Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13439 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13439 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
– SEZIONE TRIBUTARIA –
OGGETTO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere – rel.
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 11/02/2025
CONTRIBUTO UNIFICATO MOTIVI AGGIUNTI
ha deliberato di pronunciare la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15144/2023 del ruolo generale, proposto
DA
il TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO -SEZIONE DISTACCATA DI LATINA (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Segretario pro tempore ed il MINISTERO DELL ‘E CONOMIA E DELLE FINANZE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Ministro pro tempore , rappresentate e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTI –
CONTRO
NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE nata a Novi Ligure il 16 settembre 1970 e residente in Latina
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alla INDIRIZZO rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale e nomina da considerarsi poste in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE Data pubblicazione 20/05/2025
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 361/18/2023, depositata il 25 gennaio 2023.
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale dell’11 febbraio 2025.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è la somma di 650,00 € richiesta alla controricorrente dal Segretario del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio -Sezione di Latina -a titolo di contributo unificato in relazione ai motivi aggiunti dalla medesima presentati nel corso del giudizio amministrativo incardinato presso il citato Tribunale con il n. 163/2018 di ruolo generale.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con l’impugnata sentenza accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, premettendo, sul piano dei principi, di condividere quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23873/2020, secondo cui il ricorso amministrativo che contenga motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. è soggetto al contributo unificato quando, in coerenza con il principio affermato dalla sentenza della CGUE 6 ottobre 2015, C-61/14, i motivi determinino un considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia, circostanza che si verifica allorché, con il ricorso aggiuntivo, sia chiesto l’annullamento di
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uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e la causa introdotta si ponga così in rapporto di connessione cd. debole, ossia meramente fattuale, con quella concernente l’impugnazione dell’atto originario. Data pubblicazione 20/05/2025
Al contrario -aggiungeva il Giudice d’appello – il ricorso aggiuntivo va esente dal contributo unificato quando abbia per oggetto uno o più atti in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con il provvedimento originariamente impugnato, dando luogo a una connessione cd. forte di cause.
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale riteneva che i motivi aggiunti presentatati dalla contribuente non avessero introdotto domande nuove, assoggettabili (anche alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria) a contributo unificato a norma dell’art. 13, comma 6bis , d.P.R. n.115/2002, essendosi limitati a recare nuove ragioni a sostegno delle istanze già proposte e non anche motivi contenenti domande nuove, anche se connesse a quelle già proposte.
Nello specifico, la Corte precisava che l’atto oggetto dell’originario ricorso faceva « riferimento alla natura del provvedimento impugnato quale provvedimento di comunicazione di apertura di procedimento per contestazione di opere abusive con minaccia di demolizione delle opere.
Demolizione che appunto era contenuta nell’ordinanza successiva, sicchè trattavasi di motivi sovrapponibili perché atti riguardanti il medesimo procedimento, l’uno conseguente l’altro senza ampliamento del thema decidendum » (così nella sentenza impugnata).
Avverso detta pronuncia il Tribunale Amministrativo Reginale del Lazio -Sezione distaccata di Latina -ed il
Ministero dell’Economia e delle Finanze proponevano ricorso per cassazione notificandolo in data 17 luglio 2023, formulando un unico motivo di impugnazione. Numero sezionale 984/2025 Numero di raccolta generale 13439/2025 Data pubblicazione 20/05/2025
NOME COGNOME ha resistito con controricorso depositato in data 15 settembre 2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico di motivo di impugnazione i ricorrenti hanno lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num . 3., c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, commi 6 -bis e 6bis .1, d.P.R. n. 115/2002, nonché la violazione dei principi generali in tema di struttura del processo amministrativo e dei rapporti tra il ricorso principale ed i motivi aggiunti in relazione alla debenza del contributo unificato.
Gli istanti hanno rappresentato che:
con il ricorso principale innanzi al TAR veniva impugnava l’ordinanza n. 15941/5173 del 4 dicembre 2017 Prot. n. 165944 , con cui erano state revocate due precedenti ordinanze di demolizione ed un’ordinanza comminatoria di sanzioni amministrative, così disponendo la successiva emissione di un’unica ordinanza di demolizione comprensiva di tutte le opere abusive, incluse quelle successivamente autodenunciate dalla ricorrente stessa;
-con il ricorso per motivi aggiunti veniva, invece impugnata l’ordinanza n. 41 del 28 febbraio 2018, di demolizione omnicomprensiva, gravandola anche del vizio ulteriore relativo alla mancata valutazione dell’impossibilità di procedere alla demolizione parziale senza compromettere la parte lecitamente edificata e, dunque, concernente la mancata
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valutazione della necessità di comminare solo una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. Data pubblicazione 20/05/2025
Per tale via, l’Ufficio, nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte sul tema in rassegna (Cass. nn. 23528-2352923530/2020, 23691/2020, 23873/2020, 16288/2021, 31151/2021, 30273 e 30274/2022), ha evidenziato che con i predetti motivi aggiunti la contribuente aveva introdotto nuove domande contro un provvedimento ulteriore, autonomamente lesivo, con ciò ampliando considerevolmente l’oggetto della controversia pendente, dovendo perciò escludersi la sussistenza di una connessione cd. forte tra i motivi del primo ricorso e quelli aggiunti.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, subito avvertendo che il Ministero delle Economia e della Finanze (che nemmeno risulta essere stata parte del giudizio d’appello) non ha legittimazione all’impugnazione, spettando la stessa alla cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario che ebbe ad emettere l’invito al pagamento ex art. 248 d.P.R. 115/2002, come più volte chiarito da questa Corte (cfr. Cass. 27064/2024, ai cui contenuti si rimanda, che richiama Cass. n. 11318/2020 e Cass. n. 18029/2022).
La peculiarità della fattispecie in rassegna sta nel fatto che la Corte regionale ed il Segretario del Tribunale Amministrativo Regionale (da ora anche T.A.R.) hanno richiamato gli stessi principi più volte affermati da questa Corte, giungendo però a conclusioni diverse.
Sotto il primo profilo, infatti, va ricordato come anche di recente questa Corte abbia ribadito che:
-l’art. 13, comma 6 -bis d.P.R. n. 115/2002 (nel testo vigente ratione temporis ), nel disciplinare gli importi del
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contributo unificato dovuto in relazione ai ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato ha considerato che per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale ed i motivi aggiunti che introducono domande nuove; Data pubblicazione 20/05/2025
-l’art. 43 d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo, in acronimo c.p.a.) prevede due tipologie di motivi aggiunti, che consentono al ricorrente principale ed a quello incidentale di introdurre sia nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte (motivi aggiunti propri), sia domande nuove purché connesse con quelle già proposte (motivi aggiunti in senso improprio perché rivolti all’impugnazione di uno o più provvedimenti connessi a quello già impugnato);
-l’interpretazione di prassi, adottata in circolari dell’Amministrazione – alla cui stregua il contributo unificato sarebbe dovuto in caso di motivi aggiunti diretti a impugnare «provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo» -non può essere integralmente condivisa alla luce degli arresti della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la quale, pur riconoscendo la legittimità di «tributi giudiziari multipli» e aggiuntivi, ha, tuttavia, elaborato il criterio secondo il quale il contributo unificato, in ipotesi di proposizione di motivi aggiunti, consegue dal «considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente», avvertendo che se il giudice nazionale accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento
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di tributi giudiziari cumulativi (CGUE, 6 ottobre 2015, causa C61/14, Orizzonte Salute, punti da 72 a 77); Numero di raccolta generale 13439/2025 Data pubblicazione 20/05/2025
non rileva, quindi, la distinzione tra motivi aggiunti propri ed impropri in quanto, conformemente alla giurisprudenza unionale, occorre per l’appunto accertare se detti motivi determinino o meno un considerevole ampliamento del thema decidendum della causa principale, che ricorre laddove «sia chiesto l’annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e la causa introdotta si ponga così in rapporto di connessione cd. debole, ossia meramente fattuale, con quella concernente l’impugnazione dell’atto originario», dovendosi, quindi, escludere la debenza del contributo unificato laddove il ricorso aggiuntivo «abbia per oggetto uno o più atti in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con il provvedimento originariamente impugnato, dando luogo a una connessione cd. forte di cause» (così Cass. n. 2640/2024, che richiama Cass. n. 23873/2020, Cass. n. 25729/2022; Cass. 25407/2022, Cass. n. 23873/2020; Cass. n. 23530/2020; nello stesso senso Cass. n. 27168/2024, Cass. n. 13676/2024).
Senn onchè, l’applicazione di tali non contestati principi ha condotto il Giudice regionale ad escludere che con i motivi aggiunti la contribuente avesse ampliato considerevolmente l’oggetto della controversia.
La ragione di ciò e della non condivisione da parte del Segretario del T.A.R. di tale soluzione sta nel fatto che il ricorrente discorre di atti impugnati che, quanto ai loro contenuti, non corrispondono, almeno in parte, a quelli oggetto dell’accertamento fattuale operato dal Giudice regionale, qui non sindacato per la verità, né sindacabile con il canone censorio prescelto della violazione di legge.
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Difatti, nella sentenza impugnata si legge -lo si ripete -che «L’atto impugnato fa riferimento alla natura del provvedimento impugnato quale provvedimento di comunicazione di apertura di procedimento per contestazione di opere abusive con minaccia di demolizione delle opere. Numero di raccolta generale 13439/2025 Data pubblicazione 20/05/2025
Demolizione che appunto era contenuta nell’ordinanza successiva, sicchè, trattavasi di motivi sovrapponibili perché atti riguardanti il medesimo procedimento, l’uno conseguente l’altro senza ampliamento del thema decidendum ».
Il citato ricorrente, invece, assume che con il ricorso principale innanzi al TAR veniva impugnava l’ordinanza n. 15941/5173 del 4 dicembre 2017 Prot. n. 165944 , avente ad oggetto la revoca di precedenti ordinanze di demolizione e di comminatoria di sanzioni amministrative, disponendo la successiva emissione di un’unica ordinanza di demolizione comprensiva di tutte le opere abusive (anche quelle successivamente autodenunciate dalla ricorrente stessa), mentre con i motivi aggiunti veniva impugnata la diversa ordinanza n. 41 del 28 febbraio 2018, avente ad oggetto la demolizione omnicomprensiva, con la contestazione dell’ulteriore vizio circa la mancata valutazione della necessità di comminare solo una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. Con la conseguenza, implicita quanto ovvia, che i motivi aggiunti non potevano considerarsi sovrapponibili ai primi.
La differente valutazione risiede, dunque, nel rilievo secondo il quale – a dire del Segretario del T.A.R. – con la seconda ordinanza non solo era stata emesso un provvedimento sostitutivo dei precedenti, avente ad oggetto la demolizione omnicomprensiva di tutte le opere eseguite dalla contribuente, ma era stata aggiunta la nuova contestazione
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dell’ulteriore vizio concernente la mancata valutazione della necessità di comminare solo una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. Data pubblicazione 20/05/2025
Epperò, la diversa interpretazione delle citate domande -segnatamente il tema della sovrapponibilità o meno dei motivi proposti, che divide le parti – coinvolge una tipica delibazione fattuale della volontà processuale della parte, che non è censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, primo comma, num. 5), c.p.c. (cfr. sul principio, tra le tante, Cass. n. 31546/2019, che richiama Cass. n. 195/2016; Cass. n. 26110/2015; Cass. n. 8315/2013; Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010; Cass., Sez. Un., n. 10313/2006).
L’inammissibilità, dunque, discende dall’estraneità della censura all’ambito di applicazione del numero 3 dell’articolo 360 c.p.c., giacché il motivo accredita una diversa interpretazione delle domande operata Giudice di merito in funzione delle risultanze ritenute meritevoli di considerazione.,
Per tale ragione la censura risulta, nella sua concretezza, diretta a ribaltare l’interpretazione della domanda proposta innanzi al giudice amministrativo, operazione questa che rientra nel compito del giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, non può, per quanto sora esposto, essere sindacato in Cassazione con il parametro prescelto, il cui uso improprio, quindi, sancisce l’inammissibilità della doglianza e con essa del ricorso.
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Le spese presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico solidale dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., stante il loro interesse comune alla causa, con attribuzione al difensore che ha reso la prescritta dichiarazione. Data pubblicazione 20/05/2025
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore di NOME COGNOME nella somma di 500,00 € per competenze, oltre all’importo di 200,00 per spese vive, con attribuzione all’avv. NOME COGNOME
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2025 .
IL PRESIDENTE NOME COGNOME