Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30833 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30833 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6150/2015 R.G. proposto da
NOME COGNOME ( C.F.: CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, in proprio e quali soci e legali rappresentanti della società di fatto COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in atti, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO
-ricorrenti –
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO – controricorrente – avverso la sentenza n. 961/2014 della Commissione Tributaria Regionale del l’Abruzzo sezione distaccata di Pescara, depositata in data 16/9/2014;
udita la relazione della causa svolta dal dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 10 luglio 2024 e, previa riconvocazione, nella camera di consiglio del 23 settembre 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso, con assorbimento dei restanti;
udit o l’ Avvocato NOME COGNOME per i contribuenti e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate;
Fatto
Nel dicembre 2011 furono notificati alla società e ai due soci odierni ricorrenti tre avvisi di accertamento emessi in seguito ad una riqualificazione fiscale di operazioni poste in essere da NOME COGNOME e NOME COGNOME, imputate dall’Ufficio ad una società di fatto costituita dal COGNOME e dall’COGNOME.
In particolare, questi ultimi, tra il luglio e l’agosto del 2006 acquistarono delle aree edificabili, successivamente rivendute con realizzazione di plusvalenze tassabili.
Con riferimento a tali plusvalenze, i ricorrenti corrisposero le imposte dovute usufruendo del regime di cui al comma 496 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, in base al quale, per il solo periodo d’imposta del 2006, con riferimento alle plusvalenze derivanti dalla cessione di aree edificabili, si previde la possibilità, per le persone fisiche, di
versare l’imposta sostitutiva del 12,50% in luogo della tassazione ad aliquota progressiva.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, i contribuenti agirono non da privati ma nell’esercizio di una attività imprenditoriale , esercitata con le forme di una società di fatto.
L’Agenzia, dunque, procedette ad una ripresa Iva in relazione alle vendite effettuate e qualificò la plusvalenza realizzata dai contribuenti come reddito d’impresa, disconoscendo la legittimità della scelta di avvalersi dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 1, comma 496, della legge n. 266 del 2005.
Proposto ricorso da parte dei contribuenti, la C.T.P. di Chieti lo rigettò, tranne che per la doglianza relativa alle sanzioni.
Gravata la sentenza sia dai contribuenti che dall’Ufficio, la C.T.R. dell’Abruzzo rigettò l’appello dei contribuenti, accogliendo, quanto alle sanzioni, l’appello incidentale dell’ufficio.
Avverso la sentenza d’appello ha nno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, affidato ad otto motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il Sostituto procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta.
Diritto
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Motivazione apparente con riferimento alla dedotta illegittimità degli avvisi di accertamento per mancata instaurazione del contraddittorio preventivo in violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 o n. 4 c.p.c. ‘ , i contribuenti deducono che sia in primo che in secondo grado hanno contestato gli avvisi di accertamento impugnati perché illegittimi in quanto non preceduti dalla fase del contraddittorio preventivo che si sarebbe dovuto instaurare a pena di nullità degli atti impositivi.
Affermano i contribuenti che, sia che ci si muova nell’ambito della normativa antielusiva di cui all’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, sia che ci si muova nell’ambito del più generale divieto di abuso del diritto, gli avvisi di accertamento sarebbero illegittimi in quanto non preceduti dal giusto contraddittorio procedimentale.
Orbene, rispetto a tale doglianza, proposta a partire dal ricorso introduttivo del processo, la C.T.R. avrebbe reso una motivazione apparente , consistita nell’affermare che ‘in primo luogo…l’Ufficio ha dedotto, senza essere smentito, che vi è stata una interlocuzione tra le parti nella fase amministrativa , e soprattutto…non vi era necessità di specifiche garanzie procedurali, essendo sufficiente la prova della condotta illecita dei contribuenti, che hanno compiuto un atto senza palesare la sua inerenza alla loro attività d’impresa’ .
Il Collegio di seconde cure si sarebbe limitato a sostenere l’esistenza di una sorta di ‘interlocuzione’ intercorsa tra le parti prima della notifica degli atti impositivi, circostanza che, a detta dei contribuenti, sarebbe non vera e non provata.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione del principio di rilevanza comunitaria del contraddittorio preventivo, nonché dell’art. 37 -bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché, infine, dei principi generali affermati dalla giurisprudenza in tema di accertamenti fondati sull’abuso del diritto con riferimento alla dedotta illegittimità degli avvisi di accertamento per mancata instaurazione del contraddittorio preventivo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti deducono che le garanzie procedurali previste dai commi 4 e 5 del l’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non applicate dall’Ufficio nel caso di specie, devono trovare applicazione non soltanto nei casi esplicitamente indicati dalle richiamate disposizioni, ma più in generale in presenza di qualsiasi accertamento antielusivo, compreso il cd. ‘abuso del diritto’ .
Invece, nella fattispecie che ci occupa, l’Ufficio avrebbe contestato per la prima volta solo con gli avvisi di accertamento la presunta natura elusiva delle operazioni poste in essere dai contribuenti.
Dell a preventiva ‘interlocuzione’ di cui parla la sentenza impugnata non vi sarebbe prova, e comunque i contribuenti non sarebbero stati posti in condizione di conoscere preventivamente le ragioni dell’emanando atto impositivo.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione d ell’art. 115 c.p.c. con riferimento alla dedotta illegittimità degli avvisi di accertamento per mancata instaurazione del contradittorio preventivo in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c. ‘ , i contribuenti censurano la sentenza impugnata perché fondata su un presupposto di fatto non rispondente al vero, cioè la instaurazione di un contraddittorio preventivo ( ‘interlocuzione’ ) prima della notifica degli avvisi di accertamento.
3.1. I primi tre motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono fondati.
Gli avvisi di accertamento impugnati hanno inquadrato gli atti giuridici compiuti dal COGNOME e dall’COGNOME nell’ambito dell’elusione fiscale. Da tale inquadramento giuridico discende che l’amministrazione avrebbe dovuto applicare, prima dell’emissione degli avvisi di accertamento, il comma 4 dell’allora vigente art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
La sentenza, a tal proposito, espone che vi sarebbe stata comunque una ‘interlocuzione’, prima dell’emissione degli avvisi di accertamento impugnati, tra l’amministrazione e i contribuenti, senza tuttavia tener conto del fatto che ai fini della validità degli avvisi di accertamento la cui ripresa fiscale si fonda su un’elusione fiscale, essi debbono essere preceduti da un contraddittorio preventivo formalizzato per legge.
Ne consegue che, in sede di giudizio di rinvio, la C.G.T. di secondo grado dell’Abruzzo dovrà procedere a nuovo esame verificando esattamente se l’amministrazione, prima di emettere gli avvisi di
accertamento impugnati, abbia correttamente fatto applicazione dell’art. 37bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 , ratione temporis vigente.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 37 -bis comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c.’ , i contribuenti si dolgono che né in primo grado, né in secondo grado i giudici di merito abbiano esaminato la questione della necessità dello scomputo, dalle riprese effettuate dall’Agenzia delle Entrate, di quanto versato dai contribuenti in relazione agli atti giuridici oggetto di imposizione ed imputati alla società di fatto.
4.1. Il motivo è fondato.
Costituisce principio logico, prima ancora che giuridico, che le maggiori imposte pretese dall’erario in seguito ad una riqualificazione degli atti posti in essere dai contribuenti e ad una loro diversa imputazione soggettiva (nel caso di specie, ad una so cietà di fatto) ed oggettiva (nel caso di specie, ad un’attività commerciale esercitata nelle forme di una società di fatto) siano determinate al netto delle imposte già versate dai contribuenti in relazione alla qualificazione giuridica originaria che di quegli atti i contribuenti avevano dato.
Ne consegue che il giudice del rinvio dovrà accertare definitivamente le somme ancora dovute dai contribuenti al netto di quanto da essi già versato, nel caso in cui le somme dovute in base agli avvisi di accertamento siano state determinate senza considerare quanto già versato.
A questo punto, contrariamente alle richieste del sostituto P.G., devono essere esaminati e decisi anche i restanti motivi, che investono capi della sentenza d’appello che non attengono alla correttezza dell’ iter procedimentale seguito dall’amministrazione per giungere agli avvisi di accertamento, bensì al modo in cui la C.T.R. ha valutato il contenuto sostanziale di questi ultimi.
Con il quinto motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonché degli artt. 55 e 67 del d.lgs. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi) con riferimento alla affermazione della natura imprenditoriale delle operazioni immobiliari poste in essere dai ricorrenti in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.’ , i contribuenti censurano la sentenza d’appello per aver ritenuto che lo svolgimento in comune di un’attività economica da parte loro abbia prodotto redditi d’impresa.
Inoltre, la sentenza d’appello viene censurata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la società di fatto, mentre si sarebbe trattato di una attività speculativa non imprenditoriale esercitata da due persone fisiche comproprietarie di immobili.
Con il sesto motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione del principio generale del divieto di abuso del diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti contestano i presupposti sui quali la C.T.R. ha fondato un giudizio di abuso del diritto da parte loro.
Le persone fisiche pretese socie, infatti, hanno legittimamente posto in essere atti nel pieno esercizio della loro libertà negoziale, né potrebbe dirsi che il perseguimento del risparmio fiscale non sia un obiettivo tutelato dall’ordinamento.
6.1. Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili.
Le censure impingono nel merito del giudizio reso dalla C.T.R., che ha accertato l’esistenza di una società di fatto tra le due persone fisiche odierne ricorrenti , avente come oggetto sociale l’acquisto e la vendita di terreni edificabili.
L’esito di tale giudizio non può essere sovvertito in questa sede , essendo stato congruamente motivato.
Con il settimo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 76 del d.P.R. n. 131 del 1986 con riferimento alla decadenza dal potere di accertamento dell’Iva in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ ,
i contribuenti censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’amministrazione fosse decaduta dal potere di accertamento della maggiore imposta Iva dovuta.
Secondo i contribuenti, avendo essi versato l’imposta di registro in relazione agli atti di compravendita riqualificati dal fisco come atti di esercizio di un’attività commerciale esercitata da una società di fatto costituita dal COGNOME e dall’COGNOME, il termine di decadenza della potestà di accertamento avrebbe dovuto essere individuato in tre anni e non in quello più lungo previsto in tema di Iva.
7.1. Il motivo è infondato.
L’amministrazione ha accertato che l’attività di acquisto e di vendita degli immobili edificabili era di natura commerciale ed era imputabile ad una società di fatto , costituita dai due soci COGNOME e COGNOME . Di conseguenza, non era dovuta l’imposta di registro ma l’Iva, ed il termine di decadenza dal potere di accertamento è quello ordinario previsto in tema di Iva.
Con l’ottavo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 e del generale principio di colpevolezza con riferimento all’accoglimento dell’appello incidentale sulla applicabilità delle sanzioni in relaz ione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c.’ , i contribuenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui, accogliendo l’appello incidentale dell’ufficio, ha ritenuto legittima l’irrogazione delle sanzioni amministrative in loro danno.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Esso è formulato genericamente e reclama l’esenzione dalle sanzioni per mancanza dell’elemento soggettivo.
Tuttavia, gli atti di esercizio dell’attività commerciale da parte della società di fatto costituita dal COGNOME e dall’COGNOME sono stati posti in essere in piena consapevolezza, sicché l’elemento soggettivo certamente sussiste.
In definitiva, sono fondati i primi quattro motivi, mentre il ricorso deve essere rigettato nel resto.
La sentenza è cassata e la causa deve essere rinviata, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo , sezione distaccata di Pescara, che in diversa composizione, sul presupposto che gli avvisi di accertamento si sono fondati su comportamenti elusivi dei contribuenti, esaminerà se, da parte dell’amministrazione, sia stato rispettato il corretto iter procedimentale previsto dall’allora vigente art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
P.Q.M.
Accoglie i primi quattro motivi, rigetta nel resto il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, in diversa composizione.
Così deciso, in Roma, il 10 luglio 2024 e, previa riconvocazione,