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Controllo automatizzato: quando è legittimo?

Una società di trasporti ha impugnato una cartella di pagamento emessa a seguito di un controllo automatizzato per il recupero di IRES e crediti d’imposta. La Corte di Cassazione, riformando la decisione di merito, ha stabilito la legittimità della procedura di controllo automatizzato anche per disconoscere crediti, a patto che l’irregolarità emerga direttamente dai dati presenti in dichiarazione, senza necessità di valutazioni discrezionali. La Corte ha chiarito che spetta al contribuente l’onere di provare l’eventuale errore nei dati dichiarati.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Controllo Automatizzato: i Limiti e la Legittimità secondo la Cassazione

Il controllo automatizzato previsto dall’art. 36-bis del d.P.R. 600/1973 è uno degli strumenti più utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per la liquidazione delle imposte. Ma quando il suo utilizzo è legittimo, specialmente nel caso di disconoscimento di crediti d’imposta? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza, definendo i confini tra controllo formale e attività di accertamento che richiede strumenti diversi.

Il Caso: Cartella di Pagamento e Crediti d’Imposta

Una società di trasporti impugnava una cartella di pagamento emessa a seguito di un controllo automatizzato relativo all’anno d’imposta 2005. La pretesa dell’Ufficio riguardava diverse voci, tra cui IRES non versata e il recupero di vari crediti d’imposta, uno dei quali per investimenti in aree svantaggiate. La contribuente sosteneva che le pretese fossero frutto di errori materiali nella dichiarazione, di duplicazioni e della mancata considerazione di una fusione per incorporazione.

La Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto l’appello della società, annullando la cartella per due importi specifici. In particolare, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che il recupero di un cospicuo credito d’imposta per investimenti non potesse avvenire tramite la procedura automatizzata, in quanto frutto di un’attività valutativa che necessitava di un atto di accertamento motivato.

Contro questa decisione, sia la società (con ricorso principale) sia l’Agenzia delle Entrate (con ricorso incidentale) si rivolgevano alla Corte di Cassazione.

La Legittimità del Controllo Automatizzato secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici supremi hanno chiarito un punto fondamentale: la procedura di controllo automatizzato è pienamente legittima anche per disconoscere crediti d’imposta, a una condizione precisa. Questa condizione è che i presupposti del disconoscimento non derivino da un’attività di natura accertativa o rettificativa complessa, ma emergano direttamente dai dati indicati dal contribuente stesso nelle sue dichiarazioni, anche pregresse.

Nel caso specifico, il disconoscimento del credito per investimenti era basato sulla verifica delle modalità di utilizzo del credito negli anni, così come risultanti dalle dichiarazioni presentate. L’Ufficio non aveva svolto indagini esterne, ma si era limitato a un riscontro cartolare tra quanto dichiarato e quanto previsto dalla legge. Di conseguenza, l’attività rientrava perfettamente nei limiti del controllo formale.

L’Onere della Prova in caso di Errore Dichiarato

Un altro aspetto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’onere della prova. La società contribuente lamentava che le pretese fiscali fossero nate da errori materiali. Tuttavia, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: nel giudizio di impugnazione di una cartella di pagamento emessa ex art. 36-bis, spetta al contribuente che “ritratta” la propria dichiarazione fornire la prova del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria. In altre parole, non è sufficiente allegare l’esistenza di un errore; è necessario dimostrarlo concretamente, ad esempio producendo la dichiarazione corretta.

Negare la corrispondenza tra quanto indicato dall’Ufficio e quanto intimato con la cartella equivale ad allegare un fatto impeditivo che deve essere provato. L’Amministrazione finanziaria, basandosi sui dati dell’anagrafe tributaria, ha già adempiuto al proprio onere. Spetta quindi al contribuente, che ha la piena disponibilità della propria dichiarazione, dimostrare l’eventuale discrasia.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione basandosi su un’interpretazione rigorosa dell’art. 36-bis, lett. e) del d.P.R. n. 600/1973. Questa norma consente espressamente all’Amministrazione finanziaria di ridurre, tramite procedure automatizzate, i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge o non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione. L’attività dell’Ufficio, nel caso esaminato, non implicava un’attività valutativa discrezionale, ma nasceva da una semplice verifica dei dati indicati dallo stesso contribuente negli anni e dalle incongruenze risultanti. Di conseguenza, l’errore commesso dalla Corte territoriale è stato quello di qualificare come “valutativa” un’attività che in realtà era un mero controllo formale e cartolare. La Cassazione ha inoltre sottolineato che l’onere di provare l’esistenza di errori materiali che avrebbero viziato la dichiarazione originaria grava interamente sul contribuente, che non aveva fornito tale prova nel corso del giudizio di merito.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza la legittimità dello strumento del controllo automatizzato come mezzo di liquidazione e recupero delle imposte, anche quando riguarda il disconoscimento di crediti. La sentenza traccia una linea netta: finché il controllo si basa sui dati forniti dal contribuente e non richiede valutazioni esterne o complesse, la procedura è valida. Per i contribuenti, ciò significa che la massima attenzione nella compilazione delle dichiarazioni è fondamentale. In caso di contestazione di una cartella di pagamento basata su tali controlli, non sarà sufficiente lamentare un errore, ma sarà indispensabile fornire prove concrete e documentali per dimostrare la fondatezza delle proprie ragioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate può usare il controllo automatizzato per disconoscere un credito d’imposta?
È legittimo quando il disconoscimento si basa su un riscontro obiettivo dei dati formali presenti nelle dichiarazioni del contribuente (anche di anni precedenti) e non implica complesse attività di accertamento o valutazioni discrezionali.

A chi spetta l’onere della prova se il contribuente sostiene che la cartella di pagamento si fonda su un errore nella sua dichiarazione?
L’onere della prova spetta interamente al contribuente. Egli deve dimostrare l’esistenza dell’errore materiale o di altro fatto che impedisce la nascita dell’obbligazione tributaria, non essendo sufficiente la mera affermazione.

Il disconoscimento di un credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate richiede sempre un atto di accertamento motivato?
No. Se l’illegittimità dell’utilizzo del credito emerge da un controllo incrociato dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali (ad esempio, il mancato rispetto delle percentuali di utilizzo annuali previste dalla legge), l’Amministrazione può procedere con la procedura di controllo automatizzato ex art. 36-bis.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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