Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12809 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12809 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 15811/2024, proposto da:
NOME COGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, rappresentata e difesa, per delega unita al ricorso, dagli Avv.ti COGNOME e NOME COGNOME domiciliata presso il loro indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 390/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, depositata il 6 febbraio 2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate notificò a Le COGNOME di COGNOME Sara RAGIONE_SOCIALE. un avviso di accertamento con il quale, a seguito di articolate indagini sulla movimentazione bancaria dei soci e di loro familiari, recuperava a tassazione maggiori redditi per l’anno di imposta 2009 a fini Irap, Ires e Iva; per le rispettive quote di partecipazione furono notificati i relativi avvisi alla socia accomandataria NOME COGNOME e al socio accomandante NOME COGNOME.
Gli furono tutti impugnati presso i giudici territorialmente competenti; in particolare, NOME NOME COGNOME erede di NOME COGNOME, impugnò l’avviso notificato al proprio dante causa , concernente il suo reddito da partecipazione, innanzi alla Corte di giustizia tributaria di Milano, che respinse il ricorso.
Successivamente, la medesima depositò atto di intervento volontario nel giudizio che pendeva innanzi alla stessa Corte, relativo alla società ed a NOME COGNOME; detto giudizio si concluse poi con declaratoria di estinzione nei confronti delle originarie parti private, sul rilievo del fatto che, nelle more, la società aveva definito la pendenza mediante sanatoria ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018.
La COGNOME appellò detta sentenza lamentando che i giudici non si erano pronunciati sui motivi del ricorso presentato dalla società, come da lei richiesto in sede di intervento, e che, pertanto, gli effetti della pretesa creditoria sarebbero ricaduti solo su di lei, che aveva scelto di non aderire alla sanatoria.
Con la sentenza indicata, la Corte di Giustizia tributaria della Lombardia ha respinto l’appello, osservando, per quanto in questa sede ancora di interesse, che la doglianza della contribuente relativa alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale era infondata, poiché agli atti del fascicolo di primo grado vi era prova di numerosi incontri che si erano tenuti tra le parti, nel corso dei quali la società avrebbe ben potuto produrre i documenti che peraltro, nel corso del giudizio, avevano poi portato alla riduzione in autotutela della pretesa.
Detta sentenza è stata impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il 22 ottobre 2024 la Consigliera delegata della Sezione tributaria ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.; la ricorrente ha depositato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 -bis , comma secondo, cod. proc. civ.; è stata così fissata udienza camerale per la discussione, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
L’unico mezzo di impugnazione denunzia violazione dell’art . 12, comma 7, della l. n. 212/2000, nel testo vigente ratione temporis .
La ricorrente osserva di aver eccepito la violazione della norma evocata fin dall’instaurazione del contenzioso, sul rilievo del fatto che , al termine della verifica prodromica all’accertamento , non era stato redatto alcun verbale di chiusura delle operazioni mentre, in realtà, dalla lettura degli atti risultava che le operazioni si erano concluse il 10 ottobre 2014 e l’atto impositivo era stato sottoscritto il 5 dicembre successivo.
Ha rilevato inoltre -quanto alla prova di resistenza, resa necessaria dal fatto che si verteva in ipotesi di accertamento ‘a
tavolino’ con ripresa anche a fini Iva -che la società, in sede di successivo accertamento con adesione, aveva prodotto alcuni documenti all’Ufficio, il quale aveva poi ridotto la propria pretesa in autotutela.
Il motivo non è fondato.
2.1. Com’è noto, e come la giurisprudenza di questa Corte afferma da tempo (v. Cass., Sez. U, n. 24823/2015 e numerose altre seguenti), l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, a pena di nullità dell’atto impositivo, per i soli tributi armonizzati, e sempreché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Al di fuori di tale perimetro -e fino all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 219/2023, che ha inserito nella l. n. 212/ 2000 l’art. 6bis in tema di contraddittorio preventivo, ma che non si applica ai fatti di causa ratione temporis -non sussiste alcun obbligo sanzionabile a carico dell’Ufficio.
2.2. Di tanto, del resto, appare ben cognita la ricorrente, la quale sostiene però che, nel caso di specie, occorrerebbe aver riguardo al fatto che l’accertamento svolto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE concerneva anche l’Iva.
Questa Corte, al riguardo, ha tuttavia affermato che, in tema di accertamento verso la società in ordine a ricavi non contabilizzati, il termine dilatorio di cui all’ art. 12, comma 7, non opera anche nei confronti del socio
La posizione di quest’ultimo, infatti, è autonoma rispetto a quella della società e tale rilievo non risulta scalfito dal fatto che l’ esistenza dell’ accertamento a carico della società in ordine a ricavi non
contabilizzati costituisce il presupposto per l’accertamento nei confronti dei soci, sulla base della presunzione di distribuzione di utili extracontabili (v. Cass. n. 18854/2020; Cass. n. 18383/2020).
3. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La contribuente va inoltre condannata, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamati dall’art. 380bis cod. proc. civ., al pagamento delle ulteriori somme pure liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito , oltre ad € 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., e ad € 1.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025.