Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17306 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3771 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , e NOMECOGNOME quale rappresentante fiscale per soggetto non residente, rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. NOME NOME COGNOME (pec: EMAIL), ed elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -ESTEROVESTIZIONE -contraddittorio endoprocedimentale
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 5378/10/2019 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il 17/06/2019;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 25/03/2025 dal Cons. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi, per i ricorrenti, l’avv. NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso .
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò alla RAGIONE_SOCIALE società avente sede nella Repubblica Ceca, esercente l’attività di «noleggio di autovetture ed autoveicoli leggeri», un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2010, emesso sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia nel periodo accertato.
1.1. L’amministrazione finanziaria recependo le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. nel 2015 nei confronti della predetta società estera a seguito di accesso effettuato presso i locali della sede italiana sita nel comune di San Prisco, ritenendo integrata l’esterovestizione della società contribuente, in quanto solo formalmente residente nella Repubblica Ceca ma di fatto localizzata ed operante in Italia con amministratore di fatto individuato in NOME COGNOME, emise il predetto avviso di accertamento contestando l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali ed accertando redditi e ricavi non dichiarati, che riprese a tassazione.
La società contribuente e NOME COGNOME impugnarono l’atto impositivo dinanzi alla CTP di Caserta che rigettò il ricorso ed analoga sorte subì l’appello proposto dai contribuenti dinanzi alla CTR della Campania.
2.1. Osservarono i giudici d’appello:
-) che nel giudizio avverso l’atto impositivo non spiegava effetto il giudicato esterno costituito dalla sentenza definitiva della CTP di Caserta n. 6619/2917, di annullamento dell’atto di irrogazione della sanzione per mancata risposta all’invito emesso ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, notificato in data 05/11/2015 a NOME COGNOME amministratore di fatto della società contribuente, stante la diversità sia della pretesa fiscale che dell’anno di riferimento;
-) che l’inosservanza del termine di quindici giorni previsto per l’adempimento all’invito a comparire di cui alle sopra indicate disposizioni, non determinava l’annullamento de ll’atto impositivo in quanto l’amministrazione finanziaria non era vincolata ai dati raccolti con questionario;
-) che nel caso di specie il termine a comparire, decorrente dalla notifica dell’invito effettuata in data 05/11/2015 , era stato ampiamente rispettato con riferimento alla data del 04/12/2015, di conclusione delle operazioni e redazione del processo verbale di constatazione; che, in ogni caso, la ricorrente aveva avuto tempo a sufficienza per ottemperare all’invito e che comunque il COGNOME non aveva neppure eccepito, al momento della notifica a mani del predetto invito, la carenza di legittimazione passiva a rispondere ad inviti rivolti alla società contribuente;
-) che dal processo verbale di constatazione che, quale atto pubblico, faceva piena prova fino a querela di falso, risultava che il COGNOME, quale amministratore di fatto della società esterovestita, si era rifiutato di presenziare alle operazioni ispettive e di ricevere copia dei relativi verbali, sicché non sussisteva alcuna irregolarità della verifica fiscale;
-) che era infondata la dedotta nullità della notifica del p.v.c. la cui notifica era stata effettuata mediante affissione dell’atto all’albo del
comune ove aveva sede la società contribuente e che, in ogni caso, il p.v.c. era stato portato a conoscenza della parte contribuente mediante allegazione all’avviso di accertamento regolarmente notificato;
-) che non era stato violato il contraddittorio endoprocedimentale; innanzitutto, perché la parte contribuente, una volta ricevuto l’avviso di accertamento con l’allegato p.v.c., non aveva lamentato la mancata conoscenza di tale ultimo atto né aveva invocato la concessione del termine per depositare memorie; in secondo luogo, perché, stando al principio espresso dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 24823 del 2015, era onere della parte contribuente, nella specie non assolto, fornire la cd. prova di resistenza;
-) che, quanto alla contestata esterovestizione della società contribuente, dal p.v.c. conclusivo delle operazioni di verifica erano emersi una serie di elementi che , valutati alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale, anche unionale in materia di ‘sede dell’attività economica’ e di ‘centro di attività stabile’, secondo cui la localizzazione delle società deve essere effettuata non in base a dati formali, bensì in base ad elementi di effettività sostanziale, portavano a ritenere che la società contribuente, ancorché avente sede legale nella Repubblica Ceca, fosse fiscalmente residente nel territorio nazionale ove veniva svolta in concreto l’attività di direzione e gestione dell’impresa; la società contribuente, peraltro, faceva parte del cd. Gruppo COGNOME, ovvero di una serie di società, di cui una con sede nel territorio dello Stato ed altre localizzate all’estero , analogamente alla società contribuente, che facevano capo a NOME COGNOME il quale, per quanto emerso dalla verifica fiscale, oltre ad esserne socio al 50 per cento ne era anche l’amministratore di fatto;
-) che era infondata la dedotta violazione dell’art. 10 -bis, comma 6, della legge n. 212 del 2000, dettata in materia di abuso del diritto, che prescrive l’obbligo di preventiva richiesta di chiarimenti alla parte contribuente, in quanto l’avviso di accertame nto impugnato «non
cont alcuno degli elementi atto a connotarlo quale atto che accerta un abuso del diritto»;
-) che, infine, era infondata l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per omessa allegazione allo stesso degli atti in esso richiamati in quanto «l’accertamento impugnato riporta quanto indicato alle pagine da 20 a 24 del PVC che riproduc il contenuto essenziale dei questionari richiamati in modo puntuale ed esaustivo».
Avverso tale statuizione la società contribuente ed il COGNOME «nella pretesa qualità di ‘ rappresentante fiscale per soggetto non residente ‘», propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui non replica l’ intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la « nullità della sentenza impugnata per aver ritenuto non applicabile l’intervenuto giudicato esterno: violazione degli artt. 2908 e 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. di proc. civ.,; in relazione all’art 360 n. 3 cpc – Illogicità e inconciliabilità della motivazione -Violazione artt.36 e 61 D.Lgs.n.546/92; art.112 c.p.c.; art.118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art.360 n.4 c.p.c. – Violazione degli artt. 24, 97 Cost., art. 10 L. 212/2000, degli artt. 32 co. 2 DPR 600/73 e 51 co. 3 del DPR 633/72, dell’art. 145 c.p.c. e art. 60 DPR 600/73, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
1.1. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente escluso l’applicabilità del giudicato esterno costituito dalla sentenza 6619/2017 della CTP di Caserta che aveva annullato le sanzioni applicate alla società contribuente per omessa risposta all’invito a comparire, nonostante la stessa fosse stata emessa tra le stesse parti e avesse investito accertamenti di fatto e questioni di diritto identiche, perché scaturenti dal medesimo P.V.C. della Guardia di Finanza, non considerando che l’accertata illegittimità dell’indagine svolta dalla G.d.F., con conseguente nullità del p.v.c., spiegava i suoi effetti a tutti i
diversi tributi oggetto di accertamento e per tutti i periodi di imposta oggetto di verifica e, quindi, non solo con riferimento all’atto di contestazione delle sanzioni ma anche all’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio, essendo entrambi scaturiti da quel p.v.c.
1.2. Lamentano, altresì, la contraddittorietà della decisione d’appello che, da un lato, aveva affermato che la mancata concessione alla parte del termine di quindici giorni previsto per l’adempimento all’invito di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, non incideva, determinandone l’annullamento, sull’atto impositivo, non essendo l’amministrazione finanziaria vincolata ai dati raccolti con il questionario inviato al contribuente, sicché non era possibile applicare quel giudicato ; dall’altro, che quel termine era stato ampiamente rispettato. A tal riguardo, censura la sentenza impugnata anche per non aver rilevato che quel termine non era stato effettivamente rispettato, sia perché l’invito era stato notificato a soggetto non legittimato a riceverlo (nella specie, l’amministratore di fatto della società contribuente), sia per aver ritenuto che «il termine ‘adempimento’ previsto dall’art. 32 si riferisce a ‘ciò che il contribuente deve adempiere in forza dell’invito e non alle attività di competenza dell’Amministrazione che ‘invita’» (ricorso, pagg. 19 e 20).
Il motivo si prospetta complessivamente infondato.
2.1. Lo è sotto il profilo della dedotta contraddittorietà della motivazione non essendo ravvisabile alcuna inconciliabilità logica tra le due affermazioni contenute nella sentenza impugnata cui fa riferimento la ricorrente, posto che la prima affermazione (ovvero, che la mancata osservanza di quel termine non avrebbe comunque inciso sulla validità dell’atto impositivo successivamente emesso) è chiaramente rafforzativa dell’altra (ovvero, che quel termine nella specie era stato rispettato).
2.2. Lo è, altresì, con riferimento alla ritenuta non applicabilità del giudicato esterno.
2.3. È orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui «Nel processo tributario, l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardano tributi diversi, trattandosi di imposte strutturalmente differenti, anche se la pretesa impositiva è fondata sui medesimi presupposti di fatto» (Cass. n. 24416/2024).
2.4. Nella specie, infatti, il giudicato esterno che invocano i ricorrenti ha riguardato la sanzione irrogata alla società contribuente per il mancato rispetto del termine per l’adempimento alla richiesta di cui agli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, «con conseguente invalidità dell’atto» (come si afferma in quella sentenza), essendo evidente che tale affermazione era riferita alla richiesta e non agli altri atti (processo verbale di constatazione redatto dagli organi accertatori ed atto impositivo emesso dall’amministrazione finanzia ria), la cui legittimità è , all’evidenza, del tutto indipendente dal diverso procedimento previsto dalle citate disposizioni.
2.5. Infatti, le irregolarità connesse alle modalità di richiesta al contribuente di esibizione documentale o di invito del medesimo a comparire personalmente per fornire dati e notizie rilevanti, non incidono sulla legittimità delle successive attività di verifica ed eventuali atti impositivi adottati, ma comportano, al più, l’effetto di non far incorrere il soggetto sottoposto a verifica nella inutilizzabilità prevista dal comma 4 dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973 e dal comma 5 dell’art. 51 del d.P.R. 633/1972, dei dati, delle notizie e dei documenti specificamente richiesti e non forniti (Cass. n. 26133/2024; Cass. n. 16757/2021).
Con il secondo articolato motivo di ricorso si deduce la « Illegittimità della sentenza impugnata -Illegittimità dell’accertamento per nullità del p.v.c. su cui si fonda – Violazione art. 32 del DPR 600/73 e artt. 51, 52 DPR 633/72; art.24 L. 07/01/1929 n. 4 – violazione artt. 6, 10 e 12 L 212/2000 (plurime violazioni procedurali ad inizio e durante la verifica – violazione art. 145 c.p.c. e art. 60 DPR
600/73 (mancata partecipazione alla verifica della contribuente) Violazione art.2700 – Errata attribuzione di fede privilegiata a mere valutazioni di fatti, in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.. Nullità assoluta della sentenza per acritica motivazione per relationem alle difese dell’Ufficio, violazione artt. 36 e 61 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., dell’art. 32 del DPR 600/73 e degli artt. 51, 52 DPR 633/72, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. nonc hé all’art. 62 D.Lgs. 546/92, per motivazione apparente, con affermazioni apodittiche, non corrispondenti alla realtà ed ai fatti processuali»
3.1 I ricorrenti, replicando in parte le argomentazioni e le censure svolte nel primo mezzo di cassazione, sopra esaminato, lamentano che i giudici di appello:
avevano erroneamente ritenuto che la mancata partecipazione della contribuente all’attività di verifica fosse dipesa da responsabilità della stessa nonostante alla società contribuente o al soggetto legittimato a rappresentarlo non fosse mai stato consegnato o notificato alcunché (invito, foglio di servizio, ordine di accesso o verbale di verifica), né tanto meno il p.v.c. conclusivo;
-avevano attribuito valore fidefaciente all’affermazione contenuta nel p.v.c. in ordine al rifiuto del COGNOME di presenziare a qualsivoglia attività ispettiva, che non costituiva un fatto o un accadimento oggettivo ma mero giudizio circa l’assenza del Far ina, dagli accertatori qualificata come ‘rifiuto’;
avevano erroneamente ritenuto che il COGNOME fosse tenuto, in qualità di socio e di persona informata, a dare comunque riscontro anche negativo all’invito notificatogli il 05/11/2015;
avevano erroneamente ritenuto che fosse stato rispettato il termine previsto ex lege per l’adempimento al più volte ricordato invito a comparire;
-avevano omesso di pronunciarsi sull’eccepita nullità dell’accertamento in quanto fondato su un p.v.c. illegittimo per invalidità dell’invito a comparire, privo di motivazione ed avanzato senza il rispetto del termine minimo ad adempiere;
avevano erroneamente ritenuto, con riguardo alla contestata violazione del contraddittorio endoprocedimentale, che la notifica del p.v.c. fosse avvenuto regolarmente mediante deposito nella casa comunale, ovvero con le modalità previste per il rito degli irreperibili nonostante fosse nota la sede, sia legale che di fatto, della società contribuente, per poi contraddittoriamente sostenere che il p.v.c., privo di sottosc rizione della parte, era stato allegato all’avviso di accertamento con la conseguenza ch e la parte, una volta ricevuto l’atto, avrebbe potuto chiedere il termine di sessanta giorni per depositare memorie.
3.2. Sostengono, quindi, che la sentenza impugnata è nulla per grave vizio motivazionale, avendo riprodotto fedelmente (‘alla lettera’) le controdeduzioni in appello dell’Ufficio e per travisamento dell e prove.
Tale ultima censura, che è stata replicata dai ricorrenti anche negli altri motivi e da cui, pertanto, occorre muovere, è manifestamente infondata alla stregua del principio giurisprudenziale in base al quale «Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato» (Cass., Sez. U, n. 642/2015; conf. Cass. n. 29028/2022).
Infondate sono le censure relative agli effetti dell’invalidità dell’invito a comparire per le ragioni espresse nel primo motivo di ricorso, anche con riferimento al pure dedotto travisamento della prova. Ragioni che comportano il difetto di interesse della ricorrente ad impugnare la statuizione d’appello nella parte in cui ha ritenuto che fosse stato rispettato il termine previsto ex lege per l’adempimento al più volte ricordato invito a comparire che, peraltro, è anche questione coperta dal giudicato di cui la ricorrente ha invocato l’applicazione espansiva al presente giudizio. E comportano, altresì, l’irrilevanza delle questioni poste dalla ricorrente in ordine alla collaborazione che, secondo i giudici di appello, il COGNOME era comunque tenuto a prestare in qualità di socio e di persona informata (ovvero, di dare comunque riscontro anche negativo all’invito a comparire), mentre quelle ragioni privano la ricorrente dell’interesse ad impugnare la statuizione d’appello nella parte in cui ha ritenuto che fosse stato rispettato il termine previsto ex lege per l’adempimento al più volte ricordato invito a comparire che, peraltro, è anche coperto dal giudicato cui più volte si è fatto riferimento.
Manifestamente infondata è la censura di omessa pronuncia sull’eccepita nullità dell’accertamento in quanto fondato su un p.v.c. a sua volta illegittimo perché emesso a seguito di invito a comparire invalido. La sentenza impugnata, infatti, contiene un ‘ espressa pronuncia di rigetto del motivo fondato sul rilievo che «l’eventuale mancata osservanza del termine da parte dell’organo procedente non determina di per sé l’annullamento del successivo avviso di accertamento in quanto l’ufficio fiscale non è vincolato ai dati raccolti con questionario» (sentenza, pagg. 4 e 5).
Infondata è anche la censura posta nel motivo con riferimento al valore fidefaciente attribuito dai giudici di appello all’attestazione contenuta nel p.v.c. del rifiuto del COGNOME di presenziare a qualsivoglia attività ispettiva, oltre che di ritirare copia del p.v.c.
7.1. Si è detto che «In tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore» (Cass. n. 18420/2024).
7.2. A comprovare l’infondatezza della censura è qui sufficiente osservare che i ricorrenti non hanno nemmeno dedotto una ragione diversa dal rifiuto a giustificazione della mancata partecipazione del COGNOME alle operazioni di verifica o del mancato ritiro della copia del p.v.c. Fatti, questi ultimi, neppure contestati e che sono inequivocabilmente coperti dalla fede privilegiata del p.v.c.
Quanto alla regolarità della verifica effettuata con accesso presso la sede della società contribuente, va osservato, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che l’art. 33, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non prevede che le operazioni di verifica contabile, accesso o ispezione siano fatte in contraddittorio,
ma soltanto che tali operazioni siano compiute ‘ alla presenza di un responsabile della sede o dell’ufficio o di un suo delegato’ (Cass. n. 27060/2007), mentre in materia di IVA, il termine ‘rappresentante’ utilizzato nell’ art. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, indica semplicemente la persona addetta all’azienda o alla casa, non implicando un potere di rappresentanza in senso tecnico-giuridico in capo alla stessa (Cass. n. 6351/2008). In tale disposizione si precisa, poi, che nel verbale d ev’essere fatta menzione del motivo della mancata sottoscrizione.
8.1. Ne consegue l’infondatezza della censura in esame posto che al l’accesso dei verificatori era presente un soggetto legittimato, tale dovendosi considerare il COGNOME, socio della società contribuente, che nel p.v.c. viene individuato quale ‘rappresentante fiscale’ della società estera, peraltro in quel frangente assistito da propri consulenti, come si legge nella sentenza impugnata (pag. 6) che al riguardo trascrive il contenuto del p.v.c.
8.2. Al riguardo, se si considera che questa Corte, sulla base dei principi sopra enunciati, ha ritenuto legittimato a sottoscrivere il verbale di accesso il professionista incaricato della tenuta delle scritture contabili, dovendosi considerare il predetto professionista mandatario del contribuente investito di un onere di collaborazione con l’ente verificatore (cfr. Cass., Sez. 5, n. 31620 del 04/11/2021, Rv. 662789 01), allora è ben evidente l’infondatezza della censura in esame.
La censura sollevata nel motivo di ricorso in esame con riferimento alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale va esaminata congiuntamente al terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti deducono la « Illegittimità dell’accertamento – Notifica ‘ ante tempus ‘ -Illegittimità della sentenza – violazione art. 41 Carta diritti fondamentali Unione europea – necessità di un effettivo diritto al contraddittorio. Non necessaria la prova di resistenza perché trattasi di contraddittorio previsto specificamente dall ‘ art. 12 co. 7 L 212/2000 trattandosi di
verifica con accesso. Difetto assoluto di motivazione V iolazione artt. 36 e 61 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., dell ‘ art. 12 comma 7 L. 212/2000, in relazione all ‘ art. 360 nn 3 e 4 c.p.c.».
9.1. I ricorrenti lamentano che i giudici di appello, con motivazione erronea e contraddittoria, hanno rigettato l’eccezione di difetto di contraddittorio endoprocedimentale ritenendo che spettasse ai contribuenti fornire la prova di resistenza, benché si vertesse in ipotesi di ‘verifica sostanziale’, effettuata con accesso nei locali dell’azienda , da cui conseguiva la necessità di rispettare il termine dilatorio dalla consegna o notifica del processo verbale di constatazione, che però nella specie sostanzialmente non era mai stata effettuata essendo del tutto invalida quella effettuata dalla G.d.F . con le modalità di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973.
9.2. Le censure sono fondate e vanno accolte.
9.3. La CTR, esaminando il motivo di appello con cui la società contribuente aveva dedotto la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, per essere stato emesso l’avviso di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio previsto da tale disposizione, ha affermato:
che nel p.v.c. risultava (a pag. 37) che « Il presente atto viene redatto in 4 esemplari di cui uno viene consegnato alla parte mediante affissione all’albo comunale di San Prisco » sicché doveva ritenersi valida la notifica fatta con il rito degli irreperibili nella specie applicabile «in forza della considerazione che la RAGIONE_SOCIALE è una società esterovestita con sede legale nella Repubblica Ceca, Praga 1 ma, di fatto, con sede in San Prisco (CE), INDIRIZZO» (sentenza, pag. 8);
che «ad ogni buon conto», il p.v.c. era stato portato a conoscenza della società contribuente mediante allegazione all’avviso di accertamento, regolarmente notificato, senza che la stessa avesse
invocato, «in quel momento», la mancata conoscenza dell’atto e il termine dilatorio per depositare proprie memorie;
che questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 24823/2015 era ritornata sulla questione «disconoscendo l’esistenza di tale principio nel diritto italiano, salvo fattispecie normativamente regolate»;
che «in altri termini, chi eccepisce il difetto di contraddittorio deve dimostrare che (se vi fosse stato) egli avrebbe introdotto elementi idonei a ribaltare le valutazioni», ma «A tale prova il contribuente non ha in alcun modo ottemperato».
9.4. Nessuna di tali affermazioni, tutte puntualmente censurate dai ricorrenti, è condivisibile in quanto fatte in insanabile contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di notificazione degli atti agli irreperibili ed in materia di contraddittorio endoprocedimentale a seguito di accesso, ispezioni e verifiche ‘in loco’.
9.5. Il processo verbale di constatazione, la cui redazione è prevista dall’art. 24 della legge n. 4 del 1929, secondo cui « Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale», se non è consegnato alla parte, dev’essere a quest’ultimo notificato con le modalità previste dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui «La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile», con le modifiche previste dalla medesima disposizione nelle lettere da a) a f) del comma 1.
9.6. La lettera e) disciplina l’ipotesi di irreperibilità del contribuente stabilendo che «quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione».
9.7. Essendo stata questa la modalità utilizzata nella specie dalla G.d.F. per procedere alla notifica del p.v.c., se ne deve desumere l’assoluta invalidità, posto che nella concretezza della fattispecie era ben nota la sede legale della società contribuente, situata nella Repubblica Ceca, e era altrettanto ben nota anche la sede situata nel territorio nazionale, avendovi la G.d.F. acceduto per effettuare la verifica, ancorché la notifica andasse comunque effettuata presso la sede legale della società.
9.8. Non sussisteva, quindi, la condizione per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 60, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973, ovvero l’irreperibilità assoluta del destinatario dell’atto.
9.9. Trattandosi di società con sede legale estera, in mancanza (come nella specie) della comunicazione, al competente ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, dell’indirizzo estero per la notificazione (in questo caso a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento) degli avvisi e degli altri atti che lo riguardano, ai sensi della lett. e-bis) , del citato art. 60, andava fatta applicazione del disposto di cui al comma 4 dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973 che prevede che « Salvo quanto previsto dai commi precedenti ed in alternativa a quanto stabilito dall’articolo 142 del codice di procedura civile, la notificazione ai contribuenti non residenti é validamente effettuata mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o a quello della sede legale estera risultante dal registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile. In mancanza dei predetti indirizzi, la spedizione della lettera raccomandata con avviso di ricevimento é effettuata all’indirizzo estero indicato dal contribuente nelle domande di attribuzione del numero di codice fiscale o variazione dati e nei modelli di cui al terzo comma, primo periodo. In caso di esito negativo della notificazione si applicano le disposizioni di cui al primo comma, lettera e)».
9.10. Disposizione, questa, che nel caso in esame è stata del tutto disattesa.
Da quanto detto discende l’invalidità della notifica del processo verbale di constatazione effettuata mediante affissione all’albo comunale del luogo in cui si trovava la sede italiana della società estera e, da ciò, il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni che, in forza dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, deve intercorrere tra la data di consegna o notifica del p.v.c. e l’emissione dell’avviso di accertamento , nella specie, invece, portato a conoscenza della società contribuente unitamente all’avviso di accertamento, questo correttamente notificato presso la sede legale estera della società.
10.1. Il comma 7 dell’art. 12 citato prevede che «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
10.2. La giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata nel ritenere che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce
primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio> (Cass., Sez. U, n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474 – 01; conf. Cass. 30/10/2018, n. 27623; Cass. 23/07/2020 n. 15843; Cass., 20/07/2023 n. 21517; Cass. 25.7.2022, n. 23223).
10.3. A ciò aggiungasi che il principio affermato da Cass. 15/01/2019 n. 701, secondo cui «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio», sconfessa palesemente l’assunto sostenuto dalla CTR nella sentenza impugnata, secondo cui, da un lato, era onere della parte contribuente chiedere, successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento con allegato il p.v.c., il termine di sessanta gi orni per produrre eventuali memorie e, dall’altro, che nel
caso di specie la società contribuente non aveva fornito la cd. prova di resistenza.
10.4. Pare opportuno, infine, rilevare che nel caso in esame non risulta né prospettata né tanto meno dimostrata dall’Agenzia delle entrate, su cui incombeva il relativo onere (Cass. n. 21517 del 2023), né accertata dal giudice di merito la sussistenza di una specifica e valida ragione di urgenza idonea a giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio di cui al più volte citato art. 12, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. Cass. n. 29987 del 2022, secondo cui «In tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la legittimità dell’emissione dell’avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio, di cui all’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, richiede specifiche ragioni di urgenza, a tutela dal pericolo di compromissione del credito erariale, secondo un giudizio prognostico “ex ante”, relazionato cioè ad elementi o fatti emergenti in epoca anteriore e non posteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento, la cui sussistenza deve essere dimostrata dall’amministrazione finanziaria e vagliata dall’organo giudicante»).
10.5. E a tal fine non è certo sufficiente la circostanza, rinvenibile nella sentenza impugnata (pag. 11), che «l’atto impositivo rappresenta l’esito di una verifica sostanziale effettuata dalla G.d.F. di Caserta in data 4/11/2015, a seguito del procedimento penale n. 22617/13/21 incardinato presso la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere». Invero, secondo i giudici di appello tale procedimento penale avrebbe fatto soltanto da innesco alla verifica fiscale, pertanto da ciò non può ricavarsi alcuna ragione di urgenza, ovvero di compromissione del credito erariale, tale da giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento ante tempus .
Conclusivamente, quindi, dalla palese violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, consegue l’invalidità dell’avviso di accertamento impugnato.
12. Ciò comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi di ricorso.
12.1. Del quarto motivo, con cui i ricorrenti deducono la « Illegittimità della sentenza impugnata per falsa applicazione art. 73 TUIR – Illegittimità ed infondatezza della contestata esterovestizione della EGR sro in assenza di presupposti così come da ultimo interpretato dalla sentenza n. 33234/2018 (c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE‘) di codesta Ecc.ma Corte, in violazione, altresì, dell’art. 53 Cost., dell’art. 49 del TFUE , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., dell’art. 73 DPR 917/86 dell9art. 49 del TFUE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. n. 4 c.p.c. per motivazione apparente, con affermazioni apodittiche, non corrispondenti alla realtà ed ai fatti processuali. Violazione di legge in relazione agli artt.41 e 41bis DPR 600/73, art. 24 e 25 D.Lgs. 446/97 e artt. 7 e 55 DPR 633/72, all9art. 73 DPR 917/86, e agli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., per assenza dei presupposti all’accertamento e per vizio del ragionamento presuntivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 », lamentando:
la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la CTR, dopo aver ritenuto sussistente l’esterovestizione della società sulla base di un indimostrato ‘ vantaggio tributario altrimenti non ottenibile ‘, esclude che nella specie ricorresse un’ipotesi di abuso del diritto ex art. 10 -bis della legge n. 212 del 2000 sul rilievo che l’accertamento si presentava « privo degli elementi essenziali costituiti dalle indicazioni della ‘ condotta abusiva delle norme o dei principi elusi, degli indebiti vantaggi fiscali realizzati ‘»;
-la nullità della sentenza d’appello per avere «falsamente ritenuto la sede della ricorrente nella Repubblica Ceca effettiva e operativa come risultante dal bilancio neanche contestato, una ‘ struttura fittizia ‘ e l’ha quindi erroneamente ritenuta esterovestita»;
la nullità della sentenza impugnata «in quanto recepisce alla lettera le controdeduzioni dell’Ufficio, ricopiandole alla virgola, senza dare conto delle ragioni logico giuridiche dell’aver ritenuto condivisibile tale acritico recepimento rispetto alle argomentate e soprattutto documentate contestazioni della contribuente»;
-l’errore in cui erano incorsi i giudici di appello per aver ritenuto, in assenza dei presupposti all’accertamento e con non corretto ragionamento presuntivo, la presunta esterovestizione della società contribuente, in realtà inesistente, stante la pluralità di elementi contrastanti offerti in giudizio «con particolare riguardo ai certificati ove risulta la residenza nella Repubblica Ceca della Società, il certificato ove risulta la residenza e domicilio all’estero del sig. NOME COGNOME con iscrizione all’AIRE mai contestato, il Bilancio estero della Società che dimostra gli ingenti investimenti di capitale nella sede estera e la reale struttura operativa all’estero»; prove, analiticamente elencate nel ricorso, che la ricorrente sostiene anche essere state travisate dai giudici di appello.
12.2. Del quinto motivo, con cui è dedotta la « Illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 10 bis L 212/2000 – omessa richiesta chiarimenti con violazione artt. 24, 53, 97 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché all’art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992. Nullità della sentenza per motivazione oltre che erronea intrinsecamente contraddittoria e con affermazioni inconciliabili tra loro, con violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. n. 4 c.p.c., nonchè all’art. 62 D.Lgs.546/92 ».
12.3. Motivo in cui i ricorrenti sostengono che la sentenza sarebbe contraddittoria là dove richiama il comma 8 dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000 sostenendo che l’atto impositivo con riferimento a fattispecie di abuso del diritto deve essere specificamente motivato, a
pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti eventualmente forniti dal contribuente e, dall’altro, che nel caso di specie l’avviso di accertamento non conteneva « alcuno degli elementi atti a connotarlo quale atto che accerta un abuso del diritto ».
12.4. Del sesto motivo, con cui è dedotta la « Illegittimità della sentenza impugnata – omessa allegazione atti richiamati non conosciuti (documenti di terzi p.v.c. RAGIONE_SOCIALE e questionari e risposte a clienti) -Violazione art.42 DPR 600/73, in relazione all’art. 360, co.1 n. 3 c.p.c. ».
12.5. Motivo con cui i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere « ritenuto legittimo l’accertamento motivato per relationem ad atti istruttori effettuati nei confronti di alcuni clienti, senza aver dato la possibilità alla contribuente di visionare i verbali con le trascrizioni integrali di tali dichiarazioni, richiesti dalla ricorrente nell’esercizio del proprio diritto di difesa, atteso che dall’integrale lettura degli stessi sarebbero emersi elementi favorevoli che avrebbero confermato l’effettiva operatività all’estero della Società e la mera consegna delle auto in Italia per alcun clienti, non sintomatica di esterovestizione della Società».
13. In estrema sintesi, vanno accolti il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, ed il terzo, rigettato il primo ed assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, la causa va decisa nel merito, ex art. 384, secondo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con accoglimento dell’originario ricorso de i contribuenti . L’esito del giudizio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, ed il terzo, rigettato il primo ed assorbiti gli altri. Cassa la
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso de i contribuenti. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma nell’udienza pubblica del 25 marzo 2025