Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5971 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5971 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 06/03/2025
Tributi altri Contributo unificato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12966/2023 R.G. proposto da Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa -Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (80195990587), in persona del Segretario p.t. , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (c.f.: 80224030587), presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, ope legis domicilia (EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 6445/2022, depositata il 29 dicembre 2022, della Commissione tributaria regionale del Lazio;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del l’otto ottobre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. -con sentenza n. 6445/2022, depositata il 29 dicembre 2022, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio (già Commissione tributaria regionale del Lazio) ha rigettato l’appello proposto dalla parte, odierna ricorrente, avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione di un invito al pagamento emesso in relazione al contributo unificato dovuto dalla contribuente in ragione della presentazione di motivi aggiunti nel giudizio incardinato davanti al Tar del Lazio (R.G. n. 9346/2017);
il giudice del gravame -premesso che il giudice del primo grado aveva accolto il ricorso della contribuente rilevando che «a) con i motivi aggiunti il ricorrente non aveva ampliato il “thema decidendum” ma aveva mantenuto il medesimo oggetto e cioè quello attinente alla già proposta doglianza relativa all’esclusione dalla gara: b) che l’Ufficio non aveva controdedotto spiegando in concreto come sarebbe stato ampliato l’oggetto» – ha confermato il decisum rimarcando che «il nuovo atto oggetto di impugnativa con motivi aggiunti conteneva le stesse sostanziali ragioni già svolte con il primo ricorso senza alcuna modifica o ampliamento sicchè in mancanza di una nuova causa petendi nella richiesta di annullamento conseguente alla proposizione della prima domanda, è evidente che mancava ogni presupposto per il versamento di un ulteriore contributo unificato, per non esservi stato alcun ampliamento del thema decidendum.»;
-il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa -Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo, ed ha depositato istanza di decisione in esito alla comunicazione della
proposta di definizione formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.;
resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE che pur ha depositato memoria.
Considerato che:
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, commi 6bis , e 6bis .1, assumendo, in sintesi, che -venendo in considerazione l’impugnazione, con la proposizione di motivi aggiunti, del (distinto) provvedimento di aggiudicazione della gara (in favore della RAGIONE_SOCIALE.p.a.) a fronte della originaria impugnazione del provvedimento di esclusione dalla gara (indetta per « l’affidamento di servizi giornalistici e strumentali ad agenzie di stampa con rete di servizi esteri e loro diffusione all’estero ») – sussisteva, nella fattispecie, il presupposto impositivo correlato alla (prevista) proposizione di domande nuove (art. 13, comma 6bis .1, cit.) in quanto la novità della domanda andava correlata al diverso provvedimento lesivo impugnato (« rispetto all’azione di annullamento proposta inizialmente in relazione ad un altro atto») che comportava un « ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente», in ragione, secondo un criterio di ordine qualitativo, della impugnazione «di un atto nuovo non già gravato con il ricorso principale» (con conseguente « distinto ed ulteriore ‘oggetto’ del giudizio, vale a dire di un più ampio petitum »);
-soggiunge il ricorrente che doveva, altresì, escludersi la ricorrenza, nella fattispecie, di una connessione ‘forte’ tra ricorsi e che i motivi aggiunti non si erano risolti nella (sola) deduzione di una invalidità derivata dell’aggiudicazione della gara (a fronte delle ragioni di ricorso spese nell’impugnazione del provvedimento di esclusione da quella stessa gara) in quanto erano stati introdotti in giudizio «nuovi
motivi di illegittimità specificamente diretti a contestare l’aggiudicazione a motivo dell’asserita illegittima ammissione alla gara dell’aggiudicataria e qualificati ‘motivi integrativi’, cioè a dire ulteriori e diversi rispetto a quelli spiegati avverso gli atti già impugnati con il ricorso principale …. così da ampliare la stessa causa petendi del giudizio», con conseguente introduzione in giudizio di una nuova parte controinteressata (la società aggiudicataria della gara);
-il motivo di ricorso -che pur prospetta profili di inammissibilità -non può trovare accoglimento;
– il d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 6bis .1, nel l’integrare la disciplina del contributo unificato dovuto in relazione ai ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato, espressamente ha previsto che «Per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove»;
il d.lgs. n. 104 del 2010, art. 43, prevede, a sua volta, due tipologie di motivi aggiunti, che consentono al ricorrente principale e a quello incidentale di introdurre sia nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte (motivi aggiunti propri), sia domande nuove purchè connesse con quelle già proposte (motivi aggiunti in senso improprio perché rivolti all’impugnazione di uno o più provvedimenti connessi a quello già impugnato);
e, quanto ai ricorsi relativi a provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, lo stesso d.lgs. cit., art. 120, comma 7, prevede che «I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti» ;
3.1 -sulla questione relativa alla dovutezza del contributo unificato – ove, dunque, il presupposto impositivo si correli alla proposizione di motivi aggiunti -la Corte ha già avuto modo di rilevare che l’interpretazione di prassi, adottata dalla (in circolari della) Amministrazione – alla cui stregua il contributo unificato sarebbe dovuto in caso di motivi aggiunti diretti a impugnare «provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo» – non può essere integralmente condivisa alla luce degli arresti della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che – seppur rilevando la legittimità di «tributi giudiziari multipli» e aggiuntivi, richiesti nei confronti di chi «introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici», ovvero deduca motivi aggiunti «relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso» – ha, ad ogni modo, elaborato il criterio secondo il quale il contributo unificato, in ipotesi di proposizione di motivi aggiunti, consegue dal «considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente» (v. Cass., 29 ottobre 2020, n. 23873; Cass., 27 ottobre 2020, n. 23530);
3.2 -la Corte di Giustizia, difatti, ha rimarcato che «La percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo non si pone in contrasto, in linea di principio, né con l’articolo 1 della direttiva 89/665, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, né con i principi di equivalenza e di effettività. Una tale percezione, infatti, contribuisce, in linea di principio, al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande che siano manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il procedimento. Tali obiettivi possono giustificare un’applicazione
multipla di tributi giudiziari come quelli oggetto del procedimento principale solo se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. Se la situazione non è in tali termini, l’obbligo di pagamento aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali ricorsi o motivi si pone, invece, in contrasto con l’accessibilità dei mezzi di ricorso garantita dalla direttiva 89/665 e con il principio di effettività. Quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi. Nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto dello stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.» (CGUE, 6 ottobre 2015, causa C-61/14, Orizzonte Salute, punti da 72 a 77);
3.3 -la Corte -nel farsi carico di un’interpretazione comunitariamente orientata della disposizione nazionale -ha, quindi, rilevato che, ai fini del presupposto impositivo del contributo unificato, non rileva la distinzione tra motivi aggiunti propri ed impropri in quanto, conformemente alla giurisprudenza unionale, occorre per l’appunto accertare se detti motivi determinino o meno un considerevole ampliamento del thema decidendum della causa principale; ampliamento che (allora) ricorre laddove «sia chiesto l’annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e la
causa introdotta si ponga così in rapporto di connessione cd. debole, ossia meramente fattuale, con quella concernente l’impugnazione dell’atto originario», dovendosi, quindi, escludere la dovutezza del contributo unificato laddove il ricorso aggiuntivo «abbia per oggetto uno o più atti in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con il provvedimento originariamente impugnato, dando luogo a una connessione cd. forte di cause» (v. Cass., 29 ottobre 2020, n. 23873 cui adde Cass., 29 gennaio 2024, n. 2640; Cass., 1 settembre 2022, n. 25729; Cass., 26 agosto 2022, n. 25407);
-nella fattispecie -per come chiaramente emerge dalla gravata pronuncia (alla cui stregua i motivi aggiunti contenevano «le stesse sostanziali ragioni già svolte con il primo ricorso senza alcuna modifica o ampliamento»), e dalla stessa (richiamata) pronuncia del giudice di primo grado -non sussiste, quindi, la denunciata violazione di legge in quanto il giudice del gravame -dietro disamina del contenuto degli atti che, a fini impositivi, vengono qui in rilievo -ha, p er l’appunto, legittimamente escluso che la proposizione di motivi aggiunti avesse comportato un considerevole ampliamento del thema decidendum della causa principale;
– come, poi, la stessa proposta di definizione (formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.) ben segnala, al fondo del motivo di ricorso in trattazione emerge una censura che -involgendo il contenuto degli atti (in tesi) integrativi del presupposto impositivo -finisce con l’attingere l’accertamento in fatto condotto sul punto dal giudice del gravame;
accertamento, questo, che involge, dunque, l’interpretazione del contenuto degli atti processuali la cui censura, secondo un consolidato orientamento della Corte, deve recare specifica deduzione della violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro
applicazione, con l’indicazione , a pena d’inammissibilità, delle considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione (v. Cass., 5 luglio 2023, n. 19091; Cass., 2 agosto 2016, n. 16057; Cass., 18 marzo 2014, n. 6226; Cass., 18 aprile 2006, n. 8960; Cass., 22 dicembre 2005, n. 28421; Cass., 21 luglio 2003, n. 11343);
-così che, sotto il profilo (ora) in esame, emerge l’inammissibilità della censura;
– le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo (con distrazione in favore dei difensori antistatari), seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater ), trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis , Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955);
6.1 – trattandosi, poi, di ordinanza il cui contenuto decisorio è conforme alla proposta di definizione comunicata alla parte, va rilevato che l’art. 380 -bis cod. proc. civ. , con riferimento alla decisione accelerata dei ricorsi, al terzo comma prevede che «Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96. »; e l’art. 96 cod. proc. civ., a sua volta, dispone che: – «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice,
anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» (comma 3); – «Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000» (comma 4, introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, art. 3, comma 6);
6.2 – le Sezioni Unite della Corte -nel rimarcare l’immediata applicabilità delle disposizioni di cui al novellato art. 380bis cod. proc. civ. con riferimento ai «giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1 gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in Camera di consiglio» (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, art. 35, comma 6) – hanno statuito, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, che l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U., 27 settembre 2023, n. 27433);
6.3 -mentre, allora, va determinata in € 1.000,00 la somma da versare in favore della Cassa delle Ammende (v. Cass., 31 maggio 2024, n. 15354) , la disposizione sanzionatoria di cui all’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. va quantificata in € 1.800,00 e, così, correlata alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, avendo la Corte già rilevato che il terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., rinviando all’equità, richiama il criterio di proporzionalità secondo le tariffe forensi e quindi la somma da tale disposizione prevista va rapportata alla
misura dei compensi liquidabili in relazione al valore della causa, ovvero ad un loro multiplo, nei limiti segnati ad ogni modo da ragionevolezza (v. già Cass., 30 novembre 2012, n. 21570 cui adde Cass., 15 dicembre 2022, n. 36874; Cass., 11 ottobre 2018, n. 25177; Cass., 21 novembre 2017, n. 27623; v., altresì, Cass., 4 agosto 2021, n. 22208; Cass., 18 novembre 2019, n. 29812 nonché Corte Cost., 6 giugno 2019, n. 139).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità -spese liquidate in € 1.800,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari (avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME) nonché, ai sensi dell’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., della ulteriore somma di € 1.800,00;
-condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 8 ottobre