Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27745 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27745 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3649/2016 R.G. proposto da: NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.CAMPANIA SEZ.DIST. SALERNO n. 6453/2015 depositata il 29/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 21/02/2012 l’RAGIONE_SOCIALE notificava a NOME NOME l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, emesso a seguito di esame della documentazione prodotta dal contribuente per effetto
dell’invio di questionario, con il quale venivano contestate l’omessa indicazione di maggiori ricavi per euro 122.900,00 e la detrazione di costi non di competenza per euro 6.044,00.
Il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE chiedendo l’annullamento dell’atto impositivo ed in particolare lamentando: i) il mancato svolgimento del contraddittorio preventivo in presenza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 4 del D.Lgs. n. 218/1997 e ii) nel merito, l’insussistenza dei presupposti per la ricostruzione induttiva del reddito.
La CTP accoglieva il ricorso, annullando l’atto impositivo impugnato.
L’appello proposto dall’Amministrazione veniva accolto dalla CTR della Campania con la sentenza indicata in epigrafe.
Ricorre il contribuente con quattro motivi, illustrati con successiva memoria difensiva, depositata in data 6 settembre 2024, e resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 53 D.Lgs. 546/1992 e dell’art. 342 c.p.c.», lamentando che la CTR non abbia accolto la proposta eccezione di inammissibilità dell’appello erariale per violazione dell’art. 53 D.Lgs. 546/1992.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la «Violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c.», deducendo che l’Amministrazione appellante non avrebbe svolto una compiuta ed analitica critica della pronuncia impugnata, in quanto non ne avrebbe specificamente contestando ogni argomentazione.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione, sono inammissibili, perché privi di specifiche argomentazioni avverso la decisione
impugnata che, sia pur sinteticamente, si è pronunciata rigettando l’eccezione di inammissibilità dell’appello, in quella sede formulata. I giudici di appello hanno prima osservato che «l’atto di impugnazione dell’Amministrazione si basa su un’articolata e motivata critica ai punti centrali su cui si basa la sentenza di primo grado», e quindi richiamato ed esaminato i motivi formulati.
3.1. Le censure sono inoltre infondate.
3.2. In primo luogo, si osserva che è ormai orientamento giurisprudenziale consolidato che nel processo tributario l’appello ha carattere devolutivo pieno, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici ma volto a ottenere il riesame della causa nel merito (cfr. Cass. n. 30525 del 23/11/2018). Di conseguenza, è consentito, in assolvimento di quanto richiesto dall’art. 53 del D.Lgs n. 546/1992, per l’Amministrazione finanziaria, proporre un appello in cui si limiti a ribadire e a riproporre le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (cfr. Cass. n. 4918 del 16/02/2023; n. 32838 del 19/12/2018; n. 32954 del 20/12/2018; n. 24641 del 5/10/2018, n. 7369 del 22/03/2017).
3.3. Parimenti, è stato plurime volte affermato l’ulteriore principio secondo cui l’enunciazione dei motivi di appello non deve consistere in una formalistica enunciazione RAGIONE_SOCIALE ragioni invocate a sostegno dell’appello, potendosi i motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso (Cass. n. 30341 del 21/11/2019), comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass. n. 20379 del 24 agosto 2017).
3.4. Ad ogni buon conto, comunque, nel caso di specie, l’Amministrazione ha specificamente censurato la sentenza di prime cure, sia in ordine al tema del contraddittorio in fase di accertamento con adesione, sia in ordine alla ritenuta carenza
probatoria ravvisata dai primi giudici, con censure che sono state esaminate ed in esito condivise dalla Commissione territoriale.
Con il terzo strumento di impugnazione si denuncia la «Violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 6 d.lgs. 218/1997, degli artt. 10 e 12 L. 212/2000 – artt. 3 -24 – 97 Cost.».
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Con specifico riguardo all’accertamento con adesione, questa Corte ha costantemente affermato che la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge. (Cass. Sez. U, n. 3676 del 17/02/2010; Sez. 5, n. 474 del 11/01/2018).
4.3. Con riferimento alle ulteriori doglianze del ricorrente che, invocando l’esistenza di un «principio immanente» di obbligatorietà del contraddittorio, pare lamentarne la mancata attivazione in via generale, e dunque non solo nell’ambito del procedimento di adesione, va rammentato che più volte questa Corte di cassazione è stata chiamata a delineare i limiti entro i quali l’Amministrazione è obbligata ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 12 L. n. 212 del 2000, pervenendo alla soluzione che esso trova applicazione limitatamente ai tributi c.d. “armonizzati” (nella fattispecie all’Iva) ma con applicazione della ‘prova di resistenza’, rinviando, a quest’ultimo riguardo, a quanto si preciserà infra .
4.4. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che « in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe
potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito». Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino» (Cass. S.U. n. 24823/2015). Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere ulteriormente sul fatto che Cass. S. U. n. 18184/13, nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata, dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. n. 212/2000), ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni.
4.5. Per quanto attiene all’accertamento mediante studi di settore questa Corte ha affermato il principio secondo cui «Nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della I. n. 146 del 1998, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali» (Cass. sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31814; Cass. sez. 5, 5 novembre 2020, n. 28400).
Si è ancora di recente ribadito che «L’accertamento operato sulla base della sola applicazione degli studi di settore impone, a pena di nullità, l’obbligo di un preventivo contraddittorio con il
contribuente, in quanto il sistema RAGIONE_SOCIALE presunzioni semplici su cui gli studi si fondano – la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati richiede un percorso di adeguamento dell’elaborazione statistica alla concreta realtà economica del contribuente, il cui esito confluisce nella motivazione, la quale deve ricomprendere le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa sono stati disattesi; al contrario, il predetto obbligo non occorre se l’accertamento trova fondamento anche su ulteriori elementi giustificativi, come la reiterata antieconomicità dell’attività, desumibile da irregolarità contabili o anomale gestioni aziendale» (Cass., Sez. T., 9 aprile 2024, n. 9554)
4.6. Coerentemente con tale impostazione, si è avuto modo di affermare che un accertamento tributario può dirsi fondato su studi di settore nel solo caso in cui rinvenga in essi il suo fondamento prevalente: tanto non si verifica quando, mediante l’utilizzo dei predetti studi, siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Amministrazione ad approfondire l’analisi, per poi scoprire altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di un’operatività economica non dichiarata e raccogliere elementi gravi, precisi e concordanti in tal senso (Cass. n. 6198/2024, Cass. n. 516/2023, Cass. n. 13555/2020, Cass. n. 31814/2019, da ultimo richiamate da Cass. n. 21391/2024).
4.7. Alla stregua dei suenunciati princìpi di diritto, cui va data ulteriore continuità, deve escludersi la sussistenza di una violazione o falsa applicazione di legge, avendo la Commissione regionale precisato che l’accertamento compiuto dall’Ufficio non si basava soltanto sul rilevato scostamento del reddito dichiarato dalla contribuente da quello evincibile dal pertinente studio di settore, indice di innesco della verifica, ma anche e prevalentemente sulla «antieconomicità della gestione aziendale» indicando poi
analiticamente in sentenza (pp. 4 e 5) gli specifici elementi presuntivi valorizzati a tale riguardo.
4.8. Nel caso di specie, almeno per quanto attiene alle imposte dirette, non vi era dunque alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, non essendo neppure posto in dubbio che la verifica, avente ad oggetto RAGIONE_SOCIALE imposte dirette, non si sia svolta presso i locali dell’impresa.
4.9. Pertanto, nella fattispecie, la questione relativa al contraddittorio si pone solo per l’Iva, in ragione della sua natura di tributo “armonizzato”.
4.10. Sul punto, tuttavia, si rileva la mancanza di qualsiasi riferimento da parte del ricorrente al contenuto che dovrebbe assumere la c.d. prova di resistenza, non essendo state neppure prospettate le ragioni che la società contribuente avrebbe potuto far valere e che sarebbero state precluse a causa della mancata attivazione del contraddittorio.
Non vi è quindi interferenza con la questione che questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 7829 del 22/03/2024, ha rimesso alle Sezioni unite, avente ad oggetto i contenuti e limiti della ‘prova di resistenza’, questione la cui soluzione non incide sul presente contendere.
Con il quarto strumento di impugnazione il ricorrente denuncia la «Violazione dell’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 cc», per non avere la Commissione regionale fatto corretto uso del principio dell’onere della prova.
5.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.
La disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza dell’Ufficio, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione RAGIONE_SOCIALE valutazioni e del convincimento del giudice, tesa
all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
5.2. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come invece sostanzialmente preteso oggi dal ricorrente.
5.3. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione RAGIONE_SOCIALE pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione RAGIONE_SOCIALE prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054; Cass. n. 9336/2023; v. anche Cass., Sez. 3, 09/03/2012 n. 3703).
5.4. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054).
5.5. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova
con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass.,04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass.,07/02/2004 n. 2357).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/09/2024.