LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contraddittorio preventivo e studi di settore: la Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27745/2024, ha rigettato il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. La Corte ha chiarito i limiti dell’obbligo del contraddittorio preventivo, specificando che non è sempre necessario, soprattutto negli accertamenti ‘a tavolino’ per imposte non armonizzate. Per gli accertamenti basati su studi di settore, l’obbligo sussiste solo se questi costituiscono l’elemento prevalente della pretesa fiscale, e non quando l’accertamento si fonda anche su altri elementi, come l’antieconomicità della gestione aziendale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Contraddittorio preventivo e accertamenti fiscali: i chiarimenti della Cassazione

L’ordinanza n. 27745/2024 della Corte di Cassazione offre importanti delucidazioni sui confini del contraddittorio preventivo nel processo tributario. Questa garanzia procedimentale, fondamentale per la difesa del contribuente, non è sempre obbligatoria, e la sua applicazione dipende dalla natura del tributo e dalle modalità con cui l’amministrazione finanziaria conduce l’accertamento. Il caso in esame riguarda un professionista a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato maggiori ricavi e costi non deducibili, basandosi inizialmente su uno scostamento dagli studi di settore.

I fatti del caso: accertamento e ricorso

L’Agenzia delle Entrate notificava a un contribuente un avviso di accertamento per maggiori ricavi e costi non deducibili. Il contribuente impugnava l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP), lamentando principalmente la mancata attivazione del contraddittorio preventivo e l’insussistenza dei presupposti per la ricostruzione induttiva del reddito. La CTP accoglieva il ricorso, annullando l’atto impositivo.

Successivamente, l’Amministrazione finanziaria proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ribaltava la decisione di primo grado, ritenendo legittimo l’operato dell’Ufficio. A questo punto, il contribuente si rivolgeva alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto.

La questione del contraddittorio preventivo nell’accertamento

Il cuore della controversia ruota attorno all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo. La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia, operando una distinzione fondamentale.

La distinzione tra tributi armonizzati e non

La Corte ricorda che per i tributi “non armonizzati” a livello europeo (come le imposte dirette IRPEF e IRAP), non esiste un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo se l’accertamento è condotto “a tavolino”, cioè senza accessi diretti presso la sede del contribuente. L’obbligo sorge solo nei casi specificamente previsti dalla legge.

Per i tributi “armonizzati” (come l’IVA), invece, vige un principio generale di obbligatorietà del contraddittorio. Tuttavia, la sua violazione non comporta automaticamente l’invalidità dell’atto. Il contribuente deve superare la cosiddetta “prova di resistenza”, dimostrando in concreto quali ragioni avrebbe potuto far valere e che, se considerate, avrebbero potuto condurre a un esito diverso dell’accertamento. Nel caso di specie, il ricorrente non ha fornito tale prova.

Il ruolo degli studi di settore nel contraddittorio preventivo

Un punto cruciale riguarda gli accertamenti basati sugli studi di settore. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che, se l’accertamento si fonda esclusivamente o prevalentemente sugli studi di settore, il contraddittorio preventivo è un passaggio obbligatorio a pena di nullità.

Tuttavia, come precisato dalla Corte, questo obbligo viene meno se l’accertamento, pur prendendo le mosse da uno scostamento dagli studi di settore, si basa anche su altri elementi giustificativi. Nel caso analizzato, la CTR aveva evidenziato che l’accertamento era fondato non solo sullo scostamento, ma anche e prevalentemente sulla “antieconomicità della gestione aziendale”. Questo elemento aggiuntivo ha reso non obbligatoria l’instaurazione del contraddittorio.

Onere della prova e valutazione del giudice

Il contribuente aveva anche contestato la violazione delle norme sull’onere della prova e sulle presunzioni, criticando di fatto il modo in cui il giudice di merito aveva valutato gli elementi probatori. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile, ribadendo che il suo compito non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge. La valutazione delle prove e la scelta degli elementi su cui fondare la decisione rientrano nell’esclusiva competenza del giudice di merito, il quale deve motivare il proprio convincimento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso del contribuente su tutti i fronti. In primo luogo, ha ritenuto infondate le censure sull’ammissibilità dell’appello dell’Agenzia, poiché questo era sufficientemente specifico. Nel merito, ha applicato i principi consolidati sul contraddittorio preventivo: per le imposte dirette, trattandosi di un accertamento “a tavolino”, non vi era alcun obbligo; per l’IVA, il contribuente non ha superato la “prova di resistenza”. Inoltre, la Corte ha sottolineato che la presenza di ulteriori elementi a sostegno dell’accertamento, oltre agli studi di settore, come l’antieconomicità della gestione, escludeva la necessità del contraddittorio obbligatorio. Infine, le critiche sulla valutazione delle prove sono state respinte in quanto miravano a un inammissibile riesame del merito della controversia.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, fornendo indicazioni pratiche per contribuenti e professionisti. Il diritto al contraddittorio preventivo è una garanzia essenziale, ma non assoluta. La sua applicabilità dipende dalla specifica fattispecie, dalla tipologia di tributo e, soprattutto, dagli elementi posti a fondamento della pretesa fiscale. Se l’accertamento non si basa unicamente su presunzioni statistiche come gli studi di settore, ma è corroborato da altri indici concreti di capacità contributiva, le garanzie procedurali possono subire una compressione, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare l’impatto concreto della loro omissione.

Quando è obbligatorio il contraddittorio preventivo in un accertamento fiscale?
Per i tributi non armonizzati (es. IRPEF), è obbligatorio solo nei casi previsti dalla legge o in caso di verifiche in loco. Per i tributi armonizzati (es. IVA), è un principio generale, ma la sua violazione rende nullo l’atto solo se il contribuente supera la “prova di resistenza”.

Cosa succede se un accertamento si basa sugli studi di settore?
Se l’accertamento si fonda esclusivamente o prevalentemente sugli studi di settore, il contraddittorio preventivo è obbligatorio a pena di nullità. Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate basa la sua pretesa anche su altri elementi giustificativi (come l’antieconomicità della gestione), l’obbligo viene meno.

Cos’è la ‘prova di resistenza’ per i tributi armonizzati come l’IVA?
È l’onere che grava sul contribuente di dimostrare in giudizio quali specifiche ragioni avrebbe potuto addurre durante il contraddittorio omesso e come queste avrebbero potuto portare a un risultato diverso dell’accertamento. La semplice lamentela per la mancata attivazione del contraddittorio non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati