Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21704 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19016/2018 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
CONSORZIO DI RAGIONE_SOCIALE TRONTO TORDINO RAGIONE_SOCIALE VOMANO
-intimato- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. ABRUZZO n. 80/2018 depositata il 30/01/2018
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza della CTR Abruzzo n. 80/6/2018 la quale, nel riformare la sentenza di primo grado la quale aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione avanzata dal predetto avverso l’ ingiunzione di pagamento notificata dalla RAGIONE_SOCIALE relativa a contributi consortili per la annualità 2011 vantati dal Consorzio di RAGIONE_SOCIALE Bacino del Tronto, Tordino e Vomano in difetto della preventiva impugnazione del preventivo avviso di pagamento, confermava l’ingiunzione impugnata condannando il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di appello.
Il suindicato Consorzio nonché la RAGIONE_SOCIALE sono rimasti intimati.
La causa è stata fissata per l’odierna udienza camerale previa rituale notifica dell’avviso di trattazione agli eredi del contribuente (nelle more deceduto) e state la irreperibilità del legale Avv. NOME COGNOME priva di indirizzo PEC risultante dal Reginde.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 1 e 2 R.D. 369/1910, 69 e 130 d.P.R. 43/1988, 52, comma 6, d.lgs. 446/1997, 13 disp. prel. cod. civ., 132, secondo, comma n. 4. c.p.c. assumendo che sulla scorta della suddetta normativa e dopo l’abrogazione dell’art. 130 d.P.R. 43/1988 il Consorzio non era più legittimato a fare ricorso all’ingiunzione fiscale e ciò neppure avvalendosi della RAGIONE_SOCIALE per cui l’atto in questione era d a ritenere illegittimo in quanto emesso in violazione di legge.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’articolo 115 c.p.c. rilevando che erroneamente i giudici di appello aveva ritenuto comprovata la pretesa sebbene la perizia del Consorzio fosse stata sempre contestata e, comunque, la stessa non poteva avere alcuna rilevanza
ai fini che occupano trattandosi, per giurisprudenza pacifica, di una mera allegazione difensiva ed era stata immotivatamente disattesa la richiesta di c.t.u.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4. c.p.c., dell’art. 860 c.c. nonchè dell’art. 12 l.r. Abruzzo n. 36/1996 ritenendo che la sentenza impugnata, illegittimamente, da un lato aveva ritenuto che il contributo fosse dovuto in presenza di un vantaggio effettivo e fondiario per effetto delle opere di bonifica e per altro verso aveva affermato che era sufficiente la pubblicazione del piano di classifica, del perimetro di contribuenza e del piano riparto sul bollettino ufficiale della regione senza incontrare opposizione alcuna.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 324 e 2909 c.c. e 132, secondo comma, n. 4. c.p.c. per avere i giudici di appello omesso di valutare il giudicato formatosi con la sentenza 248/1999 vertente tra le medesime nelle parti in forza della quale era stata dichiarata l’insussistenza del presupposto dell’imposta ovvero l’assenza dei benefici per il fondo del contribuente.
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per avere i giudici di appello illegittimamente condannato il contribuente al pagamento delle spese del grado di giudizio sebbene fosse stata riformata, in accoglimento dell’appello, la statuizione di inammissibilità del ricorso.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
Il primo motivo è infondato atteso che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, contrariamente a quanto paventato da parte ricorrente, l’ingiunzione fiscale ai sensi della citata normativa non è stata abrogata.
L’ingiunzione c.d. fiscale, prevista dall’art. 2 del citato r.d. n. 639 del 1910, a seguito della modifica operata dall’art. 130, comma 2, del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (con l’abrogazione delle disposizioni regolanti la riscossione coattiva dei tributi), costituisce un atto amministrativo a carattere impositivo, espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, con efficacia accertativa della pretesa erariale e funzione partecipativa (ovvero di atto di invito al pagamento diretto a rendere edotto della pretesa il debitore e a consentirgli la tutela dei propri interessi anche in sede giurisdizionale).
Come rilevato da questa Corte, l’ingiunzione di pagamento costituisce strumento di riscossione dei tributi locali alternativo alla riscossione a mezzo del ruolo (v. Cass., 24 giugno 2021, n. 18104; Cass., 12 febbraio 2021, n. 3592) e la sua disciplina, posta dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639, non contempla più il visto del Pretore, adempimento, questo, che è stato soppresso dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 229.
Il sistema normativo introdotto dal d.P.R. 43/88 non ha dunque inteso dettare norme in tema di accertamento ed esecuzione ma ha solo disciplinato la riscossione coattiva affidandola al ruolo ed al sistema coattivo ad esso connaturato per cui non può essere condiviso l’orientamento di quelle pronunzie (Cass.6242/98 e 19542/98) che hanno assegnata all’art.130 del d.P.R. 43/88 una valenza abrogativa integrale.
Va, dunque, di conseguenza confermato e ribadito l’orientamento di questa Corte (vedi Cass. 5906/00 nonché Cass. 12761/02) secondo cui l’ingiunzione, in tale residuale funzione di accertamento, è rimasta in vigore.
8. Il secondo motivo è infondato.
È opportuno rimarcare che questa Corte (vedi, ex multis, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito che: a) non integra violazione, né falsa
applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
Nella specie, parte contribuente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale (tale essendo l’art. 115 cod. proc. civ. richiamato nella rubrica del motivo in esame) dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come chiarito, ancora da Cass. n. 35782 del 2023 (cfr. in motivazione, dove si richiamano, in senso analogo, Cass. nn. 16303, 11299 e 28385 del 2023) – un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge. Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito
dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). In definitiva, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Né potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 5490, 9352, 15237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 28390, 30878 e 35947 del 2023).
Muovendo da tali premesse appare evidente che la parte ricorrente cerca di introdurre, in modo inammissibile, una rivalutazione nel merito della vicenda in esame come valutata dai giudici di appello sulla scorta delle complessive emergenze istruttorie, fermo restando che non sussisteva alcun onere da parte della CTR di disporre una consulenza tecnica d’ufficio (vedi Cass. Sez. 3, 30/06/2014, n. 14774).
Il terzo motivo non coglie nel segno.
Non risulta ravvisabile alcuna violazione di legge né alcun profilo di nullità della sentenza impugnata la quale ha fatto corretta applicazione di principi affermati da questa Corte per cui in tema di contributi di bonifica l’inclusione dell’immobile nel perimetro di contribuenza e la sua valutazione nell’ambito di un piano di classifica
comporta l’onere del contribuente, che voglia disconoscere il debito, di contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando sul consorzio, in difetto di specifica contestazione, in quanto dall’avvenuta approvazione del piano di classifica e della comprensione dell’immobile nel perimetro consortile deriva la presunzione del vantaggio fondiario, sia che si tratti di opere di bonifica propriamente detta sia che si tratti di opere di difesa idraulica (Cass. n. 23220 del 31/10/2014).
10. Il quarto motivo è infondato dovendosi richiamare i principi generali fissati da questa Corte sul giudicato in ambito tributario.
Invero qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche
preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta. (Cass. Sez. U., 16/06/2006, n. 13916, Rv. 589696 – 01).
In base all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, dunque, il processo tributario, ancorché generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto lato sensu impositivo (cfr. il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d) e art. 19, comma 1), ha per oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio quale risulta, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’amministrazione con l’atto medesimo e, dall’altro, dai motivi della sua impugnazione. In ragione di siffatta complessità oggettiva, associata all’autonomia dei singoli periodi d’imposta (che, ex art. 7 del T.U.I.R., è espressione di un principio generale in materia, valevole per tutti i tributi, anche non destinati allo Stato), deve negarsi la possibile esistenza di un’unica obbligazione tributaria corrispondente a più periodi. Per cui l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al
medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso. L’esempio tipico è quello delle cd. qualificazioni giuridiche (del tipo di “ente commerciale” o di “soggetto residente”), in quanto assunte dal legislatore alla stregua di elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina, ovvero quello delle condizioni di una esenzione o di una agevolazione pluriennale (v. appunto Sez. un. citata).
Come ribadito da questa Corte: “Nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo.” (Vedi Cass. n. 25516 del 2019), e quindi “in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata” (Vedi Cass. n. 31084 del 2019).
In definitiva, posto che ogni tributo periodico è costituito da elementi stabili ed elementi variabili, solo con riferimento agli elementi stabili il giudicato può esprimere portata vincolante esterna (Cfr. Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 18923 del 2011).
Nella fattispecie in esame riguardando la controversia i contributi dovuti in relazione ai benefici goduti per ogni singola annualità, i precedenti di segno favorevole al contribuente per altri periodi di imposta nessuna refluenza possono avere sull’odiern o giudizio.
Anche il quinto motivo è privo di fondamento alcuno non essendo ravvisabile da dedotta violazione dell’art. 91 c.p.c. posto che le spese sono state poste a carico della parte soccombente.
Nulla va disposto in ordine alle spese giudiziali dell’odierno giudizio essendo le parti resistenti rimaste intimate.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione