Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11300 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11063/2024 R.G. proposto da : MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
SCARPATO NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO della CAMPANIA n. 6064/2023 depositata il 02/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che, in parziale riforma della sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Caserta, con la quale era stato accolto il ricorso di NOME COGNOME per l’annullamento dell’invito alla regolarizzazione del contributo unificato dovuto per l’impugnazione di sollecito di pagamento della TARI, per gli anni di imposta 2016-2017, ha condannato il M.E.F. al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, accolto il motivo dell’appello del contribuente sulle spese di lite, ha rigettato l’appello della parte pubblica in ordine all’obbligo di pagamento del maggior contributo unificato. Osservato che con il ricorso avverso il solo sollecito di pagamento il contribuente aveva contestato la mancata notificazione degli atti prodromici, ha ritenuto una siffatta articolazione della domanda non rientrante fra le ipotesi dei c.d. ricorsi cumulativi. La Corte ha, inoltre, precisato che, in ogni caso, la pretesa tributaria di cui al sollecito di pagamento non è altro che la sommatoria del valore delle cartelle o degli atti presupposti, sicché la pretesa del maggior contributo che, nel calcolare il valore della lite, aggiunga al valore dell’intimazione di pagamento quello degli atti presupposti finisce per costituire un’ipotesi di ‘doppia tassazione’ non consentita.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Ministero dell’Economia e delle Finanz e si affida a due motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 comma 3 bis d.P.R. 115 del 2002 e 12, comma 2 d.lgs. 546 del 1992. Osserva che la sentenza impugnata, travisando la ratio normativa dell’art. 14 comma 3 bis d.P.R. 115 del 2002 , aderisce ad un’interpretazione che conduce al calcolo del contributo unificato che tradisce l’intenzione legislativa. Ricorda che la TARI non è tributo autoliquidato e che il pagamento annuale avviene su avviso bonario del Comune, sulla base della dichiarazione del contribuente e che detto atto non necessita di essere notificato, essendo la notificazione riservata all’ipotesi di avviso di accertamento, conseguente l’omesso versamento, o a quella di iscrizione a ruolo. Rileva che il contribuente, nell’impugnare il sollecito di pagamento, aveva eccepito l’illegittimità dell’atto impugnato per difetto di notifica dell’atto presupposto, concludendo per la ‘nullità della pretesa tributaria per intervenuta decadenza e prescrizione’. Ciò impone, ai sensi dell’art. 14, comma 3 bis d.P.R. 115 del 2002 e dell’art. 12, comma 2 d.lgs. 546 del 1992 , il calcolo del valore della lite avendo quale criterio di riferimento il valore dei singoli atti impugnati e non il valore complessivo degli stessi, coincidente con la pretesa tributaria. Richiama la pronuncia della Corte Costituzionale 78/2016, che ha rigettato la questione di legittimità di costituzionale della disposizione di cui all’art. 14, comma 3 bis cit., nonché la giurisprudenza della Suprema Corte ed in particolare la sentenza n. 16283/2021, con cui è stato affermato il principio secondo il quale, anche in caso di ricorso cumulativo avverso più atti impositivi, il calcolo del contributo
unificato va operato sulla somma dei contributi dovuti con riferimento ad ogni atto impugnato, sulla base del valore di ciascuno di essi. Sottolinea che siffatta interpretazione corrisponde a quella offerta dalle Circolari 1/DF del 21 settembre 2001 e 2/DGT del 14 dicembre 2012.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 15, commi 1 e 2 d.lgs. 546 del 1992, per avere il giudice di seconda cura, in accoglimento dell’appello del contribuente, riformato la sentenza di primo grado in ordine alla statuizione sulle spese di lite, compensate dal primo giudice. Rammenta che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 77/2018, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 92 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese di lite fra le parti, affrancandosi dal criterio della soccombenza, in presenza di ‘mutamento di giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti’ od in presenza di ‘altre gravi ed eccezionali ragioni’. La Corte tributaria di secondo grado avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza dei presupposti della compensazione, stante anche il mutamento di giurisprudenza del giudice di primo grado che, infatti, aveva così statuito.
Il primo motivo è inammissibile.
Nonostante la corretta premessa giuridica (sul punto è sufficiente ribadire il consolidato orientamento secondo cui ‘In caso di ricorsi cumulativi tributari, il contributo unificato deve essere determinato sulla base della somma dei contributi dovuti per ciascun atto impugnato, ex art. 14, comma 3-bis, d.P.R. n. 115 del 2002 vigente “ratione temporis”, assumendo all’uopo rilievo il richiamo da esso operato all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, che introduce una disciplina speciale rispetto alla norma generale di rinvio ex art. 1 del medesimo d.lgs.; di talché risulta priva di portata innovativa la modifica dell’art. 14, comma
3-bis, cit. intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 598, lett. a), legge n. 147 del 2013’ (Sez. 5 – , Ordinanza n. 16283 del 10/06/2021; Cass. Sez. 6, n. 37386 del 21/12/2022; cfr. anche Sez. 5, Ordinanza n. 17510 del 31/05/2022 e Sez. 5, Ordinanza n. 17510 del 2022), la doglianza finisce per risolversi in una censura relativa ad un accertamento di fatto, in relazione alla valutazione operata sia dalla sentenza di secondo, che di primo grado, sul contenuto della domanda formulata con il ricorso introduttivo del giudizio di merito relativo all’impugnazione del sollecito di pagamento della TARI.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata afferma che ‘ mediante l’impugnazione del sollecito, atto autonomamente impugnabile sebbene non previsto nell’elenco (…) previsto dall’art. 19 d. lgs. 546/92, il contribuente ha inteso contestare la mancata notifica degli atti prodromici e non la debenza del tributo. Il ricorso così articolato non può certamente rientrare nella casistica dei c.d. ricorsi cumulativi, atteso che in questo caso non ricorrono più atti, autonomi uno dall’altro, impugnati, ma solo l’ultimo. Il ricorso, infatti, è stato proposto solo avverso il sollecito di pagamento, ossia avverso un’intimazione contenente una pretesa tributaria ben precisa’.
Ora, rispetto a questa ricostruzione del contenuto dell’originario ricorso di impugnazione del sollecito di pagamento, la doglianza, per un verso, finisce per porsi quale censura alla motivazione, per altro verso difetta di autosufficienza (su cui, per tutte: Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022) essendo stati riportati dall’Ufficio, in questa sede, unicamente brevi stralci del ricorso per l’annullamento del sollecito di pagamento, proposto dal contribuente, dai quali non emerge affatto l’impugnazione degli atti presupposti.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Il giudice di secondo grado, infatti, a fronte di specifico motivo di appello della parte contribuente, vittoriosa in primo grado, si è limitato a rigovernare le spese tenendo conto del principio della soccombenza e dell’insussistenza di ragioni legittimanti la compensazione, ricordando che la medesima va ‘ritenuta come eccezione al principio generale e, come sancito dall’art. 92, comma 2 cod. proc. civ., questa può avere luogo solo in caso di soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti’. Sicché ‘ciò che conta ai fini della soccombenza è il comportamento tenuto dalla parte prima del processo, comportamento che ha costretto l’avversario a rivolgersi al giudice per ottenere il riconoscimento dei propri diritti’.
Nel caso di specie, la Corte tributaria di secondo grado ha provveduto ad applicare, del tutto correttamente, il principio della soccombenza di cui all’art. 92 cod. proc. civ., sostanzialmente ignorato dal primo giudice, che con laconica motivazione aveva compensato le spese di lite per ‘la particolarità della materia e la natura interpretativa delle questioni trattate’. E lo ha fatto, ritenendo sostanzialmente inesistente anche il presupposto delle oscillazioni giurisprudenziali del giudice tributario di primo grado giustificanti, secondo l’Ufficio, una diversa statuizione. Il motivo, dunque, finisce per risolversi non nella contestazione della violazione della regola della soccombenza, ma in quella della contestazione della mancata considerazione di pronunce di diverso segno della Corte tributaria di primo grado, in questa sede, peraltro, solo evocate ed in alcun modo dimostrate.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, non provvedendosi sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.
Non si fa luogo alla pronuncia in ordine al pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, non sussistendone i presupposti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, in data 11 febbraio 2025 .