Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2640 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2640  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 29/01/2024
Tributi Altri
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22532/2015 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quest’ultima quale erede di COGNOME NOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALE, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrenti – contro
Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  la  Lombardia -Milano  -,  in persona  del  Presidente p.t. ,  rappresentato  e  difeso dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, ope legis domicilia;
-resistente – avverso la sentenza n. 710/2015, depositata il 27 febbraio 2015, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 settembre 2023, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 710/2015, depositata il 27 febbraio 2015, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, per quel che qui rileva, ha rigettato l’appello delle parti, odierne ricorrenti, avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un’ ingiunzione di pagamento emessa in relazione al contributo unificato dovuto dalle contributi per la presentazione di motivi aggiunti nel giudizio proposto davanti al Tar Milano ed iscritto al nr. di RG NUMERO_DOCUMENTO;
1.1 -il giudice del gravame ha confermato il decisum di prime cure rilevando che risultava correttamente applicato, nella fattispecie, il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 6 bis, con riferimento alle nuove domande introdotte dalle ricorrenti con i proposti motivi aggiunti, e atteso che detti motivi avevano ad oggetto «due provvedimenti che non erano stati oggetto di impugnazione con il ricorso principale (decreto di proroga del termine per il compimento delle procedure espropriative e dei lavori e decreto di ulteriore proroga di due anni)» nonché «una domanda ulteriore (domanda di accertamento della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e della scadenza dei termini per l’occupazione legittima con il risarcimento dei danni subiti).»;
– COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella spiegata qualità, ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi, illustrati con memoria;
 il  Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  la  Lombardia  si  è tardivamente costituito in giudizio al fine di partecipare alla discussione del ricorso.
Considerato che:
-col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 6-bis, ed al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 11, dell’allegato 4, deducendo, in sintesi, che illegittimamente il giudice del gravame aveva ritenuto sussistente il presupposto impositivo del contributo unificato qual correlato alla mera presentazione di motivi aggiunti in quanto avrebbe dovuto diversamente considerare che alcuna domanda nuova era stata introdotta in giudizio, i motivi aggiunti involgendo l’impugnazione di atti consequenziali (di proroga dei termini per il completamento delle procedure espropriative e dei lavori) strettamente correlati a quelli oggetto dell’originaria impugnazione che, a sua volta, già esponeva una richiesta risarcitoria solo rimodulata in relazione agli atti di proroga;
il secondo complesso motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, di omessa pronuncia ed omesso esame delle questioni di legittimità sollevate con riferimento alle disposizioni di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, ed al d.lgs. n. 104 del 2010, allegato 4, cit., assumendo le ricorrenti che, nell’interpretazione di dette disposizioni assunta dalla gravata pronuncia, l’obbligo del versamento di un (ulteriore) contributo unificato verrebbe a porsi in contrasto col testo costituzionale (artt. 3, 24, 53, 97, 111 e 113) e con gli artt. 6 e 13 della CEDU;
-il  primo  motivo  di  ricorso -dal  cui  esame  consegue l’assorbimento  del  secondo  motivo  che  le  stesse  parti  ricorrenti prospettano in via condizionata -è fondato, e va accolto;
 –  il  d.P.R.  n.  115  del  2002,  art.  13,  comma  6  bis  (nel  testo vigente ratione  temporis ),  nel  disciplinare  gli  importi  del  contributo unificato  dovuto  in  relazione  ai  ricorsi  proposti  davanti  ai  Tribunali
amministrativi  regionali  ed  al  Consiglio  di  RAGIONE_SOCIALE,  espressamente  ha previsto che «Per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove»;
e , com’è noto, il d.lgs. n. 104 del 2010, art. 43, prevede, a sua volta,  due  tipologie  di  motivi  aggiunti,  che  consentono  al  ricorrente principale  e  a  quello  incidentale  di  introdurre  sia  nuove  ragioni  a sostegno  delle  domande  già  proposte  (motivi  aggiunti  propri),  sia domande  nuove  purché  connesse  con  quelle  già  proposte (motivi aggiunti in senso improprio perché rivolti all’impugnazione di uno o più provvedimenti connessi a quello già impugnato);
3.1 -sulla questione relativa alla dovutezza del contributo unificato – ove, dunque, il presupposto impositivo si correli alla proposizione di motivi aggiunti -la Corte ha già avuto modo di rilevare che l’interpretazione di prassi, adottata dalla (in circolari della) Amministrazione – alla cui stregua il contributo unificato sarebbe dovuto in caso di motivi aggiunti diretti a impugnare «provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo» – non può essere integralmente condivisa alla luce degli arresti della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che – seppur rilevando la legittimità di «tributi giudiziari multipli» e aggiuntivi, richiesti nei confronti di chi «introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici», ovvero deduca motivi aggiunti «relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso» – ha, ad ogni modo, elaborato il criterio secondo il quale il contributo unificato, in ipotesi di proposizione di motivi aggiunti, consegue dal «considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente» (v. Cass., 29 ottobre 2020, n. 23873; Cass., 27 ottobre 2020, n. 23530);
3.2 -la Corte di Giustizia, difatti, ha rimarcato che «La percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo non si pone in contrasto, in linea di principio, né con l’articolo 1 della direttiva 89/665, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, né con i principi di equivalenza e di effettività. Una tale percezione, infatti, contribuisce, in linea di principio, al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande che siano manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il procedimento. Tali obiettivi possono giustificare un’applicazione multipla di tributi giudiziari come quelli oggetto del procedimento principale solo se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. Se la situazione non è in tali termini, l’obbligo di pagamento aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali ricorsi o motivi si pone, invece, in contrasto con l’accessibilità dei mezzi di ricorso garantita dalla direttiva 89/665 e con il principio di effettività. Quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi. Nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto RAGIONE_SOCIALE stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato
dall’obbligo  di  pagamento  di  tributi  giudiziari  cumulativi.»  (CGUE,  6 ottobre 2015, causa C-61/14, RAGIONE_SOCIALE, punti da 72 a 77);
3.3 -la Corte -nel farsi carico di un’interpretazione comunitariamente orientata della disposizione nazionale -ha, quindi, rilevato che, ai fini del presupposto impositivo del contributo unificato, non rileva la distinzione tra motivi aggiunti propri ed impropri in quanto, conformemente alla giurisprudenza unionale, occorre per l’appunto accertare se detti motivi determinino o meno un considerevole ampliamento del thema decidendum della causa principale; ampliamento che (allora) ricorre laddove «sia chiesto l’annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e la causa introdotta si ponga così in rapporto di connessione cd. debole, ossia meramente fattuale, con quella concernente l’impugnazione dell’atto originario», dovendosi, quindi, escludere la dovutezza del contributo unificato laddove il ricorso aggiuntivo «abbia per oggetto uno o più atti in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con il provvedimento originariamente impugnato, dando luogo a una connessione cd. forte di cause» (v. Cass., 29 ottobre 2020, n. 23873 cui adde Cass., 1 settembre 2022, n. 25729; Cass., 26 agosto 2022, n. 25407);
3.4 -nella fattispecie, per come reso esplicito dal ricorso -che sul punto risulta pienamente autosufficiente -e dalla stessa gravata sentenza -che ha cura di rilevare l’oggetto dei motivi aggiunti riferendolo a «due provvedimenti che non erano stati oggetto di impugnazione con il ricorso principale (decreto di proroga del termine per il compimento delle procedure espropriative e dei lavori e decreto di ulteriore proroga di due anni)» e ad «una domanda ulteriore (domanda di accertamento della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e della scadenza dei termini per l’occupazione legittima con il risarcimento dei danni subiti)» – i motivi aggiunti involgevano
due provvedimenti (di proroga) che -presupponendo la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (atto autonomamente lesivo e non meramente preparatorio del procedimento espropriativo; cfr., tra le altre, Consiglio di RAGIONE_SOCIALE, sez. IV, 9 febbraio 2022, n. 941) e l’occupazione temporanea delle aree private (provvedimenti, questi, già oggetto di impugnazione col ricorso principale) -si ponevano in nesso di presupposizione -seppur non necessariamente ad effetto caducante ma solo viziante (sulla relativa distinzione cfr., ex plurimis , Consiglio di RAGIONE_SOCIALE, sez. III, 10 novembre 2020, n. 6922; Consiglio di RAGIONE_SOCIALE, sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4404; Consiglio di RAGIONE_SOCIALE, sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5559) – e, ad ogni modo, di pregiudizialitàdipendenza con gli stessi provvedimenti originariamente impugnati, così dando luogo a una connessione cd. forte di cause;
-l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario delle ricorrenti;
-le spese dell’intero giudizio vanno compensate, tra le parti, avuto riguardo al sopravvenire, in corso di giudizio, del pertinente indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, e della stessa Corte di Giustizia.
P.Q.M.
La Corte
-accoglie  il  primo  motivo  di  ricorso,  assorbito  il  secondo motivo;
-cassa  la  sentenza  impugnata  e,  decidendo  la  causa  nel merito, accoglie il ricorso originario delle ricorrenti;
-compensa , tra le parti, le spese dell’intero giudizio . Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 settembre 2023.