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Contraddittorio preventivo: obbligo per l’IVA

Una società di costruzioni ha impugnato un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA basato su una ricostruzione induttiva del reddito. La Corte di Cassazione, pur confermando la legittimità dell’uso di presunzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, ha accolto il ricorso della società limitatamente all’IVA. La Corte ha stabilito che la mancata attivazione del contraddittorio preventivo per i tributi armonizzati, come l’IVA, rende nullo l’atto impositivo, a condizione che il contribuente dimostri di avere argomenti validi da presentare (cd. prova di resistenza). La causa è stata rinviata per un nuovo esame sulla questione.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Contraddittorio Preventivo: Obbligatorio per l’IVA, lo Conferma la Cassazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto tributario: l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo prima dell’emissione di un avviso di accertamento. Questa procedura, che garantisce al contribuente il diritto di essere ascoltato, non si applica in modo uniforme a tutti i tributi. La Corte chiarisce la distinzione fondamentale tra tributi ‘armonizzati’ a livello europeo, come l’IVA, e quelli puramente nazionali, con conseguenze significative sulla validità dell’atto impositivo.

I Fatti del Caso

Una società di costruzioni in liquidazione riceveva un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativo all’anno d’imposta 2013. L’Amministrazione finanziaria, ritenendo inattendibile la contabilità della società, soprattutto per la valutazione delle rimanenze, aveva ricostruito il reddito con metodo induttivo. L’accertamento si basava su una presunta redditività minima del 15% per il settore edile e su uno scostamento rispetto agli studi di settore.

La società impugnava l’atto e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva il suo ricorso. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ribaltava la decisione, dando ragione all’Ufficio. La CTR riteneva legittimo l’accertamento induttivo e affermava che la società non aveva fornito prove sufficienti a giustificare lo scostamento dei ricavi o a dimostrare l’assenza di un maggior reddito.
A questo punto, la società ricorreva in Cassazione, affidandosi a quattro motivi.

L’Obbligo del Contraddittorio Preventivo per l’IVA

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi del quarto motivo di ricorso, l’unico che è stato accolto. La società lamentava la mancata attivazione del contraddittorio preventivo da parte dell’Ufficio in relazione all’IVA.

La Corte ha ribadito un principio consolidato, sancito dalle Sezioni Unite (sent. n. 24823/2015): per i tributi ‘non armonizzati’ (come le imposte sui redditi), non sussiste un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo. Al contrario, per i tributi ‘armonizzati’ a livello europeo, come l’IVA, tale obbligo esiste ed è fondamentale.

La violazione di questo obbligo comporta l’invalidità dell’atto impositivo. Tuttavia, la nullità non è automatica. Il contribuente deve superare la cosiddetta ‘prova di resistenza’, ovvero deve dimostrare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio e che la sua opposizione non è meramente pretestuosa. Nel caso di specie, la società aveva specificato fin dal primo grado di giudizio che, se sentita, avrebbe prodotto dati dell’Osservatorio provinciale che attestavano una grave crisi del settore edile, giustificando così una redditività inferiore a quella presunta dall’Ufficio. Poiché la CTR aveva completamente omesso di pronunciarsi su questo punto, la Cassazione ha ritenuto fondato il motivo.

La Legittimità dell’Accertamento Presuntivo

La Corte ha, invece, rigettato gli altri tre motivi di ricorso, confermando alcuni principi importanti sull’accertamento tributario.

Inammissibilità dell’appello e onere della prova

La Cassazione ha ritenuto infondati i motivi con cui la società contestava l’ammissibilità dell’appello dell’Agenzia e l’inversione dell’onere della prova. La Corte ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria può basare un accertamento anche su presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti. Spetta poi al giudice di merito valutarle.

Una volta che l’Ufficio fornisce elementi presuntivi validi, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale. Nel caso in esame, la CTR aveva correttamente ritenuto che le presunzioni dell’Agenzia fossero sufficienti a trasferire tale onere sulla società, la quale non era poi riuscita a fornire una prova contraria adeguata.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha operato una netta distinzione tra i diversi tributi oggetto dell’accertamento. Per IRES e IRAP (tributi non armonizzati), ha confermato la legittimità dell’operato dell’Amministrazione e la correttezza della decisione della CTR nel ritenere valido l’accertamento basato su presunzioni. L’Ufficio aveva messo in discussione l’intero impianto contabile della società, e la CTR aveva valutato sufficienti gli elementi indiziari forniti, facendo ricadere sulla società l’onere, non assolto, di provare il contrario.

Per l’IVA, invece, il discorso cambia radicalmente a causa della sua natura di tributo armonizzato a livello UE. Il diritto unionale impone un obbligo generale di contraddittorio preventivo endoprocedimentale. La sua omissione vizia l’atto, a condizione che il contribuente superi la ‘prova di resistenza’. La società aveva chiaramente indicato quali argomenti avrebbe sollevato (la crisi del settore edile), e la CTR, non pronunciandosi sulla questione, ha commesso un errore di procedura. Per questo motivo, la Corte ha cassato la sentenza impugnata limitatamente a tale aspetto.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: le garanzie procedurali a difesa del contribuente variano a seconda del tributo contestato. Mentre per le imposte sui redditi l’accertamento basato su presunzioni è ampiamente consentito e l’onere della prova può facilmente trasferirsi sul contribuente, per l’IVA la partita è diversa. L’omissione del contraddittorio preventivo costituisce un vizio grave che può portare all’annullamento dell’atto impositivo, a patto di dimostrare che il dialogo con l’Ufficio avrebbe potuto cambiare le sorti dell’accertamento. La sentenza viene quindi cassata con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria, che dovrà riesaminare il caso tenendo conto di questo fondamentale principio.

L’Amministrazione finanziaria può utilizzare un accertamento basato su presunzioni semplici?
Sì, la Corte conferma che l’accertamento tributario può fondarsi su presunzioni semplici, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Una volta che l’Ufficio fornisce tali elementi, l’onere di fornire la prova contraria si sposta sul contribuente.

Il contraddittorio preventivo è sempre obbligatorio prima di un avviso di accertamento?
No. La Corte chiarisce che, per i tributi non armonizzati a livello europeo (come IRES e IRAP), non sussiste un obbligo generale di contraddittorio. Al contrario, per i tributi armonizzati come l’IVA, derivanti dal diritto dell’Unione Europea, tale obbligo è inderogabile.

Cosa succede se l’Ufficio non attiva il contraddittorio preventivo per l’IVA?
La sua omissione comporta l’invalidità dell’atto impositivo. Tuttavia, per ottenere l’annullamento, il contribuente deve assolvere alla cosiddetta ‘prova di resistenza’: deve cioè dimostrare in concreto quali ragioni avrebbe potuto far valere e che la sua opposizione non è puramente pretestuosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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