Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11128 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5996/2021 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, rappresentato e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Salerno, ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL ), giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
‘ Consorzio di Bonifica Integrale -Comprensorio Sarno «Bacini del Sarno, dei Torrenti Vesuviani e dell’Irno» ‘ , con sede in Nocera Inferiore (NA), in persona del commissario straordinario pro tempore , autorizzato a resistere nel presente procedimento in virtù di deliberazione adottata dal medesimo l’8 marzo 2021, n. 6 7, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, entrambi con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato (indirizzi pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL ; avvEMAIL, giusta procura in margine al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRIBUTI CONSORTILI ACCERTAMENTO
CONTRORICORRENTE
E
RAGIONE_SOCIALE con sede in La Spezia, in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore ;
INTIMATA
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania -sezione staccata di Salerno il 16 luglio 2020, n. 3734/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17 dicembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania -sezione staccata di Salerno il 16 luglio 2020, n. 3734/02/2020, che, in controversia su impugnazione di ingiunzione di pagamento n. 4890091965 notificatale dalla ‘ RAGIONE_SOCIALE , in qualità di affidataria del servizio di riscossione coattiva dei contributi di bonifica, con riguardo ad immobili ubicati nel comprensorio del ‘ Consorzio di Bonifica Integrale -Comprensorio Sarno «Bacini del Sarno, dei Torrenti Vesuviani e dell’Irno» ‘ , ha rigettato l’appello proposto da esso esponente -nel giudizio di cui anche la ‘ RAGIONE_SOCIALE è stata parte – avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno, n. 1539/12/2019, con compensazione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado sul presupposto che la contribuente era gravata dall’onere della prova della carenza di beneficio consortile,
laddove quest’ultimo poteva « risolversi anche in mere azioni di manutenzione, esercizio e sorveglianza al fine di incrementare o anche solo di conservare il valore degli immobili », ben essendo possibile che « un’opera che riguarda un determinato fondo produce effetti positivi anche su altri fondi e sull’intera area consortile ».
Il ‘ Consorzio di Bonifica Integrale -Comprensorio Sarno «Bacini del Sarno, dei Torrenti Vesuviani e dell’Irno» ‘ ha resistito con controricorso, mentre la ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ è rimasta intimata.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo, si denunciano, al contempo: violazione e falsa applicazione de ll’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2719 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sui motivi di appello circa la violazione degli artt. 24 e 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per la tardiva costituzione dell’ente impositore e dell’agente della riscossione nel giudizio di prime cure, e circa il disconoscimento della documentazione pr odotta dall’agente della riscossione nel giudizio di prime cure, astenendosi da ogni decisione sull’efficacia interruttiva dei documenti prodotti in copia fotostatica dall’agente della riscossione e sull’utilizzabilità ai fini della decisione dei documenti prodotti tardivamente in primo grado (in particolare, degli avvisi di pagamento con le relative ricevute di ritorno) dall’agente della riscossione, con la
conseguente decisione sulla base di documenti inutilizzabili per la tardiva produzione in giudizio in copia fotostatica, che sono stati ritenuti idonei ad assolvere l’onere probatorio in capo all’ente impositore .
2.1 Il predetto motivo è inammissibile sotto plurimi profili e, comunque, infondato.
2.2 Per il primo aspetto, il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 11 ottobre 2018, n. 25154; Cass., Sez. 5^, 8 marzo 2019, n. 6811; Cass., Sez. 6^-5, 15 ottobre 2019, n. 25958; Cass., Sez. 5^, 23 ottobre 2019, n. 27096; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2020, n. 22007; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2020, n. 27804; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31855; Cass., Sez. 6^-5, 23 dicembre 2021, n. 41362; Cass., Sez. 3^, 16 ottobre 2024, n. 26913), quale quella che il ricorrente assume oggetto della mancata decisione.
Invero, è pacifico che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2020, n. 2153; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. 3^, 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2023, n. 23672; Cass., Sez. Trib., 13 agosto 2024, n. 22775). Ed è stato, quindi, ritenuto che non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da
parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass., Sez. 6^ – 1, 4 giugno 2019, n. 15255). Per cui, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omissione di pronuncia non è ravvisabile quando una decisione resa in grado di appello, ancorché mancante di un’espressa statuizione su un motivo di impugnazione, sia giustificata da argomentazioni logicamente e giuridicamente incompatibili con detto motivo, sì da comportarne l’implicita reiezione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 17 marzo 2022, n. 8710; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2022, nn. 16672 e 16673; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2022, n. 18253; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2022, n. 19502; Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2022, n. 35137; Cass., Sez. Trib., 26 giugno 2023, n. 18153; Cass., Sez. Trib., 27 maggio 2024, n. 14811).
Nella specie, a ben vedere, decidendo nel merito, il giudice di appello ha implicitamente disatteso l’eccezione pregiudiziale di inutilizzabilità della documentazione tardivamente prodotta in copia fotostatica.
2.3 Quanto, poi, alla contestazione relativa alla produzione di copie fotostatiche, è principio consolidato di questa Corte che, in tema di prova documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello
prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (Cass., Sez. 5^, 20 giugno 2019, n. 16557; Cass., Sez. 6^-5, 25 maggio 2021, n. 14279; Cass., Sez. 3^, 20 dicembre 2021, n. 40750; Cass., Sez. Trib., 31 maggio 2023, n. 15373; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, n. 15200).
Per cui, come si desume dalla trascrizione del relativo motivo di appello in ricorso (ai fini dell’autosufficienza), il contribuente si era limitato ad una vaga e generica contestazione della mera produzione dei documenti in copia fotostatica, senza alcuna deduzione di una precisa e specifica difformità rispetto agli originali.
2.4 Non può, poi, tralasciarsi la decisiva considerazione (per le successive argomentazioni, si rinvia, in motivazione, a: Cass., Sez. Trib., 7 giugno 2023, n. 16122) che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, i contributi di bonifica sono riscossi mediante ruolo secondo le norme che regolano l’esazione delle imposte dirette, in forza dell’art. 21 del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215 (‘ Nuove norme sulla bonifica integrale ‘), che continua ad essere applicabile ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (‘ Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337 ‘), dovendosi, per contro, escludere l’applicazione dell’art. 1, comma 161 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (‘ Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -legge finanziaria 2007 ‘), che presuppone la preventiva notifica degli atti impositivi, mentre la riscossione di contributi di bonifica avviene con la sola notificazione della cartella di pagamento (Cass., Sez. 5^, 5 dicembre 2012, n. 21797; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2013, n. 8371; Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2014, n.
3594; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2014, n. 13165; Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2017, n. 4309; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8080; Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2021, n. 19192; Cass., Sez. 6^-5, 18 luglio 2022, n. 22483), non essendo stato abrogato tale siste ma dall’art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8080; Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2021, n. 19192).
Ciò posto, ancora oggi, i contributi consortili sono solitamente riscossi mediante l’emanazione di cartelle di pagamento; ciò non di meno, si è diffusa la prassi degli enti impositori di inviare per posta ai contribuenti iscritti nei ruoli dei consorzi di bonifica preventivi ‘ avvisi di pagamento ‘, con valore di bonari inviti al versamento dei contributi consortili, in modo da risparmiare la corresponsione delle spese per la notifica delle cartelle di pagamento.
Il graduale consolidamento di tale prassi ha posto la questione dell’impugnabilità degli avvisi di pagamento (atti atipici) dinanzi al giudice tributario e della eventualità della contemporanea pendenza dinanzi ai giudici tributari delle impugnazioni relative agli avvisi di pagamento ed alle cartelle di pagamento per i contributi consortili delle medesime annate di riferimento.
Secondo l’ insegnamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli ste ssi l’amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme
costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448 (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2014, n. 11929; Cass., Sez. 6^-5, 5 giugno 2017, n. 13963; Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2020, n. 2144; Cass., Sez. 5^, 3 novembre 2021, n. 31259; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2022, n. 3347; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481); è stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico) (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 5 ottobre 2012, n. n. 17010; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773; Cass., Sez. 6^-5, 9 maggio 2017, n. 11397; Cass., Sez. 5^, 8 maggio 2019, n. 12150; Cass., Sez. 5^, 24 dicembre 2020, n. 29501; Cass., Sez. 5^, 15 novembre 2021, n. 34177; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2022, n. 3347; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481).
Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato art. 19 (come, per l’appunto, l’avviso di pagamento del contributo consortile), il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento; ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass., Sez. 5^, 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., Sez. Un., 11 maggio 2009, n. 10672; Cas., Sez. 5^, 11 maggio 2015, n. 2616; Cass., Sez. 5^, 8 maggio 2019, n. 12150; Cass., Sez. 5^, 21 gennaio 2020, n. 1230; Cass., Sez. 5^, 3 novembre 2021, n. 31259; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2022, n. 3347; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481).
Qu indi, l’inerzia del contribuente di fronte all’avviso di pagamento non preclude l’autonoma impugnazione della successiva cartella di pagamento, non derivandone alcuna ‘ cristallizzazione ‘ della pretesa impositiva, che può essere contestata in tale sede; in ogni caso, resta fermo che la impugnazione di detto atto è soggetto al rispetto del termine generale previsto dall’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, essendo ininfluente la facoltatività della sua impugnazione per la permanenza, in capo al contribuente, del diritto di impugnare anche il primo atto impositivo tipico successivamente notificatogli (in termini: Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 17237; Cass., Sez. 6^-5, 43 febbraio 2022, n.
3347; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213).
A tal proposito, la più recente dottrina ha enucleato le distinte categorie degli ‘ atti facoltativamente impugnabili ‘ e degli ‘ atti necessariamente impugnabili ‘: i primi esprimono un’irreversibile determinazione della pretesa impositiva, seppure non rivestano ancora la forma autoritativa di uno degli atti tipizzati dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; per cui si può dire che la pretesa impositiva è sostanzialmente, sebbene non ancora formalmente, determinata; i secondi sono riconducibili o assimilabili (in via di interpretazione estensiva, per affinità di portata e di funzione) all’elenco degli atti tipizzati dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; per cui si può dire che la pretesa impositiva è sostanzialmente e formalmente determinata.
Pertanto, nulla esclude che il contribuente possa opporsi dinanzi al giudice tributario, dapprima, all’atto facoltativamente impugnabile e, poi, all’atto necessariamente impugnabile, configurandosi il suo interesse ad agire non soltanto nel contestare l’att o suscettibile di divenire irretrattabile se non impugnato, bensì anche nell’impedire l’adozione di un tale provvedimento, che imporrebbe il ricorso al giudice tributario siccome riconducibile all’elenco contenuto nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in termini: Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213).
Tale eventualità, cioè, l’impugnazione, dapprima, dell’atto impositivo atipico o ad impugnazione facoltativa e, poi, dell’atto impositivo tipico o ad impugnazione necessaria comporta, comunque, in caso di contemporanea pendenza, che il giudizio relativo all’att o preliminare venga a perdere
rilevanza, essendo prevalente (ed assorbente) la cognizione sulla pretesa impositiva (per ogni aspetto dell’ an , del quantum e del quomodo ) nel giudizio relativo all’atto principale, anche se l’instaurazione sia successiva in ordine cronologico; per cui, il contribuente ha l’onere di riproporre o proporre ex novo , non essendo vincolato dalle questioni dedotte nel precedente giudizio – in questa sede i vizi sostanziali e procedurali ravvisati nell’esercizio del potere impositivo .
Per altro, l’emanazione di atti impositivi atipici non incide sulla sequenza procedimentale dell’accertamento e della riscossione del tributo, per cui la funzione dell’atto principale non è alterata dall’eventuale emanazione dell’atto preliminare; ne deriva, q uindi, che l’atto impositivo atipico non muta la causa tipica dell’atto impositivo tipico, che il contribuente ha, sempre e comunque, l’onere di impugnare per contestare la pretesa tributaria (in termini: Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213).
N e consegue che, per far valere le doglianze relative all’ an ed al quantum del contributo consortile, il contribuente può optare per l’impugnazione della successiva cartella di pagamento senza incorrere in alcuna decadenza per l’omessa impugnazione del preventivo avviso di pagamento, che è meramente facoltativa. Di contro, una volta ammessa l’impugnazione facoltativa degli atti atipici, resta pur sempre necessaria l’impugnazione dell’atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant’è che, una volta emesso tale atto – come è stato precisato da questa Corte – viene meno l’interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l’atto impugnato in via facoltativa (in termini: Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, nn. 30691 e 30736; Cass., Sez. 5^, 8
aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213); in effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti propri dell’atto tipico (Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30736; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213).
Per cui, si deve dichiarare la carenza di interesse delle parti in ordine al primo atto impugnato, essendo destinata a concentrarsi la cognizione del giudice tributario sul secondo atto impugnato; dunque, l’emissione dell’atto susseguente, con la formulazione di una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria, sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente ad oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa ad un atto -nella specie, l’avviso di pagamento – sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente all’atto -nella specie, la cartella di pagamento – che lo ha integralmente sostituito (sul punto: Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2023, n. 1213).
Ora, è evidente che, quando l’avviso di pagamento e la cartella di pagamento per il contributo di bonifica siano contestualmente impugnati nel medesimo giudizio, la questione dell’esistenza o della validità della notifica dell’atto prodromico, al fine di o ttenere l’annullamento dell’atto principale, perde ogni rilevanza sul piano dell’interesse ad
agire, concentrandosi le censure del contribuente sulla pretesa impositiva trasfusasi nella cartella di pagamento, alle quali soltanto la cognizione del giudice tributario deve limitarsi.
2.5 Per il secondo aspetto, la contestazione deve essere, comunque, disattesa.
Invero, è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2019, n. 2585; Cass., Sez. 5^, 30 settembre 2021, n. 26507; Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2023, n. 9934; Cass., Sez. Trib., 16 maggio 2024, n. 13698). Per cui, la documentazione prodotta per difendere la legittimità degli atti impositivi è utilizzabile ai fini della decisione.
Inoltre, per il giudizio di appello, è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, l’art. 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 consente alle parti di produrre nuovi documenti in appello al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 cod. proc. civ., purché tale produzione avvenga -stante il richiamo dell’art. 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 alla disciplina del giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, ossia entro venti giorni liberi prima dell’udienza: tuttavia, l’inosservanza di detto
termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e ” ritualmente ” nel giudizio di impugnazione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2018, n. 5429; Cass., Sez. 5^, 16 gennaio 2019, n. 947; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2020, n. 26115; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29328; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18103; Cass,., Sez. 6^-5, 5 novembre 2021, n. 32046; Cass., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34540; Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2022, n. 8156; Cass., Sez. Trib., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2024, n. 12498). Per cui, essendo pienamente utilizzabili, il giudice di appello ne può tener conto per formare il proprio convincimento e rendere la decisione sul gravame.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non essere stata rilevata dal giudice di secondo grado « l’inutilizzabilità ai fini della decisione della documentazione depositata tardivamente in primo grado dalla parte poi rimasta contumace in secondo grado si pone in stridente contrasto (con) gli artt. 32 e 58 del d.lgs. n. 546/1992 ».
Il predetto motivo è infondato per le ragioni già illustrate al precedente punto 2.5, alle quali si rinvia.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 13 della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, come modificato dall’art. 11, comma 1,
della legge reg. Campania 29 dicembre 2005, n. 24, e 35, comma 3, della legge reg. Campania 19 gennaio 2007, n. 1, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che fosse dovuto « il contributo consortile nonostante per l’immobile di sua proprietà il ricorrente già fosse assoggettato al pagamento della tariffa per il servizio idrico integrato ».
4.1 Il predetto motivo è infondato.
4.2 Invero, l’art. 13, commi 2 e 3, della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, nel testo novellato dall’art. 11, comma 1, della legge reg. Campania 29 dicembre 2005, n. 24, dispone che: « 2. Tutti coloro che utilizzano canali consortili come recapito di scarichi, in regola con le norme vigenti in materia di depurazione e provenienti da insediamenti di qualunque natura, sono obbligati a contribuire alle spese consortili in proporzione al beneficio ottenuto. 3. Non hanno l’obbligo del pagamento del contributo di cui al comma 2 i proprietari di immobili assoggettati alla tariffa del servizio idrico integrato, ai sensi dell’articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, comprensiva della quota per il servizio di pubblica fognatura ». Inoltre, l’art. 35, comma 3, della legge reg. Campania 19 gennaio 2007, n. 1, prevede che: « L’articolo 13 della legge regionale 25 febbraio 2003, n. 4, così come modificato dall’articolo 11, comma 1, della legge regionale 29 dicembre 2005, n. 24, è autenticamente interpretato nel senso che restano esclusi dal tributo anche tutti gli immobili o suoli agricoli che non sono direttamente serviti da opere di bonifica realizzate dagli enti consortili ».
4.3 Non a caso le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2017, n. 4309 -vedasi anche: Cass., Sez. Un., 29 marzo 2011, n. 7101; Cass., Sez. Un., 26 marzo 2014,
n. 7178), nell’affermare la devoluzione alla cognizione del giudice ordinario delle controversie relative ai canoni dovuti ai consorzi di bonifica per l’utilizzo di canali e strutture consortili (con particolare riguardo alla legge reg. Marche 17 giugno 2013, n. 13), hanno opportunamente precisato (con argomentazione valevole in linea generale) che « occorre invero distinguere (…) tra contributi dovuti dai proprietari che obbligatoriamente fanno parte del consorzio per essere i loro fondi compresi nel perimetro consortile e traggono benefici dalle strutture di quello – e somme dovute da coloro che, pur non essendo proprietari di fondi compresi nel perimetro consortile, nondimeno utilizzano i canali consortili come recapito dei propri scarichi provenienti da insediamenti abitativi od industriali esterni; in tale quadro, solo le controversie sui primi vanno ricondotte, in virtù della confermata loro natura di oneri reali gravanti sul fondo, alla giurisdizione delle commissioni tributarie (ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come novellato dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448), mentre quelle sulle seconde vanno devolute, per la prevalenza della natura negoziale resa palese dalla previsione di una necessaria determinazione convenzionale di modalità ed entità del corrispettivo della fruizione dell’utilizzo, a quella del giudice ordinario ».
Da qui l’ulteriore puntualizzazione che « la disciplina regionale di riferimento (…) prevede almeno due categorie di contribuzioni: a) una prima, necessaria e propria dei – o riservata ai -proprietari di fondi rientranti nell’ambito territoriale del consorzio e gravati per ciò stessi di veri e propri oneri reali per il beneficio ritratto o ritraibile dalle opere consortili; b) una seconda, riservata ai soggetti, anche diversi
da quei proprietari e dagli appartenenti al consorzio, che traggono da quelle opere un beneficio specificamente indicato e cioè coloro che «utilizzano canali e strutture di bonifica come recapito di scarichi ammessi dalle vigenti normative», a fronte del quale beneficio è prevista l’obbligatoria stipula di una convenzione che disciplini tale utilizzo a fronte del versamento di un corrispettivo univocamente definito quale «canone» ».
4.4 Tale conclusione può essere sostanzialmente ribadita anche per il sistema delineato dalla legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4.
A ben vedere, dal combinato disposto delle citate disposizioni, si evince che l’art. 13 della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, ha introdotto l’imposizione di uno specifico contributo in relazione all’utilizzo (anche da parte di soggetti non consorziati) dei canali consortili per il recapito di scarichi, stabilendo al comma 2 che: « Tutti coloro che utilizzano canali consortili come recapito di scarichi, in regola con le norme vigenti in materia di depurazione e provenienti da insediamenti di qualunque natura, sono obbligati a contribuire alle spese consortili in proporzione al beneficio ottenuto »; e al comma 7 che: « Le somme versate ai sensi del comma 2, sono esclusivamente utilizzate per il contenimento dei contributi consortili addebitabili agli immobili ove insistono gli insediamenti da cui provengono gli scarichi di cui al comma 1 ». In definitiva, anche i consorziati (cioè, i proprietari di immobili ubicati nell’ambito del perimetro di contribuenza) sono soggetti al pagamento del suddetto contributo per il caso di recapito di loro scarichi nei canali consortili ex art. 13 della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, che vanno a cumularsi con gli ordinari contributi di bonifica ex art. 12 della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, non assumendo alcun rilievo
la concomitante corresponsione della tariffa del servizio idrico integrato , che giustifica l’esonero dal contributo di bonifica soltanto quando (il consorziato fornisca la prova che) gli immobili non traggono alcun beneficio dalle opere di bonifica (in tal senso, sia pure implicitamente: Cass., Sez. 5^, 10 gennaio 2013, n. 429).
4.5 A fronte di tale principio, la sentenza impugnata (che pure ha menzionato tale censura nell’enunciazione degli antefatti processuali) ha correttamente ritenuto che tale questione fosse implicitamente assorbita nella riaffermazione dell’onere probatorio a carico del contribuente per l’esonero dal contributo di bonifica sulla base della dimostrata inesistenza del c.d. ‘ beneficio consortile’ .
Con il quarto motivo, si denunciano, al contempo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 860 e 864 cod. civ., 10 del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione d egli artt. 2697 e 2719 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che fosse « dovuto il contributo consortile di cui è causa a prescindere dalla effettiva utilità per immobile basandosi unicamente sul piano di classifica prodotto da Consorzio ».
Il predetto motivo è infondato.
5.1 La disciplina vigente ratione temporis in materia di consorzi di bonifica è dettata dalla legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, per quanto questa Corte abbia affermato -a conferma della sentenza impugnata sul punto -l’ultrattività del piano di classifica adottato, con il relativo perimetro di contribuenza, ai sensi dell’art. 22 dell’abrogata legge reg. Campania 11 aprile 1985, n. 23, non delineandosene una
caducazione sopravvenuta per contrasto con gli artt. 6 e 12 della legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4, giacché « nessuna disposizione normativa ha stabilito la perdita di efficacia del piano di classifica adottato dai vari consorzi nella vigenza della legge abrogata ovvero, comunque, individuato elementi da cui possa desumersi il travolgimento del piano di classifica già validamente adottato in conformità della precedente disciplina » (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. 5^, 5 luglio 2023, n. 19074).
Tale fonte ha individuato nella « bonifica integrale » -comprendente, per la rilevanza regionale, « a) la sistemazione e l’adeguamento della rete scolante, la captazione, raccolta, provvista, adduzione e distribuzione d’acqua a usi prevalentemente irrigui, nonché la sistemazione, regimazione e regolazione dei corsi d’acqua di bonifica ed irrigui ed i relativi manufatti; b) il sollevamento e la derivazione delle acque e connesse installazioni; c) la sistemazione idraulico agraria e la bonifica idraulica; d) gli interventi di completamento, adeguamento funzionale e ammodernamento degli impianti e delle reti irrigue e di scolo e quelle per l’estendimento dell’irrigazione con opere di captazione, raccolta, adduzione e distribuzione delle acque irrigue; e) gli interventi per la realizzazione degli usi plurimi delle acque irrigue (…); f) gli interventi realizzati in esecuzione dei piani e dei programmi adottati dalle Autorità di Bacino » -un’« attività pubblica permanente di conservazione, valorizzazione e tutela del territorio, di razionale utilizzazione delle risorse idriche per uso agricolo e di salvaguardia dell’ambiente rurale » (art. 1, comma 1), preve dendo per l’attuazione di tali finalità l’istituzione ed il funzionamento dei « consorzi di bonifica » (artt. 3 e 18), i quali « provvedono, nei rispettivi comprensori, a realizzare e gestire
gli impianti a prevalente uso irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti, compresi in sistemi promiscui, funzionali ai sistemi civili e irrigui di bonifica » (art.3, comma 3).
Ciascuno di tali consorzi è costituito tra i proprietari degli immobili situati nell’ambito del perimetro di contribuenza, che ricevono beneficio dall’attività di bonifica (art. 12, comma 1).
Nell’ambito del singolo comprensorio, il consorzio di bonifica delimita (ed approva) il « piano di classifica per il riparto della contribuenza consortile che, in base a parametri ed elementi obiettivi di individuazione e quantificazione dei benefici tratti dagli immobili, stabilisce gli indici di attribuzione dei contributi alle singole proprietà, i cui dati identificativi sono custoditi ed aggiornati nell’apposito catasto consortile » (art. 12, comma 2).
Per cui, la partecipazione al consorzio di bonifica è obbligatoria e la qualifica di consorziato del singolo proprietario è acquisita con l’iscrizione delle proprietà immobiliari nel perimetro di contribuenza.
Su tali premesse, il « contributo consortile » costituisce la prestazione pecuniaria dovuta anno per anno da ciascun consorziato per lo svolgimento dell’attività del consorzio in relazione al beneficio ritratto e per il funzionamento del consorzio medesimo. Esso costituisce onere reale sugli immobili ed è esigibile mediante ruoli compilati in base al piano di ripartizione (art. 12, comma 4).
Peraltro, la citata legge regionale (art. 38) ha sancito che, « (p)er quanto non espressamente disciplinato dalla presente legge si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, e successive modificazioni ».
5.2 Per orientamento costante di questa Corte, in tema di contributi di bonifica ex art. 10 del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, il contribuente, anche qualora non abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo gli atti generali presupposti (cioè, il perimetro di contribuenza, il piano di contribuzione ed il bilancio annuale di previsione del consorzio), riguardanti l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi, può contestare, nel giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento dinanzi al giudice tributario, la legittimità della pretesa impositiva dell’ente, assumendo che gli immobili di sua proprietà non traggono alcun beneficio diretto e specifico dall’opera del consorzio. In tal caso, però, quando vi sia un piano di classifica, approvato dalla competente autorità, l’ente impositore è esonerato dalla prova del predetto beneficio, che si presume in ragione della comprensione dei fondi nel perimetro d’intervento consortile e dell’avvenuta approvazione del piano di classifica, salva la prova contraria da parte del contribuente (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 ottobre 2014, n. 21176; Cass., Sez. 6^-5, 29 novembre 2016, n. 24356; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2018, n. 9511; Cass., Sez. 5^, 18 settembre 2019, nn. 23246, 23247, 23248 e 23251; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2020, n. 6839; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8079; Cass., Sez. 6^-5, 1 aprile 2021, nn. 9097 e 9098; Cass., Sez. 5^, 16 luglio 2021, n. 20359; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11431; Cass., Sez. Trib., 28 dicembre 2023, nn. 36246 e 36273).
Dunque, tale inversione dell’onere probatorio realizza una presunzione iuris tantum e non iuris ed de iure (che può derivare solo dalla legge), per cui non viene meno il diritto del contribuente di fornire nel giudizio tributario la prova contraria, anche se non abbia impugnato il piano in sede amministrativa,
stante la possibilità per il giudice tributario, avvalendosi dei poteri ufficiosi previsti dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di disapplicare un regolamento od un atto amministrativo generale ove ritenuto illegittimo in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.
Ne deriva che il contribuente è ammesso a provare in giudizio l’insussistenza del beneficio, sia sotto il profilo della sua inesistenza, con conseguente illegittimità del piano, in ordine a tale punto specifico, e correlativa disapplicazione dello stesso, sia in ordine ai criteri con cui il consorzio di bonifica abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei confronti dell’onerato (Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2010, n. 17066; Cass., Sez. 5^, 23 marzo 2012, n. 4671; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2012, n. 9099). Inoltre, l’obbligo contributivo sussiste in ragione del beneficio fondiario, che, in mancanza di specifiche contestazioni, si presume in ragione dell’avvenuta approvazione del piano di classifica e della comprensione dell’immobile nel perimetro di intervento consortile, poiché non rileva il luogo di esecuzione delle opere, ma il beneficio che ne deriva e, dunque, va escluso che il contributo implichi l’esecuzione di opere consortili direttamente sui fondi assoggettati (Cass., Sez. 5^, 12 novembre 2014, n. 24070).
5.3 Nella specie, con espresso richiamo alla conforme giurisprudenza di legittimità, sulla premessa che « la documentazione versata in atti dal Consorzio appellante è esaustiva e ben suffragata la pretesa azionata con l’avviso di pagamento in oggetto », la sentenza impugnata ha correttamente valutato che « l’inclusione degli immobili nel perimetro di contribuenza esonera dall’onere della prova del
beneficio ricavato », ribadendo che « (è) comunque ammessa la prova contraria, ma questa, evidentemente, deve consistere nella dimostrazione (…) che il Consorzio non provveda neppure al normale esercizio e alla normale manutenzione delle opere idrauliche esistenti », precisando che « il beneficio può risolversi anche in mere azioni di manutenzione, esercizio e sorveglianza al fine di incrementare o anche solo di conservare il valore degli immobili » ed ammettendo che « un’opera che riguarda un determinato fondo produce effetti positivi anche su altri fondi e sull’intera area consortile ».
5.4 Su tali premesse, quindi, la censura non può che essere disattesa, risolvendosi, per un verso, nell’affermazione di un’inversa distribuzione dell’onere probatorio, che graverebbe sull’ente impositore a fronte della contestazione del contribuente in ordine al piano di classifica e al piano di ripartizione, e, per altro verso, nella pretesa ad un’inammissibile revisione del merito sulla base di una rivalutazione delle risultanze probatorie.
6 . In conclusione, valutandosi l’infondatezza o l’inammissibilità dei motivi dedotti, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
A i sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente,
liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 400,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 17 dicembre