Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21215 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21215 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5304/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
– ricorrente –
CONTRO
NOME (CODICE_FISCALE, titolare di omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Lecco, giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente – avverso la sentenza n. 4031/2015 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 22.9.2015, non notificata;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 2.4.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.COGNOME NOME, esercente attività di parrucchiere, impugnava separatamente gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle
Accertamento ex art. 39, comma 1,
lettera d), dpr
600/73 e 54, comma 2, d.p.r.
633/72 – anni
2007 e 2008
–
attività di parrucchiere –
contraddittorio endoprocedimenta
le.
EntrateDirezione provinciale di Lecco, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d) del d.p.r. 602/73 e 54 d.p.r. 633/72, per gli anni di imposta 2007 e 2008, con i quali venivano accertati maggiori ricavi non dichiarati e maggior imponibile Iva, con recupero di maggiori imposte Irpef, Iva e Irap, per i seguenti motivi: violazione dell’art. 42 d.p.r. n. 600/73, per carenza di motivazione; violazione art. 10, comma 3 bis della legge n. 146/98, come modificato dalla legge n. 301/2004; violazione ed errata applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d) del d.p.r. 600/73 e 54, comma 2, del d.p.r. 633/72.
2.La C.RAGIONE_SOCIALE. di Lecco, previa riunione, accoglieva i ricorsi, annullando gli avvisi di accertamento per non essere stato garantito il diritto al contraddittorio preventivo, in violazione del diritto comunitario, vincolante per le autorità degli Stati membri.
3. La C.T.R. di Milano rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la lesione del diritto al contraddittorio preventivo, in violazione delle norme comunitarie, alle quali gli Stati membri non potevano sottrarsi, per come avvalorato dalla giurisprudenza di legittimità. Specificava inoltre che le Sezioni Unite, con sentenza n. 26635 del 18.12.2009, avevano chiarito che lo studio di settore non poteva costituire il presupposto automatico della base imponibile, occorrendo l’adeguamento dei parametri dello studio di settore alla concreta realtà aziendale, essendo necessario che lo scostamento riveli una grave incongruenza, al fine di poter procedere all’accertamento induttivo. Nel caso di specie, gli scostamenti non erano significativi. Dirimente era il principio tracciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19667/2014, secondo cui il diritto al contraddittorio, totalmente assente nel caso di specie e consistente nel diritto del contribuente di essere sentito prima dell’emanazione del provvedimento, garantisce l’inalienabile diritto di difesa del cittadino ed il buon andamento della pubblica amministrazione. L’assenza di contraddittorio con il contribuente,
nonostante il rituale invito, autorizzava il solo giudice a valutare nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione sulla base di sei motivi.
5.COGNOME NOME resiste con controricorso.
E’ stata fissata l’udienza camerale del 2.4.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato « motivazione inesistente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) , c.p.c.» , l’Agenzia delle Entrate deduce che la C.T.R. non avrebbe manifestato i motivi in base ai quali aveva respinto l’appello, non essendo chiaro se abbia statuito l’illegittimità della pretesa impositiva in quanto fondata solo sugli studi di settore ovvero per infondatezza nel merito della pretesa impositiva per essere non significativi gli scostamenti dallo studio di settore ovvero ancora per difetto di contraddittorio endoprocedimentale oppure invece abbia ritenuto che il difetto di contraddittorio non inficiava la validità dei provvedimenti, ma autorizzava il giudice a valutare la mancata risposta all’invito nel quadro probatorio. La motivazione si appaleserebbe priva di logicità e di chiarezza espositiva, non consentendo di cogliere il ragionamento complessivo sotteso alla decisione.
1.1. Il motivo è infondato.
Dalla seppur sintetica motivazione, è dato evincere che l’appello dell’Agenzia è stato respinto sulla base di due concorrenti ragioni argomentative: 1) gli accertamenti erano nulli per non essere stato garantito il contraddittorio endoprocedimentale, sempre obbligatorio; 2) gli accertamenti si erano basati unicamente sullo studio di settore, ma gli scostamenti degli anni 2007 e 2008 non erano significativi e pertanto non legittimavano il ricorso al procedimento induttivo ex art. 39, comma 1, lettera d), d.p.r. 602/73.
2.Con il secondo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 10 comma 4 bis, della l. 146/98 e dell’art. 39, comma 2, lettera d) del d.p.r. n. 600/73, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. », si lamenta, in sintesi, che la C.T.R. non abbia compreso che la congruità e la coerenza con lo studio di settore non incidevano sulla legittimità dell’operato dell’A.F. che aveva proceduto ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d) d..p.r. 600/73, combinando il metodo induttivo con quello analitico. La C.T.R. non aveva ritenuto illegittimo il ricorso al metodo utilizzato dall’A.F., ritenendo viceversa che esso incontrerebbe il limite degli studi di settore, senza considerare che nel corso delle operazioni di controllo erano emerse numerose e ripetute anomalie, irregolarità e omissioni ed incongruenze, che da sole legittimavano l’utilizzo del metodo induttivo.
2.1. Il motivo è fondato.
Premesso che il contribuente ha dedotto la violazione dell’art. 10, comma 3 bis della legge n. 146/98 (che prevede l’obbligo dell’ invio dell’invito a comparire in caso di accertamenti basati sugli studi di settore) e non dell’art. 10, comma 4 bis, va osservato che l’A.F., ritenuto che la redditività di impresa dichiarata non fosse coerente con la media del settore di appartenenza, inviava il questionario n. Q00045/2012, notificato in data 6.2.2015, con il quale veniva chiesta al contribuente COGNOME Gabriele l’esibizione di documentazione contabile ed extra contabile ed una breve relazione sulle modalità di svolgimento dell’attività, invito cui il contribuente pacificamente ottemperava. L’Ufficio, sulla base delle informazioni fornite dal contribuente in merito a numero dei dipendenti, numero delle postazioni di lavaggio e taglio, orari di apertura del negozio, retribuzione erogata ai dipendenti e tariffario dei servizi, aveva ritenuto che il reddito di impresa dichiarato per l’anno 2007, pari ad euro 6.888,00 e quello dichiarato per l’anno 2008, pari ad euro 8.006,00, non fossero congrui con le
caratteristiche e le modalità di svolgimento dell’attività, inidonei a remunerare il lavoro del titolare ed il rischio di impresa, oltre che incongrui in relazione ai costi sostenuti, con particolare riguardo alle retribuzioni erogate ai dipendenti ed alle relative ore di lavoro impiegate. Gli avvisi di accertamento venivano pertanto emessi ai sensi dell’art. 39, comma 1 lettera d) d.p.r. 600/73 relativamente alle imposte dirette, dell’art. 54 del d.p.r. 633/72 ai fin Iva e dell’art. 5 del decreto legislativo n. 446/97 ai fini Irap.
2.2. Ha errato pertanto la C.T.R. a ritenere che gli accertamenti si erano basati solo sugli scostamenti dallo studio di settore che, in quanto a suo dire non significativi, non avrebbero legittimato il ricorso al metodo analitico induttivo di ricostruzione del reddito, obliterando l’esame di tutti gli elementi evidenziati dagli accertatori nei provvedimenti impugnati.
3.Con il terzo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.p.r. 600/73, degli articoli 62 bis e 62 sexies D.L. 331/1993, dell’art. 3, comma 181, l. 549/95, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. », la ricorrente si duole, in via subordinata, del fatto che la C.T.R. non abbia considerato che, una volta verificato lo scostamento del reddito dichiarato rispetto allo studio di settore, scostamento che non era stato in alcun modo contestato dal contribuente, spettava a quest’ultimo fornire comprovate giustificazioni.
La doglianza, proposta in via subordinata, va ritenuta assorbita, stante l’accoglimento del secondo motivo.
4. Con i motivi quarto, quinto e sesto, l’Agenzia delle Entrate deduce «violazione dell’art. 39 del D.p.r. 600/73 e dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente » sotto tre distinti profili, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale, in difetto dei presupposti richiesti dalla legge.
Al riguardo, richiamata la distinzione tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati e precisato il diverso atteggiarsi dell’istituto del contraddittorio per come chiarito dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 24823/2015, evidenzia in primo luogo che la C.T.R. non aveva considerato che erano stati accertati maggiori ricavi e dunque un corrispondente maggior reddito e, quali meri corollari, l’accertamento di un maggior volume d’affari e di un conseguente maggior imponibile Iva. Non trattandosi pertanto di violazioni autonome alla disciplina dell’Iva, il contraddittorio non era da ritenersi obbligatorio.
In secondo luogo, la C.T.R. non aveva tenuto conto del fatto che si era in presenza di un accertamento ‘a tavolino’ e non di un accesso o verifica fiscale presso i locali del contribuente, come peraltro ammesso da quest’ultimo, il quale, in entrambi i ricorsi introduttivi, a pagina 2, aveva lamentato che, dopo aver esibito la documentazione e risposto al questionario n. Q00045/2012, l’Ufficio non lo aveva più invitato per comunicargli l’esito del controllo effettuato e per notificargli il processo verbale di constatazione. Ne conseguiva, secondo i principi contenuti nella citata pronuncia a sezioni unite, che si verteva in una delle ipotesi in cui non trovava applicazione l’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente.
In terzo luogo, la statuizione sarebbe comunque errata, in quanto la C.T.R. non aveva dato seguito all’insegnamento della Suprema Corte di cui alla sopra citata sentenza a sezioni unite, secondo cui, quando l’istituto del contraddittorio assume un rilievo generalizzato, la sua violazione può determinare l’annullamento dell’atto solo se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato diverso e che spetta al contribuente prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio, ragioni che, valutate al momento del mancato contraddittorio, dovevano essere non
meramente pretestuose. Nella fattispecie in esame nulla di tutto ciò si era verificato. Infatti, il contribuente, nei ricorsi introduttivi, a pagina 8, commi secondo, terzo e quarto, si era lamentato tout court della mancata attivazione del contraddittorio, quale atto dovuto, in attuazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 53 e 97 della Costituzione e del fatto che tale omissione non aveva permesso all’A.F. di valutare compiutamente lo svolgimento della sua attività artigianale e la sua situazione economica e finanziaria. Da ciò conseguiva che, anche a voler ritenere sussistente l’obbligo del contraddittorio, giammai tale irregolarità avrebbe potuto condurre all’annullamento dell’atto, in totale assenza di prospettazione, da parte del ricorrente, delle concrete ragioni che avrebbe potuto far valere in sede amministrativa.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono complessivamente fondati.
L’avviso di accertamento non è stato emesso a seguito di accesso, ispezione o verifica fiscale presso i locali del contribuente, ma si è trattato di un accertamento cosiddetto ‘a tavolino’, preceduto dall’invio di un questionario con richiesta di esibizione di documentazione e di una breve relazione sulle modalità di svolgimento dell’attività artigianale.
5.1 Tanto chiarito, questa Corte ha più volte statuito, a partire dalla sentenza a Sezioni unite n. 24823/2015 che, in tema di IVA, la eventuale violazione del diritto di difesa non comporta, per il principio di effettività, che una decisione adottata in spregio dei diritti della difesa venga annullata in ogni caso, ma solo laddove detta violazione avrebbe eziologicamente determinato l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo. Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa
fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. «prova di resistenza»: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C130/13, punti 78 e 79). E’, quindi, necessario che il contribuente deduca che il rispetto ex ante del contraddittorio avrebbe messo il contribuente in condizione di giungere a un diverso esito in sede di emissione dell’atto impositivo e solo in caso di prova di tale circostanza e di quali sarebbero questi diversi esiti, la violazione dei diritti della difesa comporterebbe l’annullamento dell’atto impositivo medesimo (CGUE, 18 giugno 2020, RQ, C -831/18 P, punto 105; CGUE, 4 giugno 2020, CS C.F., C-430/19, punto 35; CGUE, 4 giugno 2020, SEAE, C-187/19 P, punto 69; CGUE, 20 dicembre 2017, Prequ, C27616, punto 62; ex multis , Cass., Sez. V, 15 dicembre 2022, n. 36852).
5.2. Quanto, invece, alle imposte dirette, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale vigente ratione temporis , un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Nel caso di specie, come visto, non risulta eseguito alcun accesso presso la sede del contribuente, per cui non osta alla legittimità dell’avviso l’assenza di contraddittorio.
5.3. la C.T.R. non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto sussistere un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale a prescindere dal tipo di accertamento e dal tipo di tributi in contestazione.
Conclusivamente, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla C.G.T. di Milano, in diversa composizione, la quale procederà ad un nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, quarto, quinto e sesto motivo, assorbito il terzo e rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata
in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.G.T. di Milano, in diversa composizione, la quale procederà ad un nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.4.2025