Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25921 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25921 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4554/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale apposta su foglio separato ed allegato al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO dell’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della CTR della Campania, sezione distaccata di Salerno, n. 3412/2020, depositata in data 2 luglio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/9 /2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
La RAGIONE_SOCIALE Campania, con decreto dirigenziale n. 74/730 del 25/2/2015, chiedeva alla società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, il pagamento del contributo sul materiale estratto nella cava, per il periodo 2012-2013, quantificato in euro 15.935,90, ex art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005 e, per l’anno 2008, in euro 132.267,97, ex art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008.
Avverso tale richiesta di pagamento la società proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Napoli che lo accoglieva, in assenza di adeguata motivazione del decreto dirigenziale.
La Commissione tributaria regionale (RAGIONE_SOCIALE dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.
3.2. La Corte di cassazione, con ordinanza n. 23586 del 12/6/2019, accoglieva il ricorso della società, in quanto, in assenza di impugnazione della sentenza di prime cure sul punto, si era ormai formato il giudicato interno sulla giurisdizione del giudice tributario.
In sede di rinvio la CTR accoglieva il motivo di appello della RAGIONE_SOCIALE, reputando che la CTP era incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Muoveva dalla considerazione che nel ricorso di prime cure erano stati denunciati «genericamente, con formula di stile», il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento regionale.
Tuttavia, nel ricorso non si faceva alcun riferimento alla «correlazione del vizio alla mancata specificazione dello scopo per il quale i contributi venivano richiesti».
Peraltro – aggiungeva la CTR – doveva essere riconosciuta la natura solo indennitaria dei contributi regionali, «che si innestano in un rapporto convenzionale», con la conseguente esclusione della «necessità che il provvedimento contenga una specifica motivazione sulla sussistenza attuale dello scopo per il quale sono stati per legge istituiti».
Restavano assorbiti i restanti motivi di appello della RAGIONE_SOCIALE, in ragione della natura non tributaria dei contributi.
Dovevano considerarsi abbandonati, invece, i restanti motivi di ricorso in primo grado articolati dalla società con l’atto introduttivo, ma non riproposti in sede di controdeduzioni in appello.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società.
Ha resistito con controricorso la regione Campania.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione articoli 112 e 113 c.p.c., rilevante ex articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Si sostiene che il giudice d’appello avrebbe erroneamente rilevato l’ultrapetizione per avere la CTP qualificato come «tributi di scopo» le pretese regionali, conseguentemente annullando il decreto impugnato perché carente di motivazione in ordine alla sussistenza
ed all’attualità del presupposto fattuale impositivo, e di istruttoria per la mancata esternazione dei concreti presupposti.
La società rileva che, già nel ricorso introduttivo di primo grado, aveva palesato il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento regionale, in quanto il decreto dirigenziale recava la determinazione delle pretese regionali «non collegate in alcun modo all’attività estrattiva e relative al completamento ed avvio dell’aeroporto di Pontecagnano (peraltro già avvenuto) e dal RAGIONE_SOCIALE», in assenza della «relazione istruttoria sulla quale si fonda l’imposizione».
Tuttavia, il vizio di ultrapetizione – ad avviso della società ricorrente – si rinviene solo ove il giudice attribuisca d’ufficio un bene che non è richiesto o diverso da quello domandato, ben potendo peraltro il giudice procedere ad una qualificazione giuridica dei fatti diversa da quella prospettata dalle parti.
Nella specie, quindi, la contribuente aveva lamentato il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento impositivo, richiedendo la normativa regionale «la destinazione delle somme alla realizzazione degli obiettivi di legge». Il giudice di prime cure aveva qualificato le pretese regionali quali «tributi di scopo», riscontrando l’assenza di specifica motivazione. Peraltro, l’assenza di tali indefettibili presupposti rende viziato il provvedimento, sotto il profilo della carenza istruttoria e motivazionale, «anche in costanza della sua qualificazione come «non tributaria».
Il giudice d’appello, dunque, avrebbe dovuto valutare la fondatezza del ricorso con riguardo al dedotto difetto di motivazione e di istruttoria dell’atto impositivo del prelievo «anche in costanza della sua qualificazione come imposizione di natura indennitaria».
Il motivo è inammissibile.
2.1. Infatti, la ricorrente non ha riprodotto, nei passaggi essenziali, né il ricorso di prime cure articolato dalla società, né la motivazione della sentenza della CTP, né l’atto d’appello della RAGIONE_SOCIALE Campania (che invece si trova trascritto nel controricorso), in tal modo non consentendo a questa Corte di comprendere appieno le ragioni della censura ed incorrendo nel difetto di autosufficienza del motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e/o falsa applicazione articoli 17 L.R. 15/2005 e 19 L.R. 1/2008, rilevante ex articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La CTR, una volta negata la natura tributaria della pretesa, ha affermato che la riconosciuta natura indennitaria dei contributi regionali, che si innestano in un rapporto convenzionale, esclude di per sé la necessità che il provvedimento contenga una specifica motivazione sulla sussistenza attuale dello scopo per il quale sono stati per legge istituiti.
Tale assunto sarebbe errato.
In primo luogo, tale statuizione non terrebbe conto del fatto che i contributi regionali di cui all’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005 ed all’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, diversamente da quelli previsti dall’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985 (estranea al presente giudizio), non trovano la loro disciplina in una convenzione sottoscritta tra il Comune e l’esercente l’attività estrattiva, ma sono imposti dalla RAGIONE_SOCIALE Campania, ente cui vanno direttamente corrisposti senza la stipula di alcun contratto.
In secondo luogo, la affermata funzione indennitaria non giustificherebbe comunque il fatto che non vi debba essere adeguata e specifica motivazione rispetto al pagamento delle suddette somme da parte dei cavatori.
Poiché la funzione indennitaria è collegata al pregiudizio subito dall’ambiente per l’attività estrattiva, non si comprenderebbe in che modo tale funzione indennitaria venga assolta, in assenza di adeguate specifica motivazione. Tali contributi, infatti, sono destinati al completamento ed all’avvio di una infrastruttura aeroportuale, in assenza di qualsiasi collegamento del prelievo con l’attività di cava.
La funzione indennitaria, peraltro, è già attuata mediante l’articolo 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, con cui la RAGIONE_SOCIALE impone agli esercenti le attività estrattiva il pagamento di un contributo ai comuni ove hanno sede di impianti.
2.1. Il motivo è fondato nei termini di cui in motivazione, dovendosi tenere conto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2024.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «questione di legittimità costituzionale degli artt. 17 L.R.C. 15/2005 e art. 19 L.R.C.1/2008», in relazione agli articoli 3,23,53,117 e 119 Cost.».
3.1. «Questione di legittimità: contrasto dell’articolo 19 L.R.C. 1/2008 con l’articolo 117 Cost., comma 2, lettera s), Cost.».
Vi sarebbe stata lesione della competenza legislativa statale esclusiva in materia ambientale, mentre è riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio RAGIONE_SOCIALE (si citano Corte cost., sentenza n. 58 del 2015; 85/2017).
3.2.«Questione di costituzionalità: contrasto degli articoli 17 L.R.C. 15/05 e 19 L.R.C. 1/08 con gli articoli 41 e 117, comma 2, lettera e), Cost.».
Si configurerebbe una violazione del principio di libera concorrenza ed una ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa economica, potendo le società che gestiscono cave estrattive in
regioni limitrofe alla Campania, praticare prezzi maggiormente competitivi.
3.3. «Questione di costituzionalità: contrasto dell’articolo 17 L.R.C. 15/2005 con l’art. 3 Cost. -Violazione principio di ragionevolezza».
I tre prelievi imposti agli esercenti le attività estrattiva sono stati voluti dal legislatore regionale al fine di ristorare la collettività dal pregiudizio subito, nel contesto ambientale e paesaggistico in cui si svolgono le attività di cava.
Tuttavia, risulterebbe scarsamente comprensibile il collegamento dei prelievi regionali con l’attività estrattiva, in quanto una parte dei contributi è destinata alla costruzione ed all’avvio dell’aeroporto di Pontecagnano.
3.4. «Questione di costituzionalità: contrasto degli articoli 17 L.R.C. 15/2005 e 19 L.R. 1/2008 con l’art. 3 Cost.».
Sarebbe assente un rapporto di congruità del mezzo al fine mentre il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del test di proporzionalità, che richiede di valutare se le norme oggetto di scrutinio siano necessarie ed idonee al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, stabilendo oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di tali obiettivi.
3.5. «Questione di costituzionalità: contrasto degli articoli 17 L.R. 15/2005 e 19 L.R. 1/2008 con l’art. 117, comma 1, Cost.».
La normativa regionale sarebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, tra cui si collocano quelli di proporzionalità, di libertà di stabilimento e della concorrenza.
La ricorrente muove – in sede di ricorso per cassazione (a differenza di quanto avvenuto nei primi due gradi di giudizio di merito) – dalla premessa interpretativa che la regione Campania, nel richiedere il pagamento dei contributi ai sensi dell’art. 17 della legge
regionale Campania n. 15 del 2005 e dell’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, abbia fatto applicazione, non di tributi, e segnatamente di «tributi di scopo», ma di indennizzi per la collettività nel cui territorio sono insediate attività estrattive (cfr. pag. 14 del ricorso per cassazione «E’ interesse dell’odierna ricorrente riproporre la questione di costituzionalità non esaminate alla Ctr, meglio articolandola alla luce della recente giurisprudenza che afferma la natura indennitaria dei contributi qui controversi, che ad avviso di chi scrive, rende ancora più evidente l’illegittimità costituzionale delle norme che impongono i contributi di cui si discorre»).
Il motivo è infondato.
4.1. Si premette che, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma non potendo essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte. E’ infatti riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (Cass., 9/7/2020, n. 14666).
Per rispondere ai motivi di ricorso per cassazione sopraindicati, è necessario ripercorrere, sia pure brevemente, l’iter legislativo che ha caratterizzato la disciplina in materia di contributi imposti alle società che effettuano attività di estrazione dalle cave nella regione Campania.
6. La disciplina generale sulle cave è rappresentata dall’art. 45 del regio decreto 29/7/1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere), per il quale «e cave e le torbiere sono lasciate in disponibilità del proprietario del suolo. Quando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l’ingegnere capo del RAGIONE_SOCIALE può prefiggere un termine per l’inizio, la ripresa o la intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso, l’ingegnere capo del distretto RAGIONE_SOCIALE può dare la concessione della cava e della torbiera in conformità delle norme contenute nel titolo II del presente decreto, in quanto applicabili ».
L’art. 14 del regio decreto 29/7/1927, n. 1443 (concessioni minerarie), inserito all’interno del Titolo II, e quindi applicabile anche alle cave, prevede che «le miniere possono essere coltivate soltanto da chi ne abbia avuto la concessione».
Con la precisazione, all’art. 15, del regio decreto 29/7/1927, n. 1443, per cui «la concessione di una miniera può essere fatta a chi abbia, a giudizio insindacabile del RAGIONE_SOCIALE la idoneità tecnica ed economica a condurre l’impresa».
La disciplina generale della RAGIONE_SOCIALE Campania, in ordine alla gestione delle cave, si rinviene nella legge regionale 13/12/1985, n. 54 (coltivazione di cave e torbiere), con richiami specifici alla salvaguardia dell’ambiente, oltre che alla complessa istruttoria amministrativa per il rilascio della concessione o dell’autorizzazione alla coltivazione delle cave.
7.1. L’art. 1 della legge regionale n. 54 del 1985 stabilisce, infatti, che « norma degli articoli 117 e 118 della Costituzione della Repubblica e in attuazione dell’art. 62 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
616, la regione Campania disciplina con la presente legge la ricerca e l’attività di cava nel proprio territorio al fine di conseguire un corretto uso delle risorse, nel quadro di una rigorosa salvaguardia dell’ambiente e nelle sue componenti fisiche, pedologiche, paesaggistiche, monumentali, e della massima conservazione della superficie agraria utilizzabile ai fini produttivi».
7.2. Di particolare rilievo è il Piano regionale delle attività estrattive (d’ora in poi PRAE), di cui all’art. 2, della legge regionale Campania n. 54 del 1985, nella versione vigente dopo la sostituzione da parte dell’art. 1 della legge regionale Campania n. 17 del 13/4/1995.
Si prevede, infatti, nell’art. 2 che «l Consiglio RAGIONE_SOCIALE, su proposta della Giunta RAGIONE_SOCIALE, previo parere delle Commissioni Consiliari competenti, sentiti i Comuni, le Comunità montane e di comprensori interessati e le Province, approva il piano del settore estrattivo, nel quadro delle esigenze generali di difesa dell’ambiente, del diritto alla salute dei cittadini, con le politiche comunitarie in materia, per attuare una politica organica di approvvigionamento e di razionale utilizzazione delle risorse delle materie di cava».
La finalità della tutela ambientale emerge anche dal comma 3 dell’art. 2 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, prima delle modifiche di cui alla legge regionale Campania n. 22 del 28/7/2017, ove si dispone che «l Piano regionale del settore estrattivo deve contenere la quantificazione dei materiali estraibili, in base sia al fabbisogno regionale, sia alle esigenze della produzione, che vanno individuate entro i limiti compatibili con il principio della tutela ambientale propri della presente legge».
All’art. 2, comma 5, della regionale Campania n. 54 del 1985, si individua anche il contenuto del PRAE, e alla lettera b) si chiarisce che per mezzo del piano «i indicano i criteri e le metodologie per
la coltivazione e la ricomposizione ambientale delle cave nuove e per il recupero di quelle abbandonate e non sistemate».
7.3. Dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 1915 del 2023, emerge che in regione Campania, il PRAE (con le relative Norme Tecniche di Attuazione) è stato approvato dopo la nomina di un commissario ad acta, in forza dell’ordinanza depositata dal Tar della Campania l’8/5/2005, n. 719, ed adottato il 7/6/2006, n. 11, con decorrenza dal 15/8/2006.
Sono state anche individuate le «aree suscettibili di attività estrattiva» ex art. 24, commi 1, 2 e 3, delle Norme Tecniche di Attuazione e le «Aree di crisi» ex art. 27 NTA, ossia «porzioni del territorio, oggetto di intensa attività estrattiva, connotate da un’elevata fragilità ambientale e caratterizzate da una particolare concentrazione di cave autorizzate e/o abbandonate, ove la prosecuzione dell’attività estrattiva è consentita, per un periodo funzionale all’attuazione degli interventi autorizzati». Si è anche previsto nell’art. 27 NTA che «la prosecuzione della coltivazione delle aree di crisi è autorizzata sulla base di un nuovo progetto di coltivazione».
All’interno della legge regionale sopra indicata, poi, si opera la distinzione tra autorizzazione e concessione, nel senso, ai sensi dell’art. 4, comma 2, che «la coltivazione dei giacimenti in disponibilità dei privati o di enti pubblici è subordinata ad autorizzazione. La coltivazione di quelli appartenenti al patrimonio indisponibile della regione o di enti pubblici è subordinata alla concessione», con il corollario che (vedi comma 3) «l’autorizzazione e la concessione costituiscono gli unici titoli per la coltivazione del giacimento attengono luogo di ogni altro atto, nullaosta o autorizzazione di competenza regionale per l’attività di cava e previsti da specifiche normative».
Viene, peraltro, prevista una «cauzione» oppure «la prestazione di idonee garanzie a carico del richiedente» con riferimento «agli interventi atti a garantire il recupero o la ricomposizione del paesaggio naturale alterato».
Nella procedura per l’autorizzazione di cui all’art. 8 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, si indica, tra gli allegati della domanda, anche il «progetto di recupero» (lettera f), contenente, tra l’altro, «un piano finanziario necessario al recupero ambientale».
L’art. 9 della legge regionale n. 54 del 1985, quindi, delinea la «ricomposizione ambientale», intesa come «insieme delle azioni da realizzare di norma contestualmente alla coltivazione della cava aventi lo scopo di realizzare sull’area ove si svolge l’attività di cava, come delimitata ai sensi del comma 3 dell’art. 5 della presente legge, un assetto dei luoghi ordinato e tendente alla salvaguardia dell’ambiente naturale ed alla conservazione della possibilità di riuso del suolo».
Con riguardo alle concessioni, l’art. 15 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, stabilisce che «uando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o non dia ad essa sufficiente sviluppo, la richiesta di coltivazione del giacimento può essere presentata da un terzo alla Giunta regionale».
L’art. 17 della legge regionale richiamata si occupa poi del caso in cui il titolare dell’autorizzazione o della concessione non esegua «le opere per il recupero ambientale della zona nei modi previsti nel provvedimento di autorizzazione o concessione» e, in tal caso, l’amministrazione, previa diffida, ne ordina l’esecuzione per la dichiarazione di decadenza.
Si giunge, finalmente, alla norma oggetto di scrutinio, ossia l’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, a mente del quale «ra il richiedente l’autorizzazione o la concessione e il Comune o i
Comuni interessati, viene stipulata una convenzione, secondo lo schema tipo approvato dalla Giunta RAGIONE_SOCIALE, nel quale sarà previsto che il titolare dell’autorizzazione o della concessione è tenuto a versare, in unica soluzione entro il 31 dicembre di ogni anno, al Comune o ai Comuni interessati, un contributo sulla spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori, rispetto alla mera ricomposizione dell’area».
Al comma 2 dell’art. 18 si sancisce che «l suddetto contributo verrà determinato dal Presidente della Giunta RAGIONE_SOCIALE o suo delegato in relazione al tipo, qualità o quantità del materiale estratto nell’anno ed in conformità alle tariffe stabilite dalla Giunta RAGIONE_SOCIALE».
Il comma 3 dell’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985 chiarisce, quindi, che «e somme introitate dai Comuni, ai sensi del precedente comma 2, debbono essere prioritariamente utilizzate dai Comuni medesimi per la realizzazione di interventi e di opere connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava».
Peraltro, il mancato pagamento comporta, comunque, la revoca della concessione o dell’autorizzazione (comma 4 dell’art. 18).
In caso di mancato pagamento entro il termine previsto dal comma 1, poi, «il Comune o i comuni interessati chiedono alla Giunta RAGIONE_SOCIALE il versamento della somma dovuta, da prelevarsi dal deposito cauzionale di cui all’art. 6 della presente legge e da reintegrare entro e non oltre 15 giorni, pena la sospensione dell’attività estrattiva».
Pertanto, quanto alla funzione del contributo di cui all’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, che non ha natura di tributo, come specificato sia da questa Corte (Cass., Sez. U., n. 1182 del 2020) che dalla Corte costituzionale (n. 52 del 2018; n. 89 del
2018, quanto alla legge regionale siciliana n. 9 del 2015 ; n. 57 del 2024), deve reputarsi che lo stesso non sia destinato all’attività di mera «ricomposizione ambientale», ma alle opere «connesse» alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava.
Al contrario, il deposito cauzionale di cui all’art. 6 della suddetta legge regionale è destinato al «recupero o ricomposizione del paesaggio naturale alterato».
Tanto è vero che ai sensi dell’art. 23 della legge regionale Campania sopra indicata (Adempimenti connessi con l’ultimazione dei lavori di coltivazione), «ltimati i lavori di coltivazione, il titolare dell’autorizzazione o della concessione deve chiedere al Presidente della Giunta RAGIONE_SOCIALE, o suo delegato, di accertare la rispondenza dei lavori di coltivazione a quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione o concessione con particolare riferimento ai lavori di ricomposizione ambientale».
Va poi osservato che, in ordine alle norme transitorie per le cave in atto, l’art. 36 (Norme transitorie per le cave in atto) della legge regionale Campania n. 54 del 1985 stabilisce che «a coltivazione delle cave in atto alla data dell’8 gennaio 1986, per le quali, a norma dell’art. 28 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, è stata presentata denuncia al Comune e alla RAGIONE_SOCIALE Campania, potrà essere proseguita, purché, entro sei mesi dalla stessa data, l’esercente abbia presentato domanda di proseguimento, con la procedura e la documentazione prevista dall’art. 8 della presente legge ed adempia agli obblighi previsti dagli articoli 6 e 18 della presente legge».
Si precisa che «a denuncia d’esercizio ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, è titolo legittimante ai fini del precedente comma 1 purché la stessa risulti presentata al Comune, o al RAGIONE_SOCIALE Minerario, o alla RAGIONE_SOCIALE, o alla Provincia e sia relativa
a particelle già interessate dallo svolgimento del piano di coltivazione di cava».
Pertanto, le attività estrattive, ove carenti di autorizzazioni o concessioni, ma per le quali è stata presentata la denuncia ex art. 28 del d.P.R. n. 128 del 1959, sono soggette al regime transitorio (art. 28 del d.P.R. n. 128 del 1959 «Almeno 8 giorni prima dell’inizio o ripresa dei lavori, l’imprenditore di cava o un suo procuratore è tenuto a farne denuncia al Comune ove i lavori si svolgono, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento oppure mediante processo verbale. Altro esemplare della denuncia di esercizio e successive variazioni deve essere trasmesso contemporaneamente dall’imprenditore al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE»).
Ciò comporta che anche le cave, per le quali non è stata richiesta la concessione o l’autorizzazione, ma per le quali è stata effettuata la denuncia al Comune di inizio o ripresa dei lavori, rientrano nel regime transitorio di cui all’art. 36 della legge regionale Campania n. 54 del 1985.
8. La regione Campania è poi intervenuta sul tema delle cave con la legge regionale n. 15 dell’11/8/2005 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania – legge finanziaria regionale 2005), il cui art. 16 chiarisce il regime transitorio rispetto alla normativa regionale precedente, prevedendo che «nelle more dell’approvazione del Piano regionale attività estrattive le attività estrattive in regime transitorio e regolarmente autorizzate di cui alla legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54, e successive modificazioni, sono prorogate al 30 giugno 2006. La proroga è applicabile alle attività autorizzate e legittimamente esercitate e la prosecuzione deve avvenire nel rispetto delle leggi e dei progetti approvati, sussistendo le condizioni di fattibilità, attuabilità e legittimità dei progetti stessi».
L’art. 89 delle Norme Tecniche di Attuazione, poi, ha stabilito che «Le autorizzazioni rilasciate ai sensi dell’art. 36 della L.R. 54/1985 s.m.i., comprese quelle già prorogate al 30 giugno 2006 ai sensi dell’art. 16 della L.R. 11 agosto 2005, n. 15, perdono efficacia alla data del 31 marzo 2007».
L’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, oggetto anch’essa di scrutinio, prevede, poi, che «l titolare di autorizzazione e di concessione alla coltivazione di giacimenti per attività di cava di cui alla legge regionale n. 54/85, e successive modificazioni, è tenuto a versare alla RAGIONE_SOCIALE Campania, entro il 31 marzo di ogni anno, un contributo annuo di euro 1,00 per ogni 10 metri cubi di materiale estratto con la decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge».
La locuzione «in un’unica soluzione» è stata introdotta dall’art. 15, comma 1, lettera a), della legge regionale Campania 20 gennaio 2017, n. 3.
Il comma 1bis , dell’art. 17, della legge regionale Campania n. 15 del 2005, è stato inserito dall’art. 15, comma 1, lettera b), della legge regionale Campania 20 gennaio 2017, n. 3, e prevede che « contributi dovuti ai sensi del comma 1 e dell’art. 19 della legge regionale 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania – legge finanziaria 2008) possono essere versati in quattro rate trimestrali di pari importo, di cui la prima deve essere versata entro il 31 marzo dell’anno successivo all’anno di riferimento del volume estratto».
Di particolare rilievo, poi, il comma 2 dell’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, oggetto, peraltro, della sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2024, che lo ha dichiarato parzialmente illegittimo, sancisce che «e somme di cui al comma 1, quantificabili per l’anno 2005 in euro 800.000,00 sono iscritte nel
Bilancio regionale a decorrere dal corrente esercizio finanziario alla unità previsionale di base 9.31.71 della entrata ed alla unità previsionale di base 1.55.97 della spesa per il finanziamento nella misura dell’importo effettivamente riscosso dei lavori di completamento ed avvio dell’attività dell’aeroporto di PontecagnanoSA – nonché per tutte le attività di gestione societaria».
La Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, limitatamente alle parole «nonché per tutte le attività di gestione societaria».
Risulta evidente, che il contributo di cui all’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, sia del tutto distinto dal contributo a carico dei soggetti che svolgono attività estrattiva di cui all’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985.
L’art. 18, sopra richiamato, infatti, attiene al contributo dovuto, soprattutto, per le opere «connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di gara», quindi per finalità ulteriori rispetto a quelle di mera ricomposizione ambientale.
L’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005 ha la finalità di contribuire alla spesa per il finanziamento dei lavori di avvio e di completamento dell’attività dell’aeroporto di Pontecagnano-Sa.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 57 che 2024 ha chiarito che tale tipologia di contributo si rivolge alle comunità che sopportano l’utilizzo e lo sfruttamento dell’attività estrattiva delle cave, quindi come una sorta di ristoro al disagio delle comunità.
Per tale ragione è stata ritenuta legittima la contribuzione in favore dell’avvio e del completamento dell’aeroporto, con esclusione però delle attività di gestione societaria, che devono restare a carico
dell’impresa, come rischio caratteristico della stessa (Corte cost. n. 57 del 2024).
Del resto, con riferimento all’art. 83 della legge regionale siciliana 7 maggio 2015, n. 9, si è ritenuto che il contributo previsto a carico degli estrattori ha una duplice finalità: da un lato quella di contribuire al sostenimento dei costi per lo svolgimento di attività amministrative, in materia di cave; dall’altro quella di indennizzare il territorio all’interno del quale è esercitata l’attività estrattiva.
Il canone contributivo, dunque, non è influenzato dalla titolarità, pubblica o privata, del giacimento, ma si lega «all’insieme di competenze amministrative correlate all’attività estrattiva nonché alle caratteristiche della stessa, tali da incidere sulla salubrità e integrità ambientale del territorio interessato dalla relativa iniziativa imprenditoriale» (Corte cost. n. 89 del 2018).
Si fa riferimento all’attività di programmazione e pianificazione territoriale, come pure all’azione amministrativa inerente alla fase di affidamento del titolo e ai compiti di verifica ispettiva.
Si aggiunge che quanto all’incidenza dell’attività di estrazione sulla salubrità e integrità del territorio di riferimento, la prestazione contributiva non è strumentale alla ricomposizione ambientale dell’area immediatamente coinvolta dall’attività di estrazione, obiettivo autonomamente coperto dal pagamento della somma prevista dall’art. 19 della legge regionale n. 127 del 1980, destinata a finanziare le opere da realizzare a tal fine nel corso della coltivazione o al termine della stessa.
L’esigenza fondante il contributo è quella di «indennizzare la collettività per il disagio comunque correlato allo sfruttamento del suolo, essendo certa l’incidenza negativa dell’attività estrattiva sul paesaggio sull’ambiente inerente alle zone limitrofe a quelle di collocazione della cava» (Corte cost. n. 89 del 2018).
Questa Corte, ha ritenuto, con riferimento al contributo previsto dalla legge regionale toscana 3/11/1998, n. 78, art. 15, a carico di titolari di autorizzazione alla coltivazione di materiali di cava, che lo stesso è configurato come uno strumento diretto ad assicurare l’esecuzione di interventi pubblici ulteriori rispetto al mero recupero dell’area di cava e delle strade di accesso, e funzionale alla salvaguardia dei beni collettivi dell’ambiente e del territorio dall’impatto su di essi, della localizzazione delle cave e dell’esercizio dell’attività estrattiva, in quanto incidenti in modo rilevante e diffuso sia sul paesaggio e sulla viabilità prossima ed a media distanza e sia sulla salubrità dell’atmosfera, con evidenti ricadute anche sulla sopravvivenza o normale sviluppo della flora e la fauna nelle zone limitrofe (Cass., Sez.U., n. 1182 del 21/1/2020).
Si è dunque ritenuto che in relazione a tali precipue finalità il contributo assume una specifica natura indennitaria del pregiudizio subito dalla collettività in conseguenza della gestione delle cave, al quale corrisponde lo specifico onere dei comuni che le rappresentano di ripristinare le condizioni ambientali e territoriali pregiudicate dall’attività di estrazione, e non alla funzione genericamente contributiva il bilancio dei comuni o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi (Cass., Sez.U., n. 1182 del 21/1/2020).
Ancora diverso è il contributo di cui all’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania – legge finanziaria 2008-).
In questo caso le finalità sono 2: la prima attiene a rimpinguare il fondo di ecoRAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 15 della legge regionale Campania n. 1 del 2008; la seconda è collegata ai lavori di recupero ambientale ed alla redazione del progetto unitario di gestione del comparto.
Infatti, l’art. 15 della legge regionale n. 1 del 2008 individua le finalità del fondo per la ecoRAGIONE_SOCIALE, non collegate all’attività estrattiva delle cave («Il RAGIONE_SOCIALE sostiene, anche attraverso forme di incentivazione diretta dei cittadini, le azioni regionali tese a incrementare le attività di recupero e riciclo dei materiali tra cui, prioritariamente: a) le iniziative finalizzate alla prevenzione e alla riduzione della produzione di beni, imballaggi o contenitori ; b) la realizzazione di isole ecologiche, ossia di punti di raccolta differenziata di materiali riutilizzati riciclabili, di rifiuti derivanti dalla sostituzione di beni durevoli ; c) la diffusione di sistemi di cauzione a rendere e di restituzione per gli strumenti di imballaggio ; d) l’organizzazione di iniziative tese a favorire la ricerca nella progettazione di beni di imballaggi a ridotto impatto ambientale»).
l’art. 18 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, come già anticipato, stabilisce, al primo comma, che «i titolari di autorizzazioni e concessioni estrattive sono tenuti annualmente, in aggiunta ai contributi di cui all’art. 18 della legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54, e dell’art. 17 della legge regionale 11 agosto 2005, n. 15, al pagamento alla regione Campania di un contributo ambientale così determinato: a) euro 1,50/mc per le pietre ad uso ornamentale; b) euro 0,90/mc per sabbie e ghiaie; c) euro 0,75/mc per gli RAGIONE_SOCIALE materiali».
Al comma 2 si stabilisce che «l contributo indicato al comma 1 è corrisposto, entro il 31 marzo di ogni anno, sulla scorta dei volumi estratti nel corso dell’anno solare precedente in forza del titolo legittimante la coltivazione e lasciato in conformità del piano regionale delle attività estrattive ».
Il comma 3 dell’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008 prevede che «’importo dei contributi di cui al comma ,
quantificato in euro 1 milione 500 mila, è iscritto nel bilancio regionale a decorrere dal corrente esercizio finanziario alla UPB 11.81.80 della entrata ed è destinato per il 50 per cento ad alimentare il RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE eco RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 15, per il restante 50 per cento al finanziamento delle spese iscritte alla UPB 2.68.156 concernenti i lavori di recupero ambientale, la redazione del progetto unitario di gestione del comparto, lo stesso non è redatto dai titolari di attività estrattiva, e al finanziamento delle attività di controllo dell’organo di vigilanza in materia di cave».
10. La giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 57 del 2024; sentenza n. 52 del 2018; sentenza n. 89 del 2018, in ordine alla legge regionale Siciliana n. 9 del 2015) e di questa Corte (Cass., Sez. U., 1182 del 2020) che si è pronunciata sull’interpretazione delle disposizioni delle leggi regionali della Campania n. 54 del 1985, n. 15 del 2005 e n. 1 del 2008, hanno concordemente ritenuto la natura non tributaria dei contributi indicati in tali disposizioni, con la conseguente irrilevanza dell’asserita violazione degli articoli 23 e 53 della Cost..
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 52 del 2018 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della regione Campania n. 15 del 2005 e dell’art. 19 della legge della regione Campania n.1 del 2008, sollevate in riferimento agli articoli 3,23,41,117 e 119 della Cost., dalla CTP di Napoli.
È stato osservato che, poiché la natura tributaria dei contributi costituiva il presupposto dei sollevati dubbi di legittimità costituzionale, «gravava dunque sul rimettente l’onere di indicare, almeno in sintesi, le ragioni a conforto della sussistenza degli indefettibili requisiti necessari per detta configurazione (e cioè che la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare
una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese (per tutte, sentenze n. 269 e n. 236 del 2017)».
Per la Corte costituzionale, con la sentenza n. 52 del 2018, «l’ordinanza di rimessione non ha svolto invece nessun argomento a conforto di tale premessa».
Successivamente, sul punto è intervenuta la sentenza n. 57 del 15/4/2024 della Corte costituzionale.
Si è chiarito, in modo inequivocabile, che i contributi di cui all’art. 17 della legge regionale della Campania n. 15 del 2005 e all’art. 19 della legge della regione Campania n. 1 del 2008, non costituiscono tributi.
Si è richiamato il precedente della Corte costituzionale n. 89 del 2018, in relazione al contributo per attività estrattiva previsto dalla legislazione della regione siciliana (legge regionale Sicilia n. 9 del 2015), con cui si è affermato che esso è funzionale a coprire «gli oneri finanziari che gli enti interessati devono comunque affrontare per neutralizzare al meglio le conseguenze – nocive ma legittime, perché consentite dalla legge ed assentite dalle amministrazioni interessate – dunque correlate a siffatte iniziative economiche».
Inoltre, tale contributo – della regione siciliana – è rapportato «all’impegno profuso dagli enti interessati nella gestione amministrativa collegata alla relativa attività di impresa e mira ad indennizzare il pregiudizio che la collettività finisce per patire in conseguenza dell’autorizzazione relativa allo sfruttamento della cava».
Pertanto, tale contributo, essendo caratterizzato da tale peculiare connotazione indennitaria, è «privo della funzione genericamente contributiva al bilancio degli enti interessati o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi».
Anche questa Corte, a sezioni unite, con la ordinanza n. 1182 del 21/1/2020, avuto riguardo ai contributi previsti dalle disposizioni censurate, ne ha escluso la natura tributaria, «rimarcandone la specifica natura indennitaria del pregiudizio subito dalla collettività in conseguenza della gestione delle cave».
È stato peraltro escluso che vi fosse violazione del principio di cui all’art. 3 della Cost., con riferimento, sia all’attività estrattiva espletata in altre regioni diverse dalla Campania, sia all’attività imprenditoriale – diversa da quella estrattiva – svolta da imprenditori presenti nella regione Campania.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2024 ha chiarito, sul punto, che «non è, invece, fondata l’ulteriore censura rivolta alla disposizione in esame sotto il profilo della disparità di trattamento tra le imprese operanti nel settore estrattivo e quelle impegnate in altre attività, in ragione della chiara disomogeneità delle situazioni messe a confronto (si cita anche Corte cost., n. 171 del 2022).
11.1. Neppure sussiste violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca delle norme in scrutinio, in quanto si è chiarito che la destinazione dei contributi riscossi alla costruzione ed all’avvio dell’aeroporto di Pontecagnano è del tutto legittima, andando a compensare le comunità in cui sono collocate le attività estrattive del disagio conseguente allo svolgimento di tali attività (Corte cost. n. 57 del 2004).
11.2. Viene meno, allora, anche il fondamento della dedotta illegittimità costituzionale degli articoli citati in relazione al principio
di libertà di iniziativa economica e di tutela della concorrenza ex art. 41 Cost.
È stato costantemente ribadito il principio per cui la tutela della libertà di iniziativa economica e la stessa tutela della concorrenza ex art. 41 Cost., sono strettamente connesse alla salvaguardia del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sia in relazione alla diversa modalità di trattamento in presenza di situazioni omogenee, sia con riferimento alla irragionevolezza intrinseca della norma, per irragionevole compromissione della libertà di iniziativa economica (Corte cost., sentenza n. 218 del 2021; anche Corte cost., sentenza n. 16 del 2017; sentenza n. 151 del 2018; Corte cost., sentenza n. 110 del 2022 è sentenza n. 74 del 2023;), sicché viene assicurata tutela ad entrambi i parametri in modo congiunto (Corte cost., sentenza n. 47 del 2018; Corte cost., sentenza n. 85 del 2020, per cui la violazione sussiste «qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili»; con richiami a Corte cost., n. 155 del 2014, n. 108 del 2006 e n. 136 del 2004).
Insomma, si invoca la lesione del principio di uguaglianza unitamente a quella del principio di libertà di iniziativa economica.
La libertà di iniziativa economica non può però essere esercitata senza tenere conto dei limiti imposti dall’art. 41 Cost. la libertà di iniziativa economica non può essere svolta in contrasto con l’utilità sociale e deve soggiacere i controlli necessari perché possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (Corte Cost., sentenza n. 241 del 1990).
Quanto alla tutela della concorrenza la stessa ha una duplice finalità: da un lato, integra la libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, è
diretta alla protezione della collettività, in quanto l’esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenerne i prezzi (Corte cost., sentenza n. 223 del 1982).
La concorrenza diventa allora «valore basilare della libertà di iniziativa economica» (Corte cost., sentenza n. 94 del 2013).
La Corte costituzionale ha costantemente negato che sia «configurabile una lesione della libertà di iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale», purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima «non appaia arbitraria e che, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue» (Corte cost., sentenza n. 152 del 2010; n. 167 del 2009; poi Corte cost., sentenza n. 247 del 2010; anche Corte cost., n. 56 del 2015; n. 203 del 2016; n. 47 del 2018; più remota Corte cost., n. 548 del 1990).
Nella specie, dunque, una volta escluso da parte della Corte cost., con la sentenza n. 57 del 2024, che vi sia stata disparità di trattamento ex art. 3 Cost., fra imprese esercenti attività estrattiva in Campania e imprese con diverso oggetto sociale, si stempera il profilo di costituzionalità relativo all’art. 41 Cost.
Con riguardo, poi, alle imprese esercenti attività estrattive in altre regioni va, da un lato, rilevato che analoga normativa con imposizione contributiva esiste in altre regioni (tanto che la Corte cost., con sentenza n. 89 del 2018 si è pronunciata sulla legge regionale siciliana n. 9 del 2015), e dall’altro, che la normativa RAGIONE_SOCIALE in tema di ambiente detta una disciplina uniforma sul territorio RAGIONE_SOCIALE, ma con la possibilità per le Regioni di implementare ed aumentare le forme di tutela dell’ambiente.
16. È stata anche giustificata la diversità tra i contributi dovuti dai cavatori ai sensi delle tre diverse disposizioni regionali campane (art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005 ed art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008).
17. In particolare, con riguardo all’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, il contributo è destinato ai lavori di completamento ed avvio dell’attività dell’aeroporto di PontecagnanoSalerno.
Per la Corte costituzionale n. 57 del 2024, che ha richiamato le considerazioni svolte dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez.U., n. 34982 del 2023), «la finalità ambientale perseguita dal contributo in esame non va Identificata nel ripristino del territorio a seguito dei danni causati dall’attività estrattiva, ma nel miglioramento complessivo che il territorio medesimo può ottenere da infrastrutture capaci di bilanciare le compromissioni subite».
In tale ottica, si è chiarito che «il finanziamento, attraverso il contributo, dei lavori di completamento ed avvio dell’attività dell’aeroporto di Pontecagnano risulta non irragionevole, poiché può portare miglioramenti al territorio dell’intera regione e determinare ricadute favorevoli, anche di natura socio-economica, per la collettività, generando esternalità positive ad ampio spettro».
Al contrario, la Corte costituzionale ha ritenuto che non è conforme a criteri di ragionevolezza l’ulteriore previsione per cui il contributo è destinato anche «al finanziamento delle ‘attività di gestione societaria’ dell’aeroporto».
Il contributo non poteva andare a vantaggio dell’attività aziendale della società cessionaria dell’aeroporto, «la quale risponde delle eventuali disfunzioni gestionali e deve assumersi in proprio il relativo rischio di impresa».
Il suo sovvenzionamento dell’attività di gestione societaria dell’aeroporto, allora, «non risponde alle doverose finalità ambientali sottesi all’imposizione del contributo, poiché non è funzionale a soddisfare l’interesse primario di supportare la riqualificazione del territorio della RAGIONE_SOCIALE».
18. Con riferimento, poi, al contributo di cui all’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, si è osservato che «il 50 per cento del contributo in esame è esplicitamente destinato all’alimentazione del RAGIONE_SOCIALE, che è finalizzato a tutelare interessi di natura ambientale. Sotto tale profilo, di conseguenza, il contributo risponde alla finalità indennitaria per la quale è stato istituito» (Corte cost. sentenza n. 57 del 2024).
Pertanto, si è aggiunto che «non presenta aspetti di ragionevolezza né risulta discriminatoria la scelta del legislatore regionale, nell’esercizio della sua discrezionalità, di porre un contributo a carico delle imprese che svolgono attività estrattive anche per il raggiungimento di obiettivi di salvaguardia dell’ambiente ampi, ma comunque meritevoli di considerazione».
Con riguardo, poi, al restante 50 per cento del contributo, non sono stati ravvisati ulteriori profili di illegittimità costituzionale, essendo rivolto il contributo «a finanziare spese riferibili ad attività estrattiva e che, diversamente da quanto prospettato dal rimettente, non risultano già sovvenzionate in base ad altre disposizioni regionali».
Infatti, ad avviso della Corte costituzionale n. 57 del 2024 «il contributo è destinato a finanziare i lavori di recupero ambientale diversi e ulteriori rispetto a quelli di cui all’art. 17 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, che pone l’obbligo in capo all’impresa di eseguire ‘le opere per il recupero ambientale della zona nei modi previsti nel provvedimento di autorizzazione o
concessione’. Tra tali lavori, a titolo di esempio, rientrano quelli per la ricomposizione ambientale delle ‘aree di cave abbandonate’ di cui all’art. 29 della medesima legge regionale».
Si è precisato anche che «in relazione alla quota di contributo destinata all’attività di controllo dell’organo di vigilanza in materia di cave, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che i contributi per attività estrattiva servono, legittimamente, a tenere indenne la regione dai costi sostenuti per la verifica del rispetto delle condizioni del titolo autorizzativo o della concessione» (Corte cost. n. 57 del 2024, che richiama Corte cost. n. 89 del 2018).
18.1. Non v’è stata violazione dell’art. 117, 2º comma, lettera s), Cost., che attribuisce alla legislazione RAGIONE_SOCIALE esclusiva la materia della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Infatti, costituisce principio generale della giurisprudenza costituzionale quello per cui la materia ambientale spetta in via esclusiva al legislatore RAGIONE_SOCIALE, ma le regioni possono ampliare i livelli di tutela del bene protetto (Corte cost., sentenze n. 145 del 2013; 66 del 2012).
Si è ritenuto, quindi, che la gestione dei rifiuti è ascrivibile alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata, ai sensi dell’art. 117, 2º comma, lettera s), Cost., alla legislazione esclusiva dello Stato (ex multis, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 331 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009).
In questo ambito, «non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente», anche se le regioni possono stabilire «per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela più elevati», pur sempre nel rispetto «della normativa statale di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 61 del 2009).
Le norme statali, dunque, segnano «anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme, che si impone sull’intero territorio RAGIONE_SOCIALE e non consente deroghe su base regionale» (Corte cost., n. 21 del 2022; che richiama sentenze n. 289 del 2019; n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007; anche sentenza n. 258 del 2020).
Le regioni sono legittimate ad intervenire solo a condizione che ciò assicuri livelli di tutela ambientale più elevati di quelli previsti dalla legislazione statale (Corte cost., n. 21 del 2022; n. 178 del 2019 e n. 149 del 2015; n. 61 del 2009).
Va anche precisato, peraltro, in materia di potestà tributaria regionale in tema di ambiente, che con recente decisione la Corte costituzionale (sentenza n. 82 del 2021 ha affermato il riconoscimento dell’autonomia impositiva delle regioni, alle quali non sono precluse né la possibilità di intervenire negli spazi di manovra ad esse consentiti dei tributi erariali ambientali, né quella di istituire, nel rispetto dei principi di coordinamento, tributi propri autonomi in relazione a fenomeni in cui l’effetto inquinante è prevalentemente limitato al proprio territorio (produzione di rifiuti, impatti da flussi turistici, emissioni degli impianti di riscaldamento).
Si è ammessa dunque, attraverso queste forme impositive, «una differenziazione fisiologicamente connessa al perimetro operativo dell’autonomia impositiva regionale» (Corte cost., n. 82 del 2021; anche Corte cost.. n. 52 del 2022), con riferimento anche al principio di derivazione comunitaria «chi inquina paga»).
È stata esclusa, peraltro, anche la violazione dei principi euro unitari (è stata qui invocata anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.).
La Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2018), infatti, ha rilevato, in relazione alla contribuzione pretesa dai cavatori ad opera
dell’art. 83 della legge della regione siciliana 7 maggio 2015, n. 9, che il contributo è destinato a ripagare la comunità del disagio relativo allo svolgimento dell’attività estrattiva.
Pertanto, «l costo di un siffatto disagio finisce per aggravare, coerentemente, su chi lo produce, in linea, del resto, con le indicazioni di principio derivanti, in materia ambientale, dell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130».
L’art. 191, comma 2, del TFUE prevede che «a politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio ‘chi inquina paga’».
I profili indicati nei motivi di impugnazione, con riferimento all’asserita violazione del diritto unionale, sono stati superati dalle sentenze della Corte costituzionale e soprattutto da quella n. 57 del 2024.
19.1. In ordine alle ragioni per cui i cavatori devono pagare per l’avvio dell’aeroporto di Pontecagnano, la Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2024 ha chiarito che la finalità ambientale perseguita dal contributo va rinvenuta «nel miglioramento complessivo che il territorio medesimo può ottenere da infrastrutture capaci di bilanciare le compromissioni subite».
19.2. In relazione, poi, alla costruzione dell’infrastruttura che non avrebbe nulla a che vedere con la tutela ambiente, è sufficiente rilevare come la Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2024 abbia statuito che «il finanziamento, attraverso il contributo, dei
lavori di completamento ed avvio dell’attività dell’aeroporto di Pontecagnano risulta non irragionevole, poiché può portare miglioramenti al territorio dell’intera regione e determinare ricadute favorevoli, anche di natura socio-economica, per la collettività, generando esternalità positive ad ampio spettro».
19.3. In relazione poi alla ‘salvaguardia ambientale’, che sarebbe stata già oggetto di tutela da parte dell’art. 18 della legge regionale Campania n. 54 del 1985, con la conseguente corresponsione di somme utilizzate per la realizzazione di opere di interventi connessi alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava, la Corte costituzionale con sentenza n. 57 del 2024 ha evidenziato, quanto all’art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, che il contributo è rivolto a finanziare spese riferibili all’attività estrattiva che «non risultano già sovvenzionate in base ad altre disposizioni regionali».
19.4. Peraltro, questa Corte (sentenza n. 1915 del 2023) ha già evidenziato che «al di là dei parametri individuati dalla ricorrente (artt. 26,28,29,30,31,32,33,34,35,36 37 e 56 Del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) con riguardo ad un presunto conflitto delle leggi regionali de quibus con il diritto euro-unitario (in relazione alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, nonché alla divieto di discriminazione tra operatori commerciali), valgono le seguenti considerazioni. Anzitutto, non è ipotizzabile una disparità di trattamento tra imprese operanti all’interno e di imprese operanti all’esterno dei confini regionali, stanti i limiti connaturati alla competenza territoriale della legislazione regionale secondo i principi costituzionali ».
Inoltre, riprendendo la motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 52 del 2018, questa Corte ha sottolineato che «la
ratio fondante del contributo» va individuata «nell’esigenza di indennizzare la collettività regionale per il disagio comunque correlato allo sfruttamento del suolo, essendo certa l’incidenza negativa dell’attività estrattiva sul paesaggio e sull’ambiente inerente alle zone limitrofe a quelle di collocazione della cava, ciò collegandosi altresì alla circostanza che il costo di un siffatto disagio finisce per aggravare, coerentemente, su chi lo produce, in linea con le indicazioni di principio derivanti, in materia ambientale, dall’art. 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea».
20. Quanto alla pretesa violazione dell’articolo 3 Cost., in ragione dell’assenza di proporzionalità dei contributi regionali rispetto alle finalità perseguite, la Corte costituzionale ha affrontato l’argomento soprattutto in tema di dosimetria sanzionatoria, in sede amministrativa e penale.
Sono stati, dunque, esclusi gli automatismi sanzionatori, in quanto il principio di proporzionalità impone «l’adeguatezza della sanzione al caso concreto»; adeguatezza che non può essere raggiunta «se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (Corte cost., n. 161 del 2018; n, 268 del 2016; n. 170 del 2015; tutte richiamate da Corte cost., n. 112 del 2019; anche n. 212 del 2019; n. 165 del 2022).
Analoghi principi sono stati statuito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, per cui la sanzioni devono essere ispirate al principio di proporzionalità (Corte giustizia UE, 12/7/2001, n. 261, in C-262/99; Corte giustizia, 8/3/2022, n. 205, causa C-205/20; Corte di giustizia UE, 27/1/2022 , n. 788, in causa C-788/19; Corte giustizia, 15/4/2021, n. 935, in causa C-935/19; Corte di giustizia, 20 5/2/2021, n. 712, in causa C-712/19; Corte giustizia, 17/7/2014, n. 272, in causa C-272/13).
Pertanto, la normativa, in tema di sanzioni, deve essere idonea a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non deve andare oltre quanto è necessario per conseguire tale obiettivo (Corte di giustizia UE, 3/3/2020, n. 482, in causa C-482/18; Corte di giustizia UE, 26/4/2017, n. 564, in C-564/15).
I medesimi principi sono stati ribaditi anche dalla corte CEDU con riguardo alla necessità di una valutazione di proporzionalità dovendosi guardare alla natura e alla severità delle sanzioni irrogate (CEDU, 11/1/2022, Freitas RAGIONE_SOCIALE c. Portogallo), dovendosi rinvenire un ‘giusto equilibrio’ tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (CEDU, 4/3/2014, n. 18640, causa RAGIONE_SOCIALE c. Italia; CEDU, 23/11/2006, n. 73053, RAGIONE_SOCIALE Jussila c. Finlandia; CEDU, 21/2/1984, n. 73, Ozturk c. Turchia; CEDU, 8/6/1976, n. 22, Engels).
Nella specie, dunque, la Corte cost., con la sentenza n. 57 del 2024, ha bene chiarito che i contributi regionali hanno una specifica finalità ambientale, che mira al miglioramento complessivo che il territorio può ottenere attraverso infrastrutture capaci di bilanciare le compromissioni subite.
La Corte cost., quindi, ha escluso la sussistenza del vizio di irragionevolezza intrinseca per violazione dell’articolo 3 della costituzione, come pure ha chiarito le diverse finalità dei singoli contributi regionali della Campania.
Si esclude, allora, ogni profilo di sproporzione dei contributi regionali rispetto a tali specifiche finalità.
21.Il ricorso deve, però, essere accolto, in relazione alla sopravvenuta dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 17 della legge regionale della Campania n. 15 del 2005 dichiarata dalla Corte cost., con la sentenza n. 57 del 2024, essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto.
La sentenza deve essere cassata, con rinvio alla CGT della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo; rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CGT della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 settembre