Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17218 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19149/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME COGNOME (domicilio digitale: EMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente-
nonché nei confronti di
RAGIONE_SOCIALEADER), in persona del Presidente pro tempore
-intimata- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CALABRIA n. 22/2020 depositata il 7 gennaio 2020
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7 maggio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE socio unico impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro la cartella esattoriale notificatale da RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di tributi erariali iscritti a ruolo dall’Agenzia delle Entrate a sèguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente ai fini dell’IRAP in relazione all’anno 2013.
Tale controllo, per quanto in questa sede ancora interessa, si era concluso con la rettifica dell’aliquota da applicare per il calcolo dell’imposta, elevata dal 4,72% al 5,72% sul ritenuto presupposto che la dichiarante svolgesse attività finanziaria.
La Commissione adìta, pronunciando nel contraddittorio dell’ente impositore e dell’agente della riscossione, preso atto del provvedimento di sgravio parziale adottato nelle more dall’ufficio finanziario, annullava l’impugnata cartella «limitatamente alla parte eccedente quanto dovuto a sèguito del (detto) provvedimento» .
La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, la quale, con sentenza n. 22/2020 del 7 gennaio 2020, in accoglimento dell’appello della parte privata, annullava «in toto» la cartella in questione.
A fondamento della pronuncia adottata il collegio regionale osservava che: doveva ritenersi illegittimo l’utilizzo, da parte dell’Ufficio, della procedura di controllo automatizzato ex art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973, in quanto l’operata correzione dell’aliquota IRAP non era conseguente al rilievo di meri errori materiali o di calcolo commessi dalla dichiarante, bensì al diverso inquadramento giuridico dell’attività dalla stessa svolta; – per una simile rettifica della dichiarazione reddituale sarebbe stata
necessaria l’adozione di un avviso di accertamento; – in ogni caso, la cartella risultava priva di una motivazione idonea a rendere comprensibili le ragioni della pretesa tributaria.
Contro questa sentenza, notificata il 23 marzo 2020, l’Agenzia delle Entrate ha proposto tempestivo ricorso per cassazione affidato a un solo motivo.
RAGIONE_SOCIALE socio unico ha resistito con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate – RAGIONE_SOCIALE (ADER), successore «ex lege» di RAGIONE_SOCIALE, è rimasta intimata.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, del predetto articolo la controricorrente ha depositato memoria illustrativa redatta dal prof. avv. NOME COGNOME COGNOME nominato suo nuovo difensore in virtù di procura non contemplante l’espressa revoca del mandato già conferito all’avv. NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 25 del D.P.R. n. 602 del ( recte : 1973 -n.d.r).
1.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente escluso che la rettifica dell’aliquota dell’imposta dovuta potesse essere operata mediante l’utilizzo della procedura di controllo automatizzato prevista dall’art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
1.2 Viene, in proposito, evidenziato che nel caso di specie l’Ufficio si era limitato a correggere i dati erroneamente dichiarati dalla contribuente, risultando che la stessa , sì da rientrare fra i soggetti ai quali per l’anno 2013 si applicava la maggiore aliquota
del 5,72%, anziché quella del 4,72% prevista per le società di capitali e gli altri enti commerciali.
1.3 Con un ulteriore profilo di doglianza si contesta l’affermazione della CTR secondo cui la cartella impugnata necessitava in ogni caso di una specifica motivazione, avendo i giudici di seconde cure tralasciato di considerare che nella fattispecie in esame trattavasi di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dalla contribuente nella propria dichiarazione, onde il richiamo a quest’ultima doveva reputarsi sufficiente a rendere conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa tributaria.
1.4 Il motivo è infondato.
1.5 L’art. 36 -bis , comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 attribuisce all’Amministrazione Finanziaria il potere di provvedere, fra l’altro, alla correzione degli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi (lettera a).
1.6 Si tratta, non diversamente dalle altre ipotesi indicate nelle successive lettere da b) a f) dello stesso comma, di un controllo formale che viene effettuato mediante l’utilizzo di procedure automatizzate (giusta quanto previsto dal comma 1), sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria.
1.7 Nel delineare il perimetro di applicabilità dell’omologa disposizione di cui all’art. 54 -bis del D.P.R. n. 633 del 1972 in tema di IVA, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 17758/2016, hanno chiarito che il Fisco può operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria.
1.8 Dunque, solo se manca una diversa valutazione nell’ «an» o nel
«quantum» del presupposto impositivo, ovvero una differente valutazione dell’esistenza di crediti o oneri, l’Amministrazione può liquidare l’importo risultante dal controllo e dare corso all’iscrizione a ruolo e alla notifica della susseguente cartella di pagamento, senza dover necessariamente emettere un previo avviso di accertamento.
1.9 Nello stesso senso si è espressa anche la Consulta, la quale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui consente all’Amministrazione statale di determinare maggiori imponibili con un atto non richiedente un’esplicita motivazione, ha osservato che la liquidazione prevista dalla citata norma è operata mediante un mero riscontro cartolare, nei casi, eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, di errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili senza necessità di alcuna istruttoria (cfr. Corte Cost., ordinanza n. 430/1988).
1.10 I surriferiti princìpi di diritto sono stati più volte ribaditi dalla successiva giurisprudenza di legittimità (cfr., ex ceteris , Cass. n. 7960/2019, Cass. n. 23098/2020, Cass. n. 3244/2024) e possono ormai ritenersi consolidati.
1.11 Per il vero, con specifico riguardo al tema che qui ci occupa, si è in alcune peculiari fattispecie ritenuto legittimo il ricorso alla procedura automatizzata per la rettifica dell’aliquota dell’imposta indicata nella dichiarazione dei redditi, in base al rilievo che tale attività si traduce nella correzione di un mero errore di calcolo (cfr. Cass. n. 2412/2017) o nella modifica di un semplice dato numerico (l’aliquota, per l’appunto) che trova la sua fonte in una regola normativa (Cass. n. 31415/2018, Cass. n. 16479/2021).
1.12 I precedenti in questione, tuttavia, lungi dal porsi in contrasto con il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite, vanno letti in linea con lo stesso, ovvero come volti a ribadire che nel perimetro entro il quale l’Ufficio può procedere al controllo automatizzato è
compresa anche la prerogativa di correggere l’aliquota applicata dal contribuente; ma ciò sempre a patto che non vi sia una diversa valutazione nell’ «an» o nel «quantum» del presupposto impositivo e che la rettifica dell’aliquota derivi dall’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche.
1.13 Si è così affermato che, «in tema di riscossione delle imposte, l’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla procedura di cui all’art. 36 -bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (o a quella analoga di cui all’art. 54 -bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) anche per rettificare l’imposta indicata in dichiarazione in base all’applicazione di una diversa aliquota rispetto a quella individuata dal contribuente, qualora tale attività si traduca nella correzione di un mero errore o derivi dall’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche e non nell’ipotesi in cui vengano in rilievo profili valutativi e/o estimativi diversi dal mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria» (cfr. Cass. n. 8462/2024).
1.14 Tanto premesso «in iure» , va osservato che nella fattispecie in esame la rettifica dell’aliquota applicabile per il calcolo dell’imposta non poteva derivare dal mero riscontro cartolare -da compiersi sulla scorta dei dati ed elementi direttamente desumibili dalla stessa dichiarazione dei redditi sottoposta a controllodella riconducibilità della contribuente a una categoria di soggetti passivi diversa da quella da essa indicata, ma presupponeva un apprezzamento dell’attività svolta dalla contribuente medesima, a sua volta richiedente il ricorso a elementi extratestuali e l’esperimento di accertamenti fattuali o valutazioni interpretative incompatibili con la procedura automatizzata.
1.15 Appare, pertanto, corretta la decisione assunta dalla CTR, la quale ha così giustificato l’accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE: «…la rettifica operata dall’Agenzia… risulterebbe fondata sulla diversa applicazione dell’aliquota del 5,72 al posto di quella del 4,72%, correzione che deriverebbe da un diverso
inquadramento del contribuente quale società che svolge non solo prestazioni di servizi ma anche attività finanziarie. La motivazione di tale rettifica non trova riscontro nella cartella emessa, è espressione del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, implicante valutazioni giuridiche in ordine all’imposta in concreto applicabile, che può essere esercitato esclusivamente attraverso un atto di accertamento esplicitamente motivato che renda edotto il contribuente dei presupposti e delle ragioni del mancato riconoscimento del minor importo dichiarato (…) la rettifica non verte su ‘errori materiali e di calcolo non abbisognevoli di alcuna istruttoria’, ma solo posteriormente è stata giustificata dall’Agenzia con motivazioni implicanti valutazioni giuridiche delle norme applicabili…» .
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Nei rapporti fra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
3.1 Nulla va disposto in ordine alle dette spese nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, rimasta intimata.
Non deve farsi luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, essendo l’Agenzia delle Entrate esentata, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto in favore delle amministrazioni pubbliche ( arg. ex artt. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, e 158, comma 1, lettera a, del D.P.R. n. 115 del 2002), dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in
persona del Direttore pro tempore , a rifondere alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.700 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione