Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10692 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 10692 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA) in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Milano e dall’avv. NOME COGNOME del foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo giusta procura speciale in atti
-controricorrente e ricorrente incidentale in via condizionata -avverso la sentenza n. 4980/2015 della Commissione tributaria regionale di Milano, depositata in data 19.11.2015;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale; uditi per la ricorrente l’Avvocatura dello Stato in persona dell’avv. NOME COGNOME e per la controricorrente l’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. T95003B402183/2013, emesso ai sensi dell’art. 40 del D.P.R. n. 600/1973, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Monza Brianza disconosceva per l’anno di imposta 2007 il credito relativo alle imposte pagate all’estero dalla società RAGIONE_SOCIALE ritenendolo frutto di condotta elusiva. La Commissione Tributaria provinciale di Milano, adita dalla società RAGIONE_SOCIALE in accoglimento del ricorso, annullava l’atto impugnato per non avere l’Ufficio garantito il contraddittorio preventivo.
La Commissione Tributaria Regionale di Milano, (d’ora in poi C.T.R.), respingeva il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, confermando la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, ritenuto applicabile anche in caso di contestazioni relative all’abuso del diritto. Riteneva inoltre che l’atto impugnato fosse nullo per intervenuta decadenza, in quanto le operazioni di verifica e la comunicazione della notizia di reato erano state poste in essere a termini ordinari abbondantemente scaduti, sicchè l’istituto del raddoppio dei termini non poteva operare.
Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
La società in epigrafe si è costituita in giudizio con controricorso, instando per la declaratoria di inammissibilità del ricorso ed in subordine per il rigetto. In via gradata, accogliersi il ricorso incidentale condizionato, annullando l’atto impugnato per i motivi contenuti nel ricorso di primo grado e non esaminati dai giudici di merito; in ulteriore subordine, ha chiesto rinviarsi la causa al giudice del merito per l’esame degli stessi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con primo motivo di ricorso -rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212/2000, dell’art. 32, quarto comma, D.P.R. 600/73 e dell’art. 37 bis del D.P.R. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .» -l’Agenzia delle Entrate si duole dell’annullamento dell’atto impugnato per omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, principio che la C.T.R avrebbe ritenuto erroneamente applicabile anche in caso di contestazioni di abuso del diritto non tipizzate. Osserva, al riguardo, che tale principio, contrariamente a quanto opinato dalla C.T.R., non era operante in caso di tributi non armonizzati, se non nei casi previsti dalla legge e che in ogni caso esso era stato rispettato mediante l’invio del questionario, cui aveva risposto la contribuente, circostanza ammessa dalla stessa società nel ricorso introduttivo di primo grado, a pagina uno. Trattavasi, infatti, nel caso di specie, di un accertamento cosiddetto ‘a tavolino’. Peraltro, la sentenza della S.C. citata dalla C.T.R. era stata superata dalla successiva pronuncia a Sezioni Unite n. 24823 del 2015.
Con il secondo motivo -rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, D.P.R. N. 600/1973 e dell’art. 57, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, anche in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .’ – assume essere
errata la statuizione della C.T.R. secondo cui l’istituto del ‘raddoppio dei termini’ non poteva trovare applicazione, per essere il termine decadenziale ordinario già spirato alla data di emissione dell’avviso di accertamento, laddove invece il raddoppio dei termini opererebbe automaticamente, ai sensi degli articoli 43 e 57 citati in rubrica, a fronte di una condotta della contribuente che comporti l’obbligo di denuncia penale in presenza di una fattispecie astratta di reato, per come previsto dalle disposizioni del decreto legislativo n. 74/2000, denuncia penale effettivamente inoltrata, come indicato a pagina 5 dell’avviso di accertamento. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 247/2011, punto 5.1.2., aveva infatti già chiarito che i termini raddoppiati non si inseriscono in quelli ordinari a discrezione dell’amministrazione finanziaria, ma li sostituiscono ab origine .
Il primo motivo è infondato per le ragioni che seguono.
Premesso che la fattispecie in esame ricade nella disciplina previgente rispetto a quella introdotta dall’art. 10 bis della legge n. 212/2000, questa Corte ha chiarito che l’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, anche alla luce della giurisprudenza unionale, non può essere interpretato ritenendo che il medesimo contenga un’elencazione tassativa delle fattispecie abusive, sì da poterne escludere altre, diverse da quelle indicate. E’ stato altresì ritenuto che il successivo art. 10-bis legge 27 luglio 2000, n. 212, anche ove non applicabile ratione temporis , svolge una fondamentale opera di interpretazione del disposto della vecchia norma, la quale ha un perimetro che va ben al di là delle condotte ivi indicate, costituendo espressione di un principio generale, che ricomprende tutte le condotte abusive, ove venga riscontrata la sussistenza dei parametri normativi. Si è precisato, infatti, che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, rinvenibile negli stessi principi
costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari (Cass. 02/02/2021, n. 2224). In questa prospettiva, questa Corte, di recente, ha espressamente ritenuto non condivisibili le precedenti pronunce in cui si era affermato che l’abuso del diritto di cui all’art. 37-bis d.P.R. 600 del 1973, all’epoca vigente, si incentrasse sulla «tipizzazione» delle condotte elusive ed ha mostrato di non condividere l’ulteriore affermazione per cui il legislatore avrebbe voluto tipizzare la figura dell’abuso del diritto convogliandola su specifici elementi caratterizzanti e determinate operazioni negoziali, in assenza dei quali non sarebbero configurabili altre ipotesi (atipiche) di pratiche abusive. L’art. 37 -bis va, pertanto, considerato applicabile a tutte quelle fattispecie di abuso del diritto atipico di derivazione costituzionale ed unionale, successivamente riconosciute con l’art. 10 -bis (cfr. Cass. 26/11/2020, n. 26947).
Tanto premesso, la questione che si pone nella fattispecie in esame è se le garanzie procedimentali di cui all’art. 37 -bis, e in particolare, quelle di cui al quarto e quinto comma, si applichino alle fattispecie elusive atipiche o solo a quelle contemplate dal terzo comma della norma in questione. La lettura unitaria della disposizione in esame ha portato questa Corte a ritenere che l’applicazione della disciplina antielusiva postula l’osservanza di tutte le garanzie procedimentali ivi previste, ivi inclusa la disposizione di cui al sesto comma, ai sensi della quale le imposte o le maggiori imposte accertate ai sensi del secondo comma sono iscritte a ruolo dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale (tra le più recenti, Cass. n. 33973/2022).
Ed infatti, se l’art. 37 -bis è espressione di un principio generale inclusivo di tutte le condotte abusive, deve allora ritenersi che le garanzie ivi previste in occasione della tipizzazione di alcune specifiche condotte, debbano trovare piena attuazione in tutti i
casi in cui detta regola sia oggetto di applicazione. In altri termini, le fattispecie elusive non possono essere suscettibili di una diversa qualificazione a seconda che s’invochi l’abuso del diritto ovvero l’art. 37-bis cit.; ne consegue che le stesse non potranno che essere oggetto del medesimo trattamento anche sotto il profilo procedimentale.
Ed invero, proprio con riferimento al contraddittorio, questa Corte ha già esteso le garanzie procedimentali di cui al quarto e quinto comma a fattispecie elusive ritenute non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. 28/11/2018, n. 30770). Detta soluzione, poi, è in linea con quanto osservato dalla stessa Corte costituzionale che, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 -bis in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. -prospettata sul presupposto che, solo detta norma, ritenuta speciale rispetto al generale divieto dell’abuso del diritto, prevedesse forme di contraddittorio preventivo con il contribuente da osservare a pena di nullità -ha ritenuto non fondata la medesima in ragione della successiva giurisprudenza di legittimità che aveva già ritenuto estensibili le forme di contraddittorio di cui a detta norma (Corte cost. 07/07/2015, n. 132).
Nel caso di specie, l’invio di un questionario con il quale è stata chiesta la trasmissione di documentazione comprovante la spettanza del credito di imposta e gli oneri finanziari indicati nella dichiarazione dei redditi, cui è seguita, dopo la consegna della documentazione, la notifica dell’avviso di accertamento, nel quale per la prima volta viene contestata un’operazione elusiva, con riferimento ad una complessa operazione di pronti contro termine svolta all’estero (per come rilevato nella sentenza di primo grado, condivisa sul punto dal giudice del gravame), non soddisfa all’evidenza le garanzie procedimentali disciplinate ai commi quarto e quinto dell’art. 37 bis del
D.P.R.29 settembre 1973 n. 600, non essendo stato consentito alla società RAGIONE_SOCIALE di conoscere, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, la contestazione, motivata, di abuso del diritto, né di fornire eventuali giustificazioni entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta di chiarimenti.
La Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi, con conseguente infondatezza della doglianza.
Il secondo motivo del ricorso principale rimane assorbito, così come il ricorso incidentale condizionato della società controricorrente.
Le spese seguono la soccombenza.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19.3.2025