvolgimento, oltre che del Concedente Ministero e del soggetto attuatore, di tutti gli Enti coinvolti, ovvero Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni e altri Enti territoriali».
La nota, che non ha natura normativa, disciplina la fase a monte, relativa alla costruzione dell’autostrada.
Ma, come detto, l’aver pianificato la rete autostradale da parte dello Stato, unitamente agli enti locali, nell’ambito della Conferenza di servizi, non esime la società concessionaria, che gestisce le autostrade, incassando i relativi profitti, dall’obbligo di pagare il COSAP per l’attraversamento dei pontoni sulle strade comunali o provinciali.
In realtà, la legge statale ha pianificato la costruzione dell’autostrada, anche attraverso la Conferenza di servizi, ma l’occupazione del suolo comunale o provinciale, quando vi è un regime concessorio di gestione delle autostrade – come nel caso in esame – comporta che l’ente gestore provveda al pagamento in favore degli enti locali territoriali. Se, invece, la gestione fosse rimasta allo Stato, scatterebbe l’esenzione.
Neppure rileva la nota del Mit n. 17841 del 7/7/2023 ove si prevede che «l’attività espletata dalle Società concessionarie autostradali trova esclusivo titolo giuridico nell’atto convenzionale
sottoscritto con il Ministero concedente senza che risulti necessario qualsiasi ulteriore titolo autorizzativo da parte di soggetti terzi, ivi inclusi Enti territoriali».
È evidente, infatti, che l’attività concessionaria svolta dall’API deriva dall’atto di convenzione stipulato con il Ministero concedente, ma, nella specie, si è verificata comunque un’occupazione di spazio pubblico, che resta disciplinata dalla normativa in tema di COSAP.
13.1. Quanto, poi, alla distinzione tra «esclusione» ed «esenzione», non si ritiene di aderire all’interpretazione per cui nella fattispecie in esame ci si troverebbe dinanzi ad una «esclusione» dall’imposta, perché fuori perimetro impositivo e non ad una esenzione.
Per l’API, dunque, nella specie non si sarebbe dinanzi ad un’ipotesi di esenzione, ma – al contrario – di una vera e propria ipotesi di esclusione.
Per la società «è escluso ciò che è estraneo ed ‘esterno’ all’ambito applicativo COSAP, per assenza/mancanza dei relativi presupposti soggettivi/oggettivi, e come tale non è soggetto tout court al relativo pagamento».
Diversamente «è esente ciò che, pur rientrando in detto ambito applicativo (con i conseguenti poteri dispositivi esercitabili dall’ente locale), non sconta comunque il pagamento del canone in ragione di specifiche ragioni ‘agevolative’ e/o di favore individuate dalla normativa stessa».
Si muove, dunque, dalla affermazione di questa Corte (Cass., sez. 5, 16/6/2023) per cui «…come posto in rilievo da attenta dottrina, che si è soffermata, in particolare, sulle differenze sussistenti tra le norme disciplinanti le esenzioni e le esclusioni tributarie, le norme che prevedono le esclusioni tributarie hanno la
funzione di delimitare i confini della fattispecie impositiva, ed esprimono la scelta del legislatore di individuare correttamente solo quei fatti che siano reale manifestazione della specifica capacità contributiva che il medesimo vuole colpire con una determinata imposta; tali norme, quindi, non rivestono carattere di specialità, in quanto operano in modo sistematico nel delimitare l’ambito oggettivo del tributo in chiave con la ratio ad esso sottesa e possono essere ricondotte a quelle ipotesi ove il presupposto astrattamente considerato imponibile dalla norma venga già colpito da altro tributo o se ne presuma l’inesistenza per la sua modesta entità o per la sua marginalità; le norme che prevedono le esenzioni, invece, si configurano come vere e proprie disposizioni speciali, in quanto dettano una specifica disciplina giuridica per situazioni nelle quali si verifica il fenomeno economico colpito dalla norma impositiva, e, a differenza delle esclusioni, introducono delle deroghe alle regole designate, in ordine al presupposto del tributo, dalla norma impositrice, esonerando dall’imponibilità fattispecie che altrimenti rientrerebbero nell’ambito applicativo del tributo stesso; mentre le esclusioni d’imposta sono dunque rinvenibili nelle ipotesi in cui la mancata applicazione del tributo è giustificata da valutazioni di estraneità relative al tributo stesso, si è in presenza di un’esenzione, invece, nel caso in cui il beneficio fiscale mira a creare posizioni di favore, in funzione del perseguimento di determinate finalità decise dal legislatore, cosicché le esclusioni sono determinate da considerazioni che possono qualificarsi in termini di mancanza di capacità contributiva che sarebbe colpita da quel tributo, le esenzioni, viceversa, hanno un valore soltanto strumentale in funzione di finalità per lo più estranee all’ordinamento tributario, per cui deve ritenersi che esse derogano alla normale disciplina dei tributi».
13.2. In dottrina si è, dunque, ritenuto che le esenzioni sono disposizioni che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di un tributo, ipotesi che sarebbero imponibili in base alla definizione generale del presupposto.
Le esclusioni, invece, risultano da disposizioni con cui il legislatore chiarisce i limiti di applicazione del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali. L’esclusione, quindi, costituisce una previsione che concorre a definire il presupposto del tributo.
Nella giurisprudenza di questa Corte è ritenuta un’ipotesi di esclusione, per esempio, quella relativa ai dividendi (utili) societari distribuiti ai soci, ex art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, a mente del quale «li utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente nella misura del 95 per cento».
13.3. Nel caso in esame, non v’è dubbio (vedi Cass., sez. 1, 25/9/2024, n. 25614), che ci si trovi dinanzi ad una vera e propria esenzione, sia perché l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 prevede un’espressa esenzione per lo Stato («Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province »), sia perché si ha esenzione quando una norma di diritto singolare (l’art. 49 richiamato appunto) sottrae all’imposizione situazioni e soggetti che, altrimenti, ricadrebbero nell’ambito della previsione della norma impositiva (art. 38 del d.lgs. n. 507 del 1993 «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico»).
Ad una norma impositiva generale si contrappone, allora, una norma particolare, la quale esclude l’applicazione del tributo a situazioni comprese nella fattispecie della norma generale.
Al contrario, si ha esclusione soltanto nel caso in cui si è in presenza di situazioni sostanzialmente estranee alla norma impositiva per l’assenza del fenomeno economico colpito da tale norma, come accade, appunto, per i dividendi societari che, dopo la riforma del 2003 (d.lgs. n. 344 del 2003), vengono tassati solo in capo alla società che li ha prodotti, mentre sono fiscalmente irrilevanti in capo ai soci che li hanno ricevuti, anche se detta irrilevanza non è totale, ma solo per il 95%.
Non convince, quindi, l’asserto dell’API, per cui «nel caso dell’infrastruttura autostradale l’ente locale è del tutto privo di qualsiasi autorità e/o potere dispositivo, che compete esclusivamente allo Stato: la totale assenza di qualsiasi potere/potestà dell’ente locale sul infrastruttura autostradale conferma dunque che la presente fattispecie è esclusa dall’ambito applicativo COSAP».
Al contrario, invece, proprio la distinzione tra i concetti di esclusione ed esenzione di imposta, conduce ad un risultato diametralmente opposto a quello invocato dall’API.
La norma applicata, ossia l’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993 chiarisce che si tratta di «esenzione», e non di esclusione.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 maggio