Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6237 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6237 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 25409-2019 R.G., proposto da:
GRUPPO RAGIONE_SOCIALE c.f.P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t. elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 457/13/2019 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 4 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 20 novembre 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Cartella di pagamento -Art. 54 bis d.P.R. 633/1972 –
Fatti di causa
Dalla sentenza emerge che alla società ricorrente fu notificata la cartella erariale , con cui fu richiesto il pagamento dell’importo di € 25.667,40, comprensivo dell’imposta relativa all’annualità 200 7, delle sanzioni e degli interessi.
Con la cartella, a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 54 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, fu rilevato l’omesso o carente versamento dell’Iva.
La società impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 24300/61/2014 annullò la cartella. L’Agenzia delle entrate propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, accolto con sentenza n. 457/13/2019. Il giudice regionale, dopo aver ribadito che la cartella era scaturita da un controllo automatizzato, per l’incongruenza tra quanto dichiarato dalla contribuente nella dichiarazione iva ed il credito spettante, ha evidenziato che nel caso d i specie l’amministrazione non fosse tenuta all’invio della comunicazione di irregolarità, che comunque, dalla documentazione versata in grado d’appello ex art. 58, comma 2, d.lgv. 31 dicembre 1992, n, 546, risultava anche inviata.
Avverso la pronuncia la società ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte, affidato a quattro motivi, con cui ha chiesto la sua cassazione. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Nell’ adunanza camerale del 20 novembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione del l’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi su punti essenziali della controversia, pur introdotti nel giudizio dalla contribuente. In particolare, la difesa evidenzia che le ragioni d’impugnazione erano state articolate nella denuncia di omessa notifica di un avviso d’accertamento, nella mancata considerazione da parte dell’ufficio delle s pettanti detrazioni del credito iva, nell’intervenuto sia pur tardivo adempimento dell’obbligazione.
Il motivo, che va correttamente sussunto nel vizio processuale dell’omessa pronuncia e non dell’error in iudicando, senza che l’erroneo richiamo al parametro di critica contenuto nel n. 3) del primo comma dell’art.
360 c.p.c., in luogo del (corretto) n. 4) possa costituire sua ragione d’inammissibilità, comprendendosene dal contenuto la sua finalità, è tuttavia parimenti inammissibile per difetto di specificità.
Pur traducendosi nella denuncia di un vizio processuale, il ricorrente aveva l’obbligo di indicare in quale atto la questione fosse stata sollevata. Dalla sentenza, infatti, emerge che la questione aveva costituito ragione di ricorso avverso la cartella notificata, ma ciò afferiva al primo grado. Dalla sentenza non emerge invece se le domande non esaminate in primo grado siano state riproposte in appello. Deve dunque applicarsi il consolidato principio, secondo cui la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ., ma ha l’onere di reiterare le domande medesime (cfr. Cass., 14 marzo 2013, n. 6550; 13 maggio 2016, n. 9889; 6 aprile 2021, n. 9265; vedi anche 27 settembre 2024, n. 25876).
Era onere della ricorrente, dunque, ai fini della sufficiente specificazione del motivo, indicare se e in quale atto la questione fosse stata riproposta, mancandone ogni accenno nella sentenza impugnata.
Con il secondo motivo si denuncia l’omessa o insufficiente carenza di motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. La decisione sarebbe viziata da una motivazione limitata a riferire dell’operato dell’ufficio ai sensi degli artt. 36 bis, d.P.R. 600/1973 e 54 bis d.P.R. n. 633/1972, nonostante la precisione dei rilievi, peraltro senza soffermarsi su tutte le circostanze che avrebbero dovuto essere esaminate, sotto i profili giuridici e fattuali.
Il motivo è inammissibile, non tenendo conto che la sentenza è stata emessa il 4 febbraio 2019, e ad essa trova applicazione la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., che, introdotta dell’art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito della legge 7 agosto 2012, n. 134, è entrata in vigore dal giorno 11 settembre 2012 e dunque anteriormente alla pubblicazione della sentenza impugnata. Pertanto nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111,
sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, e al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 bis e ter del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza non avrebbe ponderato le differenti fattispecie regolate dagli artt. 36 bis e 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973, trascurando l’importanza degli obblighi dell’amministrazione in ordine alla preventiva notifica della comunicazione di irregolarità.
Il motivo è infondato.
Nella sentenza il giudice regionale non si è semplicemente appiattito, come pretende la difesa della contribuente, sulle tesi dell’ufficio. Dalla motivazione si evince invece che la commissione regionale ha inquadrato la fattispecie tra le ipotesi della mera divergenza tra quanto riportato dalla società in dichiarazione iva e gli adempimenti fiscali cui in concreto essa aveva atteso. Avendo dunque inquadrato la fattispecie nell’ipotesi disciplinata dall’art. 36 bis cit., ha ritenuto che l’amministrazione fi nanziaria non fosse tenuta ad alcuna comunicazione. In ogni caso dalla documentazione allegata in sede d’appello la comunicazione risultava anche notificata , così che le doglianze della società risultano prive di pregio.
Con il quarto motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 58, d.lgs. 31 dicembre 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza sarebbe errata laddove ha ritenuto che la documentazione depositata in sede d’appello dall’amministrazione finanziaria proverebbe la rituale notifica della comunicazione.
Il motivo è infondato per quanto già chiarito in ordine al terzo motivo.
In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida a favore della controricorrente nella misura di € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 20 novembre 2024