Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33830 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33830 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 537/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del MOLISE-CAMPOBASSO n. 194/2022 depositata il 30/05/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. L’Ufficio di Termoli dell’Agenzia delle entrate notificava, a carico di RAGIONE_SOCIALE gli avvisi n. RD1030100397/2009 e n. RD1030100388/2009 e, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE , gli ulteriori avvisi n. NUMERO_DOCUMENTO/2009 e n. NUMERO_DOCUMENTO/2009, mediante i quali accertava, in capo a dette società, rispettivamente per gli aa.ii. 2004 e 2005, maggiori ricavi non dichiarati e, conseguentemente, maggiori imposte, sanzioni ed interessi.
Specifica il ricorso che, da una verifica condotta dalla RAGIONE_SOCIALE di Campobasso nei confronti delle due società (aventi lo stesso legale rappresentante), con particolare riguardo ai reciproci rapporti commerciali, emergeva un ‘accordo’ stipulato nel 1996 mediante lettera commerciale, secondo cui RAGIONE_SOCIALE si occupava della commercializzazione dei prodotti finiti di Linar e degli acquisti delle materie prime necessarie alla loro realizzazione.
Prosegue il ricorso nei seguenti letterali termini:
n sede di controllo, era risultato che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva attività di servizi, quali il confezionamento del vestiario, la stiratura, la lavanderia, il taglio e il cucito e la RAGIONE_SOCIALE attività di commercializzazione dei prodotti finiti, tra le due società la prima risultando quella meglio predisposta, dal punto di vista della composizione del capitale, del patrimonio netto, dei soci e dell’influenza dominante, ad esercitare una vera e propria posizione di controllo nei confronti dell’altra atteso che la RAGIONE_SOCIALE era dotata di attrezzature e macchinari industriali e di specifico personale addetto alla produzione mentre la RAGIONE_SOCIALE mostrava una maggiore predisposizione ai rapporti commerciali e una più efficiente rete di vendita, occupandosi della distribuzione dei prodotti finiti
provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE oltre che degli acquisti delle materie prime necessarie per le lavorazioni tessili .
La RAGIONE_SOCIALE acquistava le materie prime destinate alla produzione in parte da fornitori nazionali e in parte da fornitori di paesi extra-UE, per trasferirle direttamente alla RAGIONE_SOCIALE, mediante DDT con diciture “In conto lavorazione ” o “In conto vendita “.
Non venivano reperiti, tuttavia, registri atti a documentare tali operazioni.
La RAGIONE_SOCIALE inviava all’estero, per la successiva trasformazione, le materie prime ricevute, avvalendosi della RAGIONE_SOCIALE, con sede in Tirana (Albania) e della RAGIONE_SOCIALE, con sede in Timisoara (Romania), entrambe riconducibili allo stesso amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE; al termine del processo di lavorazione effettuato all’estero, la RAGIONE_SOCIALE rientrava in possesso dei prodotti finiti, che venivano trasferiti per la distribuzione alla RAGIONE_SOCIALE, nei confronti della quale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fatturava la prestazione di servizio.
Perciò, tenuto conto del fatto che la spedizione in territorio extra UE dei beni veniva effettuata dalla Linar con la modalità della esportazione temporanea e con la modalità della esportazione definitiva con o senza trasferimento della proprietà e che, secondo il Testo Unico sulle leggi doganali, il proprietario della merce viene considerato colui che la presenta in dogana (tranne nel caso in cui colui che effettua le operazioni doganali indica anche il nome del proprietario), i verificatori ritenevano lecito presumere che il rapporto commerciale di che trattasi dovesse essere inquadrato nel contratto di commissione, dato che all’atto delle operazioni doganali la NOME si dichiarava proprietario della merce.
L’Ufficio di Termoli dell’Agenzia delle entrate, condividendo gli esiti della verifica di cui a separati PVC notificati alle rispettive società, emetteva gli anzidetti avvisi, ritenendo che i rapporti tra le medesime dovessero ricondursi, ‘per facta concludentia’, ad un contratto di commissione ex art. 1731 cod. civ., con NOME committente e NOME.M. commissionario, donde la rilevanza ai fini dell’IVA dei passaggi di beni ex art. 2, comma 2, DPR n. 633 del 1972.
Le società proponevano separati ricorsi, nella resistenza dell’Ufficio, che, in corso di causa, rappresentava di aver proceduto all’annullamento parziale della pretesa impositiva ai fini delle imposte dirette
La CTP di Campobasso, con sentenza n. 679/02/2019 del 27.12.2019, dichiarava la cessazione della materia del contendere ai fini delle imposte dirette e, con riguardo al recupero operato per l’IVA, previa riunione, accoglieva i ricorsi, assumendo che il rapporto intercorrente tra le medesime fosse riconducibile ad un mero accordo di lavorazione.
Proponeva appello l’Ufficio, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale incorporante RAGIONE_SOCIALE
La CTR del Molise, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello, osservando, in motivazione, quanto segue:
Nel caso di specie, si è in presenza di un contratto di lavorazione e non già di commissione . Nella realtà si intravede un accordo commerciale di lavorazione con trasferimento di merci in conto lavorazione, come attestato dai documenti di trasporto. GTM acquista i tessuti e le materie prime che dovranno poi essere lavorati dalla Linar in Albania e successivamente consegnati alla prima per la sua commercializzazione: imporre per ciascuna fase una tassazione ai fini IVA per intero importerebbe una violazione della capacità contributiva con conseguenze paradossali ed oltremodo gravose. La consegna dei beni ai fini della lavorazione non costituisce prova della cessione terzi della titolarità di tali beni né vi è la prova di indebiti vantaggi fiscali conseguiti dalle parti. Ad ulteriore completamento di tali osservazioni, la società contribuente specificava che non era stato istituito il registro di carico e scarico della merce, essendo sufficiente la ricezione del D.D.T. della G.T.M. s.r.l., quale documento idoneo a rappresentare e documentare il passaggio dei beni tra le due società. Come ampiamente precisato dalla Suprema Corte, il documento di trasporto permette di vincere la presunzione di cui all’art. 53 del d.p.r. n. 633 del 1972. Il quadro
normativ è stato sul punto innovato dal d.p.r. 14 agosto 1996, n. 472 che, nell’esercizio della potestà regolamentare conferita dalla legge 30 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 147, lett. d) per provvedere alla soppressione dell’obbligo della bolla di accompagnamento delle merci viaggianti, al terzo comma dell’art. 1, dopo aver riepilogato le caratteristiche di contenuto del nuovo documento di trasporto “il documento previsto dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 4, terzo periodo, lett. d) contiene l’indicazione della data, delle generalità del cedente, del cessionario e dell’eventuale incaricato del trasporto, nonché la descrizione della natura, della qualità e della quantità dei beni ceduti” (Cass. n. 640 del 2018).
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, resistito ‘ex adverso’ con controricorso e con ulteriore memoria.
Il Pubblico Ministero presso la Corte di cassazione, in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. NOME COGNOME deposita requisitoria datata 12 novembre 2024, mediante la quale insta per il rigetto del ricorso.
Considerato che:
Preliminarmente deve darsi atto che, con la memoria depositata in vista dell’udienza, la contribuente fa valere, agli effetti del novello art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, il giudicato della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GUP presso il Tribunale di Larino nei confronti dell’amministratore delle due società per evasione fiscale in relazione ai medesimi fatti oggetto di giudizio.
Siffatta prospettazione della memoria, che paventa altresì un’irragionevolezza costituzionalmente rilevante con riferimento alla testuale limitazione della vincolatività della sola sentenza assolutoria dibattimentale, è priva di fondamento e deve essere disattesa.
La sentenza di non luogo a procedere non produce effetti suscettibili di rilevare ai sensi dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, giacché non contiene alcun accertamento in fatto, essendo resa allo stato degli atti in esito all’udienza preliminare, a sua volta celebrata in camera di consiglio senza istruttoria; detta sentenza conclude la fase delle indagini preliminari sul presupposto meramente prospettico dell’insostenibilità dell’accusa in giudizio (art. 425, comma 3, cod. proc. civ.), talché è strutturalmente inidonea al giudicato, tanto da essere espressamente revocabile (art. 434 cod. proc. pen.), viepiù con semplice ordinanza (art. 436 cod. proc. pen.). Donde la manifesta infondatezza di alcun dubbio d’illegittimità costituzionale dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, al cui ambito di operatività non può attrarsi altresì la sentenza di non luogo a procedere, siccome non assimilabile, né per struttura né per disciplina, alla sentenza assolutoria dibattimentale, la quale sola, contenendo un accertamento in fatto, è invece votata al giudicato.
Può ora procedersi alla disamina dei motivi di ricorso.
Primo motivo: 1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1731 e segg. 2729 c.c., 2, 3 e 53 DPR n. 633/1972 in relazione all’art. 360, c. 1^ n. 3 cpc’.
3.1. ‘a difesa pubblica aveva addotto, in corso di causa, plurimi elementi probatori, di carattere indiziario, univocamente rivolti a far emergere che le due società avevano, in effetti, invocato il diverso rapporto di lavorazione dei tessuti in favore della RAGIONE_SOCIALE, onde dissimulare il reale contratto di commissione tra le stesse intercorso allo scopo di evitare alla commissionaria RAGIONE_SOCIALE la fatturazione ed il conseguente versamento dell’IVA sulle
cessioni operate nei confronti della committente RAGIONE_SOCIALE e, parimenti, di evitare l’adempimento degli obblighi ai fini IVA connessi alla successiva fatturazione da parte della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con riferimento ai prodotti realizzati e destinati alla successiva commercializzazione. In effetti l’Ufficio aveva allegato e dimostrato che: -era stata la RAGIONE_SOCIALE a presentare in dogana le merci in regime di temporanea esportazione allorquando esse venivano inviate in altri Paesi per il successivo impiego manufatturiero; – la RAGIONE_SOCIALE aveva una maggiore propensione all’attività commerciale, avendo una rete di vendita più efficiente, mentre il profilo della RAGIONE_SOCIALE era più ‘operativo’ e produttivo; – sebbene le materie prime fossero state ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE accompagnate da documenti di trasporto ‘in conto lavorazione’, la società non aveva mai istituito il registro di carico e scarico di merce altrui, ovvero non aveva mai predisposto le obbligatorie scritture ausiliarie di magazzino; – la GTM non solo vendeva il prodotto finito, ma acquistava anche le materie prime; era la Linar stessa a scegliere i tessuti che la GTM avrebbe poi acquistato per l’utilizzo manifatturiero; – entrambe le compagini societarie erano riconducibili al medesimo soggetto di controllo’. Segue fotoriproduzione dei PVC. Il motivo riprende: ‘Ebbene la CTR del Molise non ha preso in esame i fatti-noti esposti nei processi verbali di constatazione redatti all’esito dell’attività di verifica per necessariamente inferire la presunzione di esecuzione degli effetti di un contratto di commissione di vendita, e, quindi, anche della presunzione di cessione ex art. 53 del D.P.R. n. 633/1972, affidandosi ad un solo elemento probatorio costituito dal documento di trasporto ‘. ‘Da fatti -noti, indipendentemente da quanto attestato dai DDT, il Collegio di merito, ove rettamente interpretate le disposizioni in rubrica,
avrebbe dovuto trarre la conclusione univoca e obbligata che la committente non era la RAGIONE_SOCIALE ma, bensì, la stessa RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva dato mandato alla RAGIONE_SOCIALE di acquistare le materie prime necessarie alla realizzazione dei prodotti tessili; di conseguenza la stessa RAGIONE_SOCIALE, nell’acquistare il prodotto, aveva agito per conto della RAGIONE_SOCIALE che lavorava il tessuto. Del resto, come comprovato in atti (v. PVC depositati) la RAGIONE_SOCIALE aveva sempre presentato e ritirato in dogana la merce acquistata dalla RAGIONE_SOCIALE e tale fatto noto è perfettamente in linea secondo l”id quod plerumque accidit’ in tale settore di mercato -con il comportamento di un mandante dell’acquisto di materie prime. D’altra parte, non avrebbe avuto senso per la RAGIONE_SOCIALE che aveva quale attività principale quella di confezionamento e commercio di prodotti tessili finiti, l’acquisto di materia prima per la produzione di prodotti tessili’.
Secondo motivo: ‘Nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 111 Cost., 1, 2, e 36 d.lgs. n. 546/1992, 132 e 118 delle disposizioni di attuazione c.p.c. in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4 c.p.c. error in procedendo’.
2.1. ‘Giusta quanto sopra esposto la pronuncia appare, altresì, viziata, per motivazione apparente’.
Il secondo motivo, che assume priorità logica, è infondato e va disatteso:
3.1. È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione (condivisibile o meno, ma) effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto il percorso
argomentativo che la CTR ha seguito per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01).
Ciò consente di passare al primo motivo.
4.1. Esso si sottrae alle eccezioni di inammissibilità di cui al controricorso, perché, ben lungi dal sollecitare a questa Suprema Corte alcuna rivisitazione del giudizio di merito, evidenzia invece con precisione il vizio che vi si assume affliggere la sentenza impugnata, articolando censure vertite in diritto e corrispondentemente ragguagliate a pertinente rubrica.
4.2. Esso è fondato.
4.2.1. In tema di prova per presunzioni, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589-01).
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello
noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316-01).
4.2.2. La CTR non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi.
Gli errori così compiti dalla CTR sono molteplici.
Ha pregiudizialmente ricusato di valutare gli indizi offerti dall’Ufficio, esaminandoli dapprima singolarmente dappoi unitariamente, in guisa tale da verificarne la conducenza, nel senso di delineare, o meno, un quadro coerente.
Ha di contro attribuito immediata valenza decisiva, in senso contrario alla ricostruzione dell’Ufficio, alla causale espressa dai documenti di trasporto, implicanti, attesa la dichiarazione di consegna delle merci in conto lavorazione, la riserva di proprietà in capo a GTM.
Tenuto presente quanto precede, è più particolarmente ad osservarsi che, negando all’Ufficio la stessa possibilità di corroborare i propri assunti mediane la dedotta prova per presunzioni, ha totalmente pretermesso di ricostruire, in manera specifica e circostanziata, come invece necessario al fine di sottoporre a vaglio critico le tesi dell’Ufficio e, specularmente, della contribuente, l’intera filiera produttiva: ciò onde stabilire, alla luce di tutti gli elementi di valutazione disponibili, quale società, tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, avesse il dominio di detta filiera e quindi ne controllasse, in una visione d’insieme finalizzata al risultato economico finale, i singoli passaggi, a cominciare dall’acquisto delle materie prime: ciò dovendosi peraltro tener presente il dato incontestato che, non solo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma anche le società estere incaricate da RAGIONE_SOCIALE (cui previamente risale anche la scelta delle materie prime), e non da RAGIONE_SOCIALE, della lavorazione mettono capo ad unico assetto proprietario ed in definitiva decisionale.
Oltretutto, quanto ai documenti di trasporto, sui quali soltanto, indebitamente, si focalizza l’attenzione della CTR, dal PVC, riprodotto per autosufficienza in ricorso, emerge, da un lato, che ‘la G.T.M. acquista le materie prime in parte presso fornitori esteri ubicati in Paesi extra UE per trasferirli direttamente alla società RAGIONE_SOCIALE. Tale passaggio talvolta avviene mediante d.d.t. emesso dalla G.T.M. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e altre volte mediante indicazione, nel documento di acquisto della materia prima, quale destinatario finale della merce, la RAGIONE_SOCIALE‘ (punto 10); dall’altro
lato, soprattutto, che, ‘dopo tale fase la materia prima viene consegnata mediante d.d.t. (sui quali a volte compare la dicitura ‘in conto lavorazione’ ed altre volte ‘in conto vendita’) alla Linar, la quale si occupa poi della produzione ‘ (punto 13).
Ora, è al cospetto della superiore doverosa individuazione, sul piano dell’effettività sostanziale, della società posta a capo della filiera produttiva che necessita di essere valutata la congruità della causale formalmente espressa nei documenti di trasporto (e nei contratti di acquisto di RAGIONE_SOCIALE), saggiandone l’effettiva tenuta, tanto più considerato che il ridetto elemento formale comunque di per sé non collima con altri elementi parimenti formali: ‘in primis’, l’espletamento delle procedure di espatrio e rimpatrio da parte di NOME senza la spendita di un titolo abilitante alla mera detenzione (non essendo contrastata dalla contribuente la circostanza di fatto, allegata in ricorso, che NOME presentava la merce in dogana senza indicare, come ben avrebbe agevolmente potuto, e dovuto, fare proprio in forza dei dd.dd.tt., la riserva di proprietà in capo a G.T.M.); ma anche il mancato reperimento di rilevazioni contabili, in seno a NOME (che peraltro non si dichiara impresa esclusivamente mercantile), registranti l’accettazione della merce a titolo detentivo (segnatamente in conto lavorazione).
A quest’ultimo riguardo, infatti, deve osservarsi che, sebbene la consegna e riconsegna di merci in conto lavorazione costituiscano operazioni in sé adeguatamente documentate dai documenti di trasporto, ragion per cui i relativi beni non devono essere inventariati (ossia, propriamente, inseriti nell’inventario di magazzino), non per ciò solo, tuttavia, essi sfuggono ad alcuna rendicontazione, dovendo invece essere dettagliati in apposita annotazione di bilancio, previo specifico rilievo mediante scrittura ausiliaria nel registro di
magazzino, ai sensi degli artt. 2214, comma 2, cod. civ. e 14, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, in guisa da giustificare la confluenza del mastro ‘lavorazione per conto terzi’ nel conto economico tra i ricavi delle vendite e delle prestazioni.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 3 dicembre 2024.