Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15399 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15399 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 35771-2018 R.G., proposto da:
COGNOME America , cf CODICE_FISCALE elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. –
Resistente
Avverso la sentenza n. 4343/02/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, depositata l’8 maggio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 12 marzo 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Accertamento -Analiticoinduttivo – Contraddittorio – Motivazione
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò ad NOME COGNOME esercente attività di vendita ambulante di prodotti alimentari, l’avviso d’accertamento, con cui, in riferimento all’anno d’imposta 2011, rideterminò l’imponibile ai fini Irpef, Irap e Iva, pretendendo il versamento dell’importo complessivo di € 58.211,53 comprensivo di imposte, interessi e sanzioni.
La controversia introdotta dalla contribuente con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino esitò nella sentenza n. 545/04/2016, con l’accoglimento parziale delle ragioni della COGNOME. L’appello con cui la stessa instava per l’annullamento integrale dell’atto impositivo fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, con sentenza n. 4343/02/2018. Il giudice regionale, dopo aver respinto l’eccepita violazione del contraddittor io nella fase endoprocedimentale, ha ritenuto infondate, quando non inammissibili per difetto di specificità, le ulteriori censure mosse alla pronuncia di primo grado, rilevando che, al contrario di quanto denunciato dalla contribuente, la decisione appell ata aveva riconosciuto come l’accertamento fosse fondato non solo sullo scostamento del reddito dichiarato dalle risultanze degli studi di settore, ma sugli ulteriori elementi esplicitati in sentenza. Ha poi evidenziato che l’appello non fosse fondato su c ritiche specifiche, limitandosi a reiterare le istanze già proposte in primo grado, senza evidenziare gli errori della decisione appellata. Ha pertanto concluso con la conferma delle prime statuizioni.
Con quattro motivi la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza . L’Agenzia ha depositato un a irrituale comparsa di costituzione, per la sola ipotesi di eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
All’esito dell’adunanza camerale del 12 marzo 2025 la causa è stata decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La contribuente ha denunciato con il primo motivo la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000 e del 37 bis dpr n. 600/1973 nonché violazione dell’art. 21 septies legge 241/90, art. 3 e 7 comma 1 l. 212/2000 all’art. 10 co. 3 bis della legge 146/98 e violazione del diritto comun itario, in relazione all’art. 360 comma 1 c.p.c. n. 3 ». Il giudice
regionale avrebbe violato le regole endoprocedimentali poste a garanzia del contraddittorio anticipato tra le parti.
Il motivo è infondato. Intanto, per quanto emerge dallo stesso contenuto del ricorso, nella parte introduttiva dedicata alla ricostruzione della vicenda (in particolare pag. 3), l’accertamento per cui è causa non trae i suoi esiti dagli studi di settore, ma da una molteplicità di elementi utilizzati dal l’Amministrazione (comprese le risultanze dell’adeguato studio di settore) per rideterminare induttivamente il reddito della contribuente.
Ciò chiarito, sul contraddittorio endoprocedimentale questa Corte ha affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali la giurisprudenza di legittimità afferma che solo per i tributi “armonizzati” l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endo-procedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli “non armonizzati” non è invece rinvenibile nella legislazione nazionale un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823). Si tratta di un orientamento ormai consolidato, secondo la legislazione ratione temporis vigente, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, e al quale anche questo collegio intende dare continuità.
Dal perimetro dell’obbligo del contraddittorio restano dunque fuori le imposte non armonizzate, salvo una espressa prescrizione legislativa e, quanto all’iva e a quelle armonizzate, le fattispecie in cui il contribuente non superi la prova di resistenza, ossia quando sia evidente che le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endo-procedimentale -qualora attuatonon avrebbero comunque determinato l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo, rivelandosi pertanto meramente dilatorie. Il che, può aggiungersi, non vuol significare che alle parti del procedimento amministrativo (Amministrazione e contribuente) debba richiedersi nella fase endo-procedimentale capacità di critica e valutazione delle complessive allegazioni documentali, pari a quelle demandate all’organo giudiziario in sede processuale, ma che la serietà e pertinenza delle allegazioni del contribuente,
qualora vagliate dall’Amministrazione finanziaria all’esito della verifica e prima della notificazione dell’atto impositivo, avrebbero potuto incidere sul se e sul contenuto di questo, se celebrato il contraddittorio. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE).
Nel caso di specie gli elementi evidenziati dalla difesa della contribuente non erano altro che finalizzati ad una contrapposizione generale nella ricostruzione della vicenda fattuale, che certamente non assumeva rilievo nella fase endoprocedimentale, al fine della desistenza o parziale desistenza dell’amministrazione finanziaria dalla contestazione del maggior reddito.
Con il secondo motivo la contribuente ha denunciato la «Nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cpc ». Il giudice d’appello avrebbe omesso di scrutinare le molteplici circostanze di fatto introdotte dall’appellante, che erano state oggetto di discussione tra le parti.
Anche questo motivo è infondato.
In disparte un difetto di specificità, perché, nelle pur lunghe difese, la contribuente non individua partitamente quali fossero e dove fossero riportate negli atti d’appello le molteplici circostanze a cui fa invece qui richiamo in modo generico (ad eccezione della affermata e non dimostrata maggiore superficie del magazzino), ciò a cui avrebbe potuto provvedere anche mediante riproduzione di stralci degli atti, non risponde neppure al vero che la sentenza non si sia pronunciata.
Il giudice regionale, dopo aver evidenziato la genericità dell’atto d’appello, nega che l e contestazioni erariali sulla antieconomicità dell’attività esercitata dalla Sabbatino fossero solo ancorate al mero scostamento delle percentuali di ricarico desunte dagli studi di settore, e si richiama agli esaustivi argomenti del giudice di primo grado, apprezzando soprattutto l’operazione di riduzione delle pretese erariali operata dalla commissione provinciale, dopo averla definita come una ‘falcidia del ricarico , operata in prime cure’. Con ciò si riferisce all’accoglimento parziale del ricorso della contribuente, con cui la commissione provinciale aveva ritenuto di ridurre al 12% il ricarico preteso invece dall’Agenzia nella misura del 16%,
evidentemente apprezzando in parte i motivi d’impugnazione dell’atto impositivo.
La sentenza del giudice regionale non può pertanto ritenersi viziata da omessa motivazione.
Con il terzo motivo la contribuente ha denunciato l’«omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 c.p.c. n. 5». La Commissione regionale non avrebbe dedicato alcuna parola in motivazione in ordine alle circostanze evidenziate negli atti ed in corso di causa.
Il motivo è inammissibile sia perché si riportano soprattutto stralci dell’atto introduttivo e del giudizio di primo grado, sia per come è articolato il vizio di motivazione.
Con la formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito della legge 7 agosto 2012, n. 134, nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, e al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
RGN 35771/2018 Consigliere rel. NOME Si è più nello specifico affermato che la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientra nella sfera di discrezionalità del giudice di merito
il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie – sempreché la o le risultanze non considerate partitamente non siano tali da condurre ad una diversa decisione – dovendo solo fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.
In realtà nel caso di specie il motivo sottende una richiesta di rivalutazione del quadro probatorio, che tuttavia è inammissibile in sede di legittimità.
Con il quarto motivo la contribuente ha denunciato la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 600/73, in relazione agli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.». La pronuncia sarebbe errata, laddove avrebbe apprezzato l’antieconomicità dell ‘attività, nonostante l’assenza di elementi anomali indicativi della possibile antieconomicità.
Il motivo è altrettanto inammissibile, perché, al di là della formale denuncia di un errore di diritto, intende sottoporre al giudice di legittimità questioni di merito in relazione alla contestata antieconomicità dell’attività economica, non tenendo peraltro neppure conto che nella stessa ricostruzione della vicenda il ricorso della contribuente richiama la pluralità di anomalie che erano state evidenziate in sede di verifica e non solo l’anomala condotta imprenditoriale antieconomica.
In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese non vanno regolate, attesa la irrituale costituzione dell’ufficio.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del 12 marzo 2025