Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21488 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21488 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23587/2022 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 641/2022 depositata il 25/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME presentava due ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano chiedendo con il primo l’annullamento degli atti di contestazione indicati in ricorso, il cui valore complessivo è superiore ad € 200.000.
Con il secondo ricorso del 12.01.2019, il dott. COGNOME chiedeva l’annullamento degli avvisi di accertamento n. T9D032H05985/2018, n. T9D032H06022/2018, n. T9D032H06096/2018, n. T9D032H06286/2018, n. T9D032H05918/2018, n. T9D032H06047/2018, n. T9D032B06415/2018, n. T9D062B06510/2018, n.
T9D032B06544/2018 nonché degli atti di contestazione e di irrogazione delle sanzioni n. T9DCO2B02318/18, n. T9DCO2B02320/18 e n. T9DCO2B02321/18, il cui valore complessivo è superiore ad € 200.000,00.
Il ricorrente, per l’iscrizione a ruolo provvedeva a versare a titolo di contributo unificato la somma pari ad € 1.500,00 per ciascun ricorso, tenuto conto del valore della controversia superiore ad € 200.000,00.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento delle Finanze -Direzione Della giustizia Tributaria -Ufficio Segreteria presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano notificava atto di irrogazione della sanzione pari ad € 6.500,00 relativo alla mancata integrazione di ulteriori € 3.250,00 a titolo di contributo unificato tributario dovuto per il ricorso presentato dall’esponente ed iscritto al n. 6296/18 del Registro Generale della Commissione Tributaria Provinciale di Milano.
Successivamente, in data 13.06.2019, veniva notificato all’esponente da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento delle Finanze -Direzione Della giustizia Tributaria -Ufficio Segreteria presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, atto di irrogazione della sanzione pari ad € 25.240,00
relativo alla mancata integrazione di ulteriori € 12.620,00 a titolo di contributo unificato tributario dovuto per il ricorso presentato dall’esponente ed iscritto al n. 150/2019 del Registro Generale della Commissione Tributaria Provinciale di Milano.
Avverso i suddetti atti di irrogazione delle sanzioni il sig. COGNOME presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano per chiederne l’annullamento.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 2632/20/20 respingeva il ricorso.
Avverso la suddetta sentenza il sig. COGNOME proponeva appello chiedendone la riforma e conseguentemente anche l’annullamento degli atti di irrogazione sanzione notificati.
La Commissione Tributaria Regionale di Lombardia, con sentenza n. 641/2022, respingeva il gravame, confermando la sentenza impugnata ha condannato l’appellante al pagamento della spese processuali liquidate in € 1.500,00.
Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso detta decisione svolgendo cinque motivi.
Replica con controricorso l’ente impositore.
Depositata, ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., proposta di definizione accelerata del giudizio, comunicata alla ricorrente, quest’ultima ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod.proc.civ., con la quale, ha insistito «per l’accoglimento del ricorso Quindi, è stata disposta la trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis 1., terzo comma, cod.proc.civ..
In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memorie difensive.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Preliminarmente il Collegio prende atto di quanto statuito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9611/2024 in ordine all’assenza di incompatibilità tra il deposito della proposta di definizione accelerata da parte del Presidente di sezione o del Consigliere
delegato e la composizione degli stessi quali parte del Collegio o eventualmente la loro nomina quali relatori del Collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod.proc.civ.
Con il primo motivo di ricorso si deduce ; si assume che la decisione ha violato il principio del cumulo di domande per la determinazione del valore della lite di cui all’art. 10 c.p.c., applicabile ex art. 1 d.lgs. 546/92 al processo tributario.
Si soggiunge che, alla stregua del secondo comma di tale disposizione normativa, il valore della controversia tributaria è dato dalla somma delle domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona e, dunque, come nel caso de quo, dalla somma dei tributi oggetto degli atti impugnati e non, invece dalla somma dei C.U. dovuti per ciascuno degli atti impugnati singolarmente considerati. Riconoscere che il valore della lite, ai fini del calcolo del C.U., venga determinato in via autonoma per ciascun atto impugnato – e non secondo la regola del cumulo fissata dall’art.10 c.p.c. -si porrebbe in inevitabile contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 3 e 24 Cost., posto che la necessità di corrispondere tanti contributi unificati quanti sono gli atti impositivi da contestare, rende certamente più oneroso l’esercizio del diritto di difesa per il contribuente; la disciplina di cui all’art. 113 Cost., in quanto restringe la capacità di resistere agli atti d’imposizione tributaria emessi da soggetti pubblici; la normativa di cui all’art. 117, comma 1, ed artt. 6, 13 e 18 CEDU, i quali sanciscono, rispettivamente, a) il diritto ad un processo equo, b) il diritto ad un ricorso effettivo; c) il divieto di restrizione di diritti non strettamente connessi allo scopo previsto.
Il secondo mezzo di ricorso denuncia . Si sostiene che l’art. 9 TUSP dispone
che il contributo unificato di iscrizione a ruolo, anche nel processo tributario, sia dovuto per ciascun grado di giudizio e non per ciascun atto impugnato.
Il terzo strumento di ricorso denuncia ; si deduce che tale sanzione è erronea risultando la norma limitata solo al processo civile dove è previsto il pagamento dell’ulteriore importo per infondatezza o inammissibilità del C.U.
La quarta censura prospetta violazione di legge sul contributo cumulativo tra il processo civile e quello tributario in relazione all’art 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c. Si reiterano le contestazioni sollevate con il primo motivo in ordine all’applicazione di un contributo per ciascun giudizio tributario.
Il quinto motivo di ricorso reca il vizio di ; in quanto il contribuente non ha impugnato gli atti originari contestati nel merito, bensì ha eccepito solo il difetto di legittimazione passiva.
I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, censurano la sentenza impugnata, imputandole la violazione degli artt. 10 c.p.c. e 9 d.P.R. 155/2002, per non aver il giudice di secondo grado ritenuto che alla controversia tributaria si applichi un importo di contributo unificato, in caso di ricorso cumulativo, pari alla somma dei tributi oggetto degli atti impugnati e non, invece, dalla somma dei contributi dovuti per ciascuno degli atti impugnati singolarmente considerati (cfr. pag. 10 ricorso). Argomento che sarebbe confermato dalla lettura della seconda delle norme asseritamente violate che dispone che il contributo unificato di iscrizione a ruolo «sia dovuto per ciascun grado di giudizio e non per ciascun atto impugnato» (cfr. pag. 14 ricorso).
7.1.Le doglianze non hanno giuridico pregio, dato che non sussistono ragioni per discostarsi da quanto già enunciato da questa Corte secondo cui «in caso di ricorsi cumulativi tributari, il contributo unificato deve essere determinato sulla base della somma dei contributi dovuti per ciascun atto impugnato, ex art. 14, comma 3-bis, d.P.R. n. 115 del 2002 vigente ratione temporis, assumendo all’uopo rilievo il richiamo da esso operato all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, che introduce una disciplina speciale rispetto alla norma generale di rinvio ex art. 1 del medesimo d. Lgs.; di talché risulta priva di portata innovativa la modifica dell’art. 14, comma 3 -bis, cit. intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 598, lett. a), legge n. 147 del 2013» (Cass. n. 16283/2021). Per cui «il calcolo del contributo unificato deve essere effettuato con riguardo a ciascun atto impugnato ed il relativo importo deve risultare dalla sommatoria dei contributi dovuti con riferimento ad ogni atto impugnato sulla base del valore di ognuno di essi. Invero, impugnare con un unico ricorso o con separati ed autonomi ricorsi una pluralità di atti impositivi rappresenta una facoltà del contribuente, che non può però tradursi in un risparmio nel versamento del contributo unificato» (Cass. n. 25607/2024).
8.Per ciò che concerne la violazione delle norme della nostra Carta fondamentale eccepita alla pag. 10 del ricorso merita di essere rilevato che il contributo unificato si configura quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle «spese degli atti giudiziari» (v. rubrica dell’art. 9 della legge n. 488/1999), connesso alla fruizione del servizio giudiziario, ma commisurato forfetariamente al valore dei processi e non al costo del servizio reso o al valore della prestazione erogata, con ciò partecipando alle «caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione ed il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario … » (così la sentenza della Corte Costituzionale
n. 73 del 7 febbraio 2005). È stato, altresì, chiarito che il contributo unificato deriva da «un’esigenza di semplificazione volta ad istituire una “entrata tributaria erariale” diretta a sostituire non solo tributi erariali gravanti anch’essi su procedimenti giurisdizionali, quali l’imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, ma anche i diritti di cancelleria e di chiamata in causa dell’ufficiale giudiziario, ed è espressamente configurata come prelievo coattivo volto al finanziamento delle “spese degli atti giudiziari” (v. Corte cost. n. 73 del 2005; Cass. S.U. n. 9840 del 2011)» (così Cass. n. 14332/2018).
8.1.La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 78 del 7 aprile 2016, ha dichiarato «inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A) – nella parte modificata dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», chiarendo che «Secondo il costante orientamento di questa Corte, il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all’art. 53 Cost. non riguarda «nessuna singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né la spesa per i servizi generali coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell’ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l’attività» (sentenza n. 30 del 1964; in senso conforme sentenze n. 167 del 1973, n. 149 del 1972 e n. 23 del 1968,) e, pertanto, non è invocabile e non può operare con riguardo alle spese di giustizia»
(così nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 78 del 7 aprile 2016).
8.2. Il dedotto contrasto del contributo unificato con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione risulta poi manifestamente infondato. L’imposizione, invero, grava in termini generalizzati, salvo le esenzioni previste e le specifiche previsioni contemplate in talune particolari ipotesi (v. art. 10 del d.P.R. n. 115/2002), che si giustificano, alla luce di una precisa scelta normativa, in ragione della diversità delle situazioni che il legislatore ha ritenuto degne di maggior tutela, secondo «un criterio di meritevolezza, in funzione di finalità di solidarietà sociale, connesse alla protezione di diritti strettamente personali …» (cfr. Cass. n. 14332/2018).
8.3.Come chiarito dal Giudice delle leggi, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione, il limite reddituale per l’accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato – che costituisce un oggettivo criterio selettivo per individuare le persone non abbienti che beneficiano dell’istituto – è espressione di un bilanciamento rimesso alla discrezionalità del legislatore e coerente con la garanzia costituzionale dell’art. 24, terzo comma, della Costituzione, che, con appositi istituti, assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, (cfr. sentenze della Corte Costituzionale n. 77 del 7 aprile 2018 e 234 del 13 novembre 2019). Non sussistono ragioni per le quali debba sussistere un identico trattamento tra tributi e sanzioni, stante la diversa natura e funzione e la distinta disciplina, né spiega compiutamente perché, a fronte di una disomogeneità dei criteri fissati per determinare il valore della lite nei singoli ambiti processuali, calati sulle particolarità delle questioni ivi deducibili e sulle peculiarità dei diversi processi, solo il criterio del rito civile, ancorato al valore unitario del processo, dovrebbe essere assunto quale tertium comparationis.
9.Per tale via, la previsione del contributo non introduce limiti apprezzabili al libero esercizio del diritto di difesa, impregiudicata l’alea del mancato recupero della relativa somma da parte del soccombente eventualmente incapiente, che integra, piuttosto, un inconveniente di mero fatto, come tale inidoneo a incidere sulla lamentata lesione di parametri costituzionali (cfr., ex multis, sentenza della Corte Costituzionale n. 67 del 29 marzo 2019, che richiama le sentenze della medesima Corte n. 249 e n. 231 del 2017). Per il costante orientamento della Corte, infine, il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all’art. 53 Cost. non riguarda ‘né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né… la spesa per i servizi generali… coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell’ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l’attività’» (Cass. n. 25607/2024).
9.1. Come, infine, già chiarito da questa Corte, la decisione della Corte di giustizia, 6 ottobre 2015 in causa C-61/14, «ha assunto quali parametri di riferimento i principi di equivalenza e di effettività, nonchè l’effetto utile della direttiva 89/665/CEE e conclude affermando che non contrasta con il diritto dell’Unione Europea la norma nazionale che impone il versamento del contributo unificato risultando, altresì, legittima la previsione dipiù contributi unificati in uno stesso giudizio purchè il ricorso incidentale e i motivi aggiunti amplino considerevolmente l’oggetto della controversia» (così Cass. n. 16283/2021).
Va conclusivamente osservato che la previsione del contributo unificato risulta compatibile anche con i principi dell’Unione.
10.Non può essere accolto nemmeno il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 d.P.R. 115/2002, lamentando – per quel che
ora residua dopo le osservazioni sopra svolte sul versante della manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti – che il valore della causa, ai fini del pagamento del contributo, doveva essere individuato in relazione al complessivo valore delle cartelle, laddove i contributi richiesti erano stati liquidati considerando separatamente il valore di ciascun atto impugnato, benchè fossero stati giudizialmente contestati in modo congiunto. Come sopra esposto, la questione concerne la modalità di calcolo del contributo unificato nell’ipotesi di ricorso cd. cumulativo (cioè contro più atti impositivi) e, segnatamente, se debba essere conteggiato in base al valore dei singoli atti o in ragione del loro complessivo valore.
11. Va premesso che gli atti impugnati risalgono all’anno 2019 e, dunque, successivi all’entrata in vigore della legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014), che ha introdotto il comma 3-bis all’art 14 del d.P.R. 115/2002, stabilendo che «Nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello… ». Ebbene, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sul tema in rassegna, con valutazioni che vanno in questa sede ribadite, affermando il principio secondo cui in caso di ricorsi cumulativi tributari, il contributo unificato deve essere determinato sulla base della somma dei contributi dovuti per ciascun atto impugnato, come disposto dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, (secondo cui «per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato.. in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste»), che introduce una disciplina speciale rispetto alla norma generale di rinvio al codice di procedura civile di cui all’art. ex art. 1 del medesimo d.lgs., considerando priva di portata innovativa la modifica dell’art. 14, comma 3-bis, cit.
intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 598, lett. a), legge n. 147 del 2013 (cfr. Cass. n. 16283/2021).
11.1. Nello specifico, questa Corte – dopo aver premesso che il ricorso cumulativo, con il quale si propongono una pluralità di domande anche non connesse tra loro, le quali mantengono una loro autonomia, è ammissibile nel giudizio tributario (come chiarito da Cass. n. 4490 del 2013, v. anche Cass. n. 10578 del 2010; Cass. SS.UU. n. 3692 del 2009; Cass. n. 19666 del 2004; Cass. n. 7359 del 2002) – ha ritenuto corretta l’interpretazione offerta dal Dipartimento delle Finanze, con la Direttiva del 14.12.2012, n. 2, nella parte in cui aveva sostenuto, sulla base del citato disposto dell’art. 12, co. 5, del d.lgs. 546/1992, «che la norma collega il valore della lite al singolo atto impugnato, in caso di un unico ricorso avverso più atti», con la conseguenza «che il calcolo del contributo debba essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori (Cass. n. 25607/2024).
11.2.Questa Corte ha, in particolare, precisato che detta interpretazione risultava già fornita con la circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, pag. 202 (con cui si precisava che «ove con il medesimo atto introduttivo del giudizio siano stati impugnati più provvedimenti, il valore della lite dovrà essere calcolato per ogni singolo atto in contestazione») ed ancora con la circolare 21 settembre 2011, n. 1/DF, con la quale il Ministero delle Finanze aveva previsto al punto 5 che «Qualora l’atto impugnato contenga più tributi, il valore della lite si identifica esclusivamente con quello relativo al tributo di cui si chiede l’annullamento, così sottolineando che in caso di richiesta di annullamento di più tributi contenuti nello stesso atto, il contributo unificato si calcola su ciascuno di essi, tramite i relativi scaglioni di riferimento»; – la «Corte di giustizia ha affermato che non esiste una disciplina nell’Unione Europea che regolamenti specificamente i tributi giudiziari da versare per
proporre ricorso, pertanto spetta a ciascun Stato membro stabilire le modalità delle procedure, amministrativa e giurisdizionale, intesa a garantire la tutela dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione» e che, quindi, «non osta con i principi unioniali, in fattispecie riguardante l’impugnazione con ricorso cumulativa tributario di più atti impositivi, l’applicazione del contributo unificato risultante dalla somma dei contributi dovuti con riferimento ad ogni atto impugnato sulla base del valore di ognuno di essi».
12.Non merita miglior sorte neppure la terza censura che si palesa inammissibile, non essendo stata neppure indicata la norma di legge che si assume violata. Né tanto meno sono comprensibili le argomentazioni giuridiche su cui è fondata la critica, non essendo stati evidenziati i passaggi della sentenza impugnata che sarebbero stati inficiati da difetto di motivazione. Del resto in nessun brano della sua pronuncia il giudice di secondo grado si sofferma sul «raddoppio del C.U. nel processo tributario», diversamente da quanto si legge alla pag. 14 del ricorso.
13.Altrettanto inammissibile si rivela il quarto motivo di ricorso.
13.1.Come risulta evidente dalla rubrica la denuncia investe la contemporanea deduzione di violazione di un’imprecisata disposizione di legge e un vizio di motivazione, stante il richiamo al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., senza alcuna specifica ed adeguata indicazione, nell’illustrazione del motivo, di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una corretta identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da … irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; tra le più recenti v. Cass. n. 3141 del
2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019).
13.2.Inoltre il vizio ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., (espressamente richiamato dal ricorrente in rubrica) va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione della norma di diritto asseritamente violata, che anche nell’esposizione del motivo manca, ma anche mediante la puntuale segnalazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).
13.3.Il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” -comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative della dedotta inosservanza della norma che si imputa al giudice di secondo grado.
13.4.Nel ricorso, invece, non è in alcun modo precisato come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), rendendo inammissibile la doglianza perché è solo l’esposizione delle ragioni di diritto dell’impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002. 13.5.L’osservanza del canone della chiarezza espositiva rappresenta l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui
mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006) ed è dunque inammissibile un ricorso che non consenta – come nella specie – di individuare quale sia la norma invocata e in che modo sarebbe stata violata nella sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti nonché i punti della motivazione specificamente viziati (cfr. Cass. n. 17178 del 2014 e giurisprudenza ivi richiamata). Nel quarto motivo neppure è menzionato quale sia il fatto, «da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, che deve essere specificamente individuata» (Cass. Ord. 12722/2020), controverso e decisivo per il giudizio, che il giudice di secondo grado avrebbe insufficientemente o illogicamente esaminato
13.6.Il ricorrente, poi, evoca esplicitamente, sia nel quarto che più estesamente nel quinto motivo, anche il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., in un’ipotesi chiaramente preclusa, atteso che quest’ultima disposizione non può essere denunciata con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014). Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali
oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
13.7.In questo caso il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – deve chiaramente specificare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019). Nulla si legge in merito nei due ultimi motivi in esame.
14. Nel quinto motivo il «fatto» è stato identificato alla pag. 16 del ricorso con la circostanza che «il signor COGNOME non era amministratore di diritto né di fatto» ma «era il commercialista che si occupava di trasmettere le dichiarazioni dei redditi». Pur volendo a riguardo ritenere che tale questione di fatto non sia stata esaminata dal giudice di prime cure, non si coglie, però, la decisività di tale circostanza ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata, dal momento che il giudice di secondo grado ha argomentato che «la eventuale mancanza di legittimazione passiva non comporta il mancato pagamento del contributo unificato».
14.1.Il fatto che il COGNOME sia stato costretto a impugnare soltanto cumulativamente le «decine di avvisi» non muta i termini della questione e l’assenza di un suo esame non avrebbe potuto condurre con certezza, e non in termini di mera probabilità, a una diversa decisione (Cass. n. 28634/2013; 25608/2013; 24092/2013; 18368/2013; 3668/2013; 14973/2006; 12722/2020).
15.Segue il rigetto del ricorso.
16.Occorre dar conto che, poiché il giudizio è stato deciso in piena conformità alla proposta ex art. 380 bis cod. proc. civ. del presidente delegato comunicata ai contribuenti, i quali hanno
invece insistito per la decisione, alla pronuncia sulle spese si affiancano la condanna del soccombente, ai sensi dell’art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, nonché la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, anch’esse liquidate in dispositivo. Invero, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (nelle ordinanze n. 27195 e 27433/2023), l’art. 380 bis cit. costituisce una novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, «una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma)»; risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale», tant’è che l’opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35, comma 1, d. lgs. 149/2022 ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l’istituto si è puntualizzato – integra il «corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo)».
Pertanto, vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende (cfr. Cass. S.U., 13.10.2023, n 28540). Deve ancora darsi atto che ricorrono le condizioni processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Ministero che liquida in complessivi euro 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; nonché euro 4.300,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ..
Condanna, inoltre, la ricorrente al versamento di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della