Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9575 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 928/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO e quindi domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 2199/2022 depositata il 26/05/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe emerge quanto segue:
Il contenzioso ha ad oggetto un avviso di accertamento riferito all’anno di imposta 2013, notificato il 20.11.2019, con riprese IRES, IVA e IRAP per un importo complessivo di € 101.124 fra imposte e sanzioni. La contribuente aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali per il 2013 pur avendo conseguito ricavi.
La contribuente RAGIONE_SOCIALE eccepiva: decadenza del diritto alla riscossione perché l’ufficio avrebbe dovuto notificare l’avviso di accertamento entro il 31.10.2019 per consentire al contribuente di fruire del termine di 60 giorni fino al 31.12.2019; illegittimità per mancato rispetto del termine di 60 gg dalla chiusura delle indagini prima della emissione dell’atto.
L’ufficio eccepiva l’inammissibilità del ricorso laddove manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni, ossia l’ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto e la CT cui è diretto: è indicata nella intestazione la CTR Lombardia anziché la CTP di Milano. Nel merito, la pretesa è infondata: dall’anagrafe tributaria emerge che la società, titolare di PI dal 2007 e regolarmente iscritta nel Registro delle Imprese, ha conseguito ricavi; essa stessa ha presentato la dichiarazione dati IVA indicando operazioni attive per € 86.775 e passive per € 18.770; dallo Spesometro erano emersi ricavi per € 124.156 e costi per € 30.887. In più dalla banca dati INPS era stata rilevata nel 2013 la presenza di 2 lavoratori dipendenti con retribuzioni lorde per un imponibile previdenziale di € 19.473.
La CTP ha rigettato il ricorso, pur avendolo ritenuto ammissibile, qualificando come mero errore materiale l’erronea intestazione alla CTR anziché alla CTP. Condanna alle spese della parte privata soccombente per € 5.000.
2. La contribuente proponeva appello, rigettato dalla CTR, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Effettivamente è corretta la decisione dei primi giudici che hanno ritenuto ammissibile il ricorso qualificando l’erronea indicazione della CTR in intestazione come mero errore materiale, dal momento che dal contenuto dell’atto era comunque chiaro che si stesse impugnando un avviso di accertamento del quale si chiedeva l’annullamento, e non una sentenza di primo grado della quale si chiedeva la riforma.
Rispetto alle eccezioni formali sulle forme dell’atto di appello, prevale l’infondatezza nel merito dei motivi proposti dall’appellante. Infatti, deve anzitutto rilevarsi che la contribuente non contesta il merito della pretesa, alla quale dunque di fatto ha prestato nel merito acquiescenza.
Con riferimento alle eccezioni sollevate in primo grado, disattese dai primi giudici, e riproposte come motivi di gravame, si osserva quanto segue.
L’avviso è stato regolarmente e tempestivamente notificato negli ordinari termini di decadenza (31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione, visto che era una ipotesi di omessa dichiarazione: art. 1 comma 132 della L. 208/2015).
Non è stato peraltro violato il contraddittorio endo-procedimentale perché l’Ufficio aveva invitato la parte ad esibire la documentazione contabile relativa al 2014 e aveva riscontrato l’indisponibilità di quella del 2013 (confermata con una mail del 04.11.2019); per il resto ha usato informazioni già presenti nei sistemi. In più (Cass SU 24823/2015), le garanzie di cui all’art. 12 comma 7 Statuto Contribuente trovano applicazione solo in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività; e non esiste un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo salvo che sia previsto per legge e salvi i tributi armonizzati (per i principi di derivazione comunitaria). In ogni caso, l’eccezione non deve essere pretestuosa e il contribuente deve enunciare le ragioni specifiche che, se avesse tempestivamente addotto nella fase endo-procedimentale, avrebbero ragionevolmente modificato le determinazioni finali dell’ufficio. Ciò nell’ottica della correttezza e buona fede, nonché del principio di lealtà processuale e non sviamento dello strumento difensivo. Nel caso in esame, come anticipato, la parte privata non ha contestato il merito delle pretese né ha addotto, provato e tantomeno allegato, elementi e
circostanze tali che, se prospettati in fase endoprocedimentale, avrebbero potuto ragionevolmente condurre ad esiti diversi dell’accertamento. Deve quindi concludersi nel senso della pretestuosità della eccezione sollevata.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con un motivo. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
L’unico motivo di ricorso è così rubricato’ Sussiste l’interesse alla proposizione del presente ricorso in quanto la sentenza risulta carente di uno dei motivi di cui al art. 360 comma 1 c.p.c. Come nel caso di specie, infatti la Commissione Tributaria Regionale è incorsa in violazione o falsa applicazione di norma di diritto. In particolare nel caso di specie la norme regolatrice è stata interpretata in maniera diversa dal suo contenuto’.
1.1. ‘Sussiste violazione dell’art. 360 comma 1 c.p.c. che rende la sentenza invalida in quanto viziata dai vizi del contenuto ed inoltre sussiste altresì violazione dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto storico principale o secondario idoneo a determinare una cessione del merito diversa da quella impugnata’.
‘Con la ordinanza n° 3060/2018 la Suprema Corte conferma che nel caso di specie siamo in presenza della violazione dell’art. 12, comma 7 della citata legge n. 212/2000, la Cassazione ha precisato infatti che la garanzia prevista dalla predetta norma deve ritenersi applicabile a qualsiasi atto di accertamento che faccia seguito ad un accesso o una ispezione presso i locali dell’impresa, incluso gli accessi che hanno il solo scopo di acquisire la documentazione presso il contribuente . Con la citata sentenza la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire l’importanza del principio del contraddittorio preventivo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, qualora quest’ultimo possa essere destinatario di un provvedimento lesivo come un avviso di accertamento ‘.
1.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto è cumulativo, senza che lo sviluppo argomentativo consenta di enucleare distinti profili censori da ragguagliare ai paradigmi evocati. Tra questi, inoltre, evoca anche l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., senza tuttavia indicare, già dal punto di vista linguistico ed ‘a fortiori’ contenutistico, alcun fatto decisivo e controverso -in senso storico-naturalistico -di cui la CTR avrebbe omesso l’esame, senza considerare che si versa in ipotesi di cd. doppia conforme di merito, con conseguente preclusione alla deduzione del vizio di cui alla citata disposizione (art. 348ter cod. proc. civ. ‘ratione temporis’ vigente). Anche sul versante dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., di per sé non formalmente evocato, il motivo è del tutto carente finanche nella rubrica, non essendo neppure richiamare le norme pretesamente violate e non sopperendovi neppure la pedissequa illustrazione.
È manifestamente infondato perché la CTR ha correttamente escluso (in perfetta adesione a Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015) sia la violazione dell’art. 12, comma 7, St. contr., per non versarsi in ipotesi di accesso, ispezione e verifica, sia, comunque, la violazione dei principi del contraddittorio in tema di imposte armonizzate, non avendo la contribuente fornito la cd. prova di resistenza. In aggiunta, e decisivamente, la CTR ha rilevato in fatto, alla stregua di un giudizio non minimamente impugnato, che la contribuente ha avuto la concreta possibilità di contraddire, risultando così rispettato il suo diritto ad essere sentita: ciò specificamente rileva alla luce del recente insegnamento secondo cui, ‘in tema di accertamento cd. a tavolino, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare il contraddittorio endoprocedimentale in presenza di tributi armonizzati, ma le modalità per la sua realizzazione non sono a forma vincolata, essendo sufficiente assicurare l’effettività dello stesso,
indipendentemente dagli strumenti in concreto adottati, quali il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come l’inoltro di questionari ed il riconoscimento dell’accesso agli atti’ (Sez. 5, n. 18489 del 08/07/2024, Rv. 671628 -01).
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.800, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 13 febbraio 2025.