Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20194 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20194 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7403/2016 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA n. 537/2016, depositata il 25 gennaio 2016;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 18 giugno 2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta degli esiti di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, la Direzione Provinciale di Avellino dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME titolare di
un’impresa individuale svolgente servizi di pompe funebri e attività connesse, un avviso di accertamento con il quale contestava la sottofatturazione delle prestazioni dalla stessa rese nell’anno 2009, conseguentemente rideterminando con metodo induttivo puro ex artt. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972 il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari da sottoporre a tassazione ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA.
La contribuente impugnava tale atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, che rigettava il suo ricorso.
La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale, con sentenza n. 537/2016 del 25 gennaio 2016, accogliendo per quanto di ragione l’appello della parte privata, «riduce (va) la maggiore imposta Irpef in € 31.800,00, riducendo in proporzione le ulteriori imposte, sanzioni e interessi» .
A sostegno della pronuncia resa il collegio regionale osservava che:
-l’accertamento tributario «non risulta (va) effettuato per tutte le operazioni, ma e (ra) stato limitato ad un numero che rappresenta (va) una percentuale non congrua, sicché, tenuto conto che tratta (va) si (di) un accertamento lacunoso, non trova (va) conferma l’operatività di un accertamento induttivo, pure in considerazione di scritture contabili regolari» ; – appariva, pertanto, «equo ridurre del 40% il reddito accertato» dall’ufficio.
Contro questa sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000.
1.1 Viene censurata la sentenza di appello per non aver ritenuto nullo l’avviso di accertamento emesso a carico della Russo, motivato esclusivamente «per relationem» al prodromico processo verbale di constatazione.
1.2 Si lamenta, inoltre, la mancata allegazione all’atto impositivo delle dichiarazioni rese dai soggetti sentiti dalla Guardia di Finanza nel corso della verifica fiscale, poste a base del p.v.c.
Con il secondo motivo, anch’esso proposto con riferimento a ll’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2727 e 2729 c.c.
2.1 Si rimprovera alla CTR di aver immotivatamente rideterminato nella misura del 40% i maggiori ricavi non dichiarati dalla contribuente nell’anno d’imposta 2009, pur avendo riconosciuto che nel caso di specie non sussistevano le condizioni richieste per l’esecuzione di un accertamento di tipo induttivo.
Così riassunti i mezzi di gravame sottoposti al vaglio della Corte, il collegio rileva d’ufficio, in via pregiudiziale, l’improcedibilità del ricorso.
3.1 Ai sensi dell’art. 369, commi 1 e 2, n. 2) c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere depositato a pena di improcedibilità, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto, insieme a copia «autentica» della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nelle ipotesi, che qui non ricorrono, previste dai due articoli precedenti (ovvero quelle di regolamento preventivo di giurisdizione e di questione di giurisdizione sollevata dal Prefetto).
3.2 Nel caso di specie, come si ricava dall’esame dell’incarto processuale, la ricorrente ha depositato una semplice copia «uso studio» della sentenza della CTR della Campania n. 537/2016 del 25 gennaio 2016, priva dell’attestazione di conformità all’originale.
3.3 La circostanza trova conferma nella certificazione rilasciata dalla Cancelleria, acquisita al fascicolo d’ufficio.
3.4 Ciò posto, va tenuto presente che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione è improcedibile qualora, in luogo della copia autentica, sia depositata una copia ‘uso studio’ della sentenza impugnata, priva del visto di conformità (cfr. Cass. n. 1949/2022, Cass. n. 19125/2018, Cass. n. 16498/2016, Cass. n. 22108/2006).
È appena il caso di ricordare come questa Corte (v. Cass. n. 22108/2006, cit.) abbia anche dichiarato manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., nella parte in cui stabilisce che il ricorso per cassazione è improcedibile quando il ricorrente non abbia depositato copia autentica del provvedimento impugnato, sollevata in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., in quanto la norma mira a garantire, non irragionevolmente, le esigenze di certezza della conformità della copia del provvedimento all’originale, stabilendo un adempimento che non è particolarmente complesso, e non si pone in contrasto con le regole che devono improntare il giusto processo e neppure ostacola apprezzabilmente l’esercizio del diritto di difesa.
3.4 Alla stregua del surriferito orientamento nomofilattico, poiché nemmeno la controricorrente Agenzia delle Entrate ha depositato copia autentica della gravata decisione, non può che dichiararsi l’improcedibilità del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito del giudizio, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso improcedibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore de ll’Agenzia delle Entrate , delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.500 euro per compensi, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione