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Controllo automatizzato: illegittimo senza dichiarazione

Una società in liquidazione ha impugnato una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato per il mancato versamento delle imposte sul reddito minimo delle società non operative. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9320/2024, ha accolto il ricorso, stabilendo che la procedura di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.p.r. 600/1973 è illegittima se utilizzata per accertare un reddito non dichiarato dal contribuente. Tale procedura presuppone una dichiarazione presentata, sulla quale effettuare controlli meramente cartolari. In assenza di dichiarazione del reddito in questione, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto emettere un avviso di accertamento motivato, non potendo procedere con la via automatizzata.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Controllo Automatizzato: Illegittimo se Presuppone un Reddito non Dichiarato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di accertamento fiscale: il controllo automatizzato non può essere utilizzato per contestare redditi che il contribuente non ha mai dichiarato. Questa procedura, pensata per una liquidazione rapida e cartolare delle imposte, ha dei limiti precisi che l’Amministrazione Finanziaria è tenuta a rispettare. La sentenza in esame chiarisce la netta distinzione tra la correzione di un errore materiale in una dichiarazione presentata e la presunzione di un reddito omesso.

I Fatti del Caso

Una società in liquidazione si è vista recapitare una cartella di pagamento dall’Agenzia delle Entrate. La pretesa fiscale derivava dalla contestazione del mancato versamento delle imposte sul reddito minimo previsto per le cosiddette “società non operative” o di comodo. L’Agenzia aveva proceduto tramite la procedura di controllo automatizzato prevista dall’art. 36-bis del d.p.r. 600/1973, ritenendo che il contribuente avesse omesso di dichiarare tale reddito. La società ha impugnato la cartella, sostenendo l’illegittimità della procedura utilizzata, poiché nella sua dichiarazione fiscale l’importo corrispondente a quel reddito era pari a zero, evidenziando una non-dichiarazione e non un errore di calcolo. Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione all’Agenzia. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado. I giudici hanno ritenuto fondate le censure del contribuente, incentrate sull’errato utilizzo della procedura di controllo automatizzato.

Analisi delle Motivazioni sul controllo automatizzato

La Corte ha chiarito che il presupposto per l’applicazione del controllo automatizzato è l’esistenza di una dichiarazione fiscale dalla quale sia possibile, attraverso un mero controllo cartolare, liquidare l’imposta dovuta o correggere errori materiali e di calcolo.

Nel caso specifico, la cartella di pagamento indicava che l’importo dichiarato dal contribuente per il reddito minimo imponibile era “0,00”. Questo dato, secondo la Cassazione, non rappresenta un errore di calcolo, ma testimonia l’assenza di una dichiarazione su quel punto. La pretesa del Fisco, quindi, non nasceva da una correzione della dichiarazione, ma da una vera e propria ripresa a tassazione basata sull’assenza di una dichiarazione. I giudici di merito avevano commesso un “errore di percezione”, non cogliendo che l’Agenzia stava di fatto accertando un reddito mai dichiarato, e non semplicemente correggendo un dato esistente.

La procedura corretta, in una situazione del genere, avrebbe richiesto la notifica di un avviso di accertamento motivato, che avrebbe permesso al contribuente di difendersi e instaurare un contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo delle somme. L’utilizzo del controllo automatizzato, che salta questa fase, è risultato quindi illegittimo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza le garanzie procedurali a tutela del contribuente. Viene stabilito con chiarezza che le procedure accelerate e semplificate, come il controllo automatizzato, non possono essere impiegate per scopi per cui non sono state previste. Quando l’Amministrazione Finanziaria intende contestare un’omessa dichiarazione di un reddito, anche se previsto per legge come nel caso delle società non operative, deve necessariamente ricorrere allo strumento dell’avviso di accertamento. Questa decisione impone al Fisco un maggior rigore nella scelta delle procedure, garantendo al contribuente il diritto a un contraddittorio pieno prima di vedersi richiedere il pagamento di maggiori imposte.

Quando è legittimo il ricorso al controllo automatizzato (art. 36-bis)?
È legittimo solo quando l’Agenzia delle Entrate deve correggere errori materiali o di calcolo presenti nella dichiarazione fiscale presentata dal contribuente, o quando l’imposta può essere liquidata direttamente dai dati forniti dal contribuente stesso.

Cosa avrebbe dovuto fare l’Agenzia delle Entrate per contestare il reddito non dichiarato?
L’Agenzia avrebbe dovuto notificare un avviso di accertamento formale e motivato, anziché emettere direttamente una cartella di pagamento tramite controllo automatizzato. Questa procedura avrebbe garantito al contribuente il diritto di difendersi.

Qual è stato l’errore decisivo commesso dalla Commissione Tributaria Regionale?
L’errore è stato di percezione: i giudici d’appello non hanno compreso che la pretesa fiscale non derivava da una correzione della dichiarazione, ma si fondava sull’assenza di una dichiarazione di reddito. Hanno erroneamente presupposto che il contribuente avesse dichiarato il reddito minimo, mentre la cartella stessa indicava un importo dichiarato pari a zero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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