Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26969 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26969 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Oggetto: Tributi Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
ACCERTAMENTI BANCARI
2014
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 8920 del ruolo generale dell’anno 20 21, proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente principale –
Contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME (PEC: EMAIL, giusta procura speciale a margine
del contro ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME, in INDIRIZZO
-Controricorrente e ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza n. 4112/07/2020 della Commissione tributaria regionale della Campania depositata in data 21/09/2020, non notificata;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1. Dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa si evince, in punto di fatto, che:1) previo p.v.c. della G.d.F. del 26.1.2017 nei confronti della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME‘, l’Agenzia delle entrate notificava in data 19 giugno 2017, a NOME COGNOME avviso di accertamento con il quale, ai sensi degli artt. 32 del DPR n. 600/73 e 52 del DPR n. 633/72 imputava a maggiori ricavi, ai fini Irpef, Irap e Iva, per il 2014, le movimentazioni risultate ingiustificate su due conti correnti bancari e due conti postali, irrogando anche le relative sanzioni; 2) avverso il suddetto avviso, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta deducendo: a) la violazione del d.lgs. n. 82/2005 (CAD) non essendo verificabile la conformità della copia cartacea ricevuta all’originale informatico archiviato nel sistema di gestione docume ntale dell’Agenzia e mancando il contrassegno digitale; b) la mancanza del provvedimento autorizzatorio delle indagini della G.d.F.; c) la mancanza di sottoscrizione e di delega in violazione dell’art. 42 del DPR n. 600/73; d) la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale; e) nel merito, la titolarità di un solo conto postale in luogo dei due indicati nell’avviso di accertamento; la non imputabilità a ricavi di prelevament i inferiori a 1.000,00 giornalieri e a 5.000,00 mensili; la pertinenza delle movimentazioni alle spese familiari e all’attività lavorativa (di cui a fatture emesse per complessivi euro 125.928,00); erroneità della percentuale di redditività applicata nella misura del 15%; 3) la CTP di Caserta, con sentenza n.
3949/05/2018, rigettava il ricorso; 4) avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la contribuente riproponendo le argomentazioni spiegate in primo grado; 5) resisteva con controricorso l’Ufficio chiedendo la conferma della decisione di prime cure; 6) con sentenza n. 4112/07/2020, la CTR della Campania accoglieva il gravame della contribuente limitatamente alla ripresa ai fini Iva.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR nell’accogliere parzialmente l’appello della contribuente annullando l’avviso relativamente alla sola ripresa ai fini Iva – ha affermato che: 1) era infondata la doglianza relativa all’assunta violazione dell’art. 23 del CAD atteso che l’atto analogico consegnato alla contribuente conteneva espressamente la dichiarazione di conformità oggetto di possibile querela di falsoall’atto informatico originale mentre era irrilevante la mancanza del codice QR non previsto a pena di invalidità dell’atto; 2) qua nto all’assunta violazione del contraddittorio endoprocedimentale, richiamati i principi espressi in materia, ex multis, da Cass, sez. un. n. 24823 del 2015, Cass. n. 7019 del 2019 ( recte: n. 701 del 2019), nella specie, si era proceduto ad accesso, ispezione, verifica e non a controllo c.d. ‘ a tavolino ‘ , per cui relativamente all’Iva, in assenza di contraddittorio, doveva essere dichiarata la nullità ex art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente; 3) l’autorizzazione alla Gdf a procedere da parte del l’Autorità Giudiziaria non costituiva un requisito di validità dell’avviso; 4) nel merito, quanto alla supposta erronea percentuale di redditività applicata, la doglianza era inammissibile non avendo la contribuente indicato quale fosse il vizio nel riferimento alla specifica categoria merceologica adoperata; inoltre, la documentazione allegata alla memoria depositata in primo grado, ‘ non appariva di provenienza certa, apparteneva a contabilità irregolare e risultava priva di efficacia dimostrativa ‘ (ad es. non risultavano certi i trasferimenti delle auto, i relativi importi e il collegamento tra acquisti e relative vendite).
Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo.
Resiste, con controricorso la contribuente spiegando ricorso incidentale articolato in otto motivi.
CONSIDERATO CHE
1.Con l’unico motivo del ricorso principale, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 per avere la CTR annullato l’avviso di accertamento relativamente alla ripresa, ai fini Iva, in quanto l’Amministrazione aveva omesso di espletare il contraddittorio preventivo obbligatorio nel caso di tributi armonizzati (Iva), nell’ipotesi di accesso, ispezione e verifica, a prescindere dall’assolvimento della c. d. prova di resistenza; ciò sebbene, in base ai principi enunciati da Cass. sez. un. n. 24823 del 2015, non sconfessati da Cass. n. 701 e 702 del 2019, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale (escluso per gli accertamenti relativi ai tributi non armonizzati salvo le ipotesi previste ex lege ) sussistesse sempre con riguardo ai tributi armonizzati (Iva) condizionatamente all’assolvimento da parte del contribuente dell’onere della c.d. prova di resistenza (ovvero all’esposizione d i argomentazioni, non pretestuose, che avrebbe potuto fare valere nel caso di contraddittorio preventivo tempestivamente attivato) fatte salve le ipotesi (come quella di violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, cit. ove non motivata da ragioni di urgenza) di previsione da parte del legislatore della nullità dell’avviso per mancata integrazione del contraddittorio con presunzione, a prescindere dalla prova di resistenza, di una lesione del diritto di difesa del contribuente a causa di tale omissione. Nella sentenza impugnata, ad avviso dell’Agenzia, il giudice di appello avrebbe esteso del tutto erroneamente l’ipotesi di nullità prevista dall’art. 12, comma 7, cit. alla omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale non limitandone l’applicazione all’ipotesi di mancato rispetto del termine dilatorio previsto dalla norma (nella specie, pacificamente non violato essendo stato il p.v.c. redatto il 26 gennaio 2017 e l’avviso di accertamento notificato il 19 giugno 2017) e non pretendendo, esclusa
la violazione del detto termine dilatorio, l’assolvimento della c.d. prova di resistenza, per verificare l’effettiva lesione del diritto di difesa.
1.1.Il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate.
1.2. Occorre premettere che, nella vicenda in esame, come si evince dalla sentenza impugnata, l’ accertamento in questione ‘partito a seguito di verifica della G.d.F. di cui al p.v.c. del 26.1. 2019 (recte: 2017) nei confronti della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al fine di acquisire la documentazione attinente all’attività di impresa, è sfociato nella contestazione di maggiori ricavi, in applicazione della presunzione legale degli artt. 32 del DPR n. 600 del 1973 e 52 del DPR n. 633 del 1972, stante la emersa mancata corrispondenza tra le movimentazioni di due conti correnti e due conti postali ascritti alla contribuente e la documentazione contabile acquisita nel corso della detta verifica.
1.3. Ciò posto, essendo stato l’accertamento in questione condotto non solo a tavolino (quanto alle indagini finanziarie) ma a anche a seguito di verifica fiscale nei locali della ditta individuale (‘si è proceduto ad accesso, ispezione e verifica’), non possono trovare applicazione i principi enunciati da questa Corte con riferimento ai soli accertamenti bancari secondo cui in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti ( ex multis , Sez. 5, Ordinanza n. 34209 del 20/12/2019).
1.4. In generale, va premesso che il presupposto di applicabilità del complessivo statuto di diritti e di garanzie contemplato dall’art. 12 della legge n. 212 del 2000, compresa l’applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni su cui pure
la contribuente si sofferma, è dato dall’accesso, dall’ispezione o dalla verifica nei locali aziendali, in quanto il complesso di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’Amministrazione alla situazione, come delineata dagli elementi raccolti dall’Ufficio giustappunto grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali (in termini, Cass. n. 8439 del 2017; n. 13588 del 2014; nn. 7957 e 7958 del 2014; n. 8399 del 2013; n. 27200 del 2013); ne consegue che le garanzie in questione sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica nei locali, e non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento (Cass. 26 settembre 2012, n. 16354); né diritti e garanzie sono operativi se l’Amministrazione si avvale di verifiche compiute nei confronti di terzi (Cass. 13 novembre 2013, n. 25515). In particolare, quanto all’iva, anche la giurisprudenza che fa leva sull’art. 52, 6° co., del d.P.R. 633/72 specifica che la norma prescrive la necessità di redazione di apposito verbale qualora l’accesso vi sia stato, pena la violazione del diritto del contribuente di presentare apposite memorie difensive entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione (Cass. 11 settembre 2013, n. 20770; conf., ord. 29 settembre 2016, n. 19331).
1.5.In questo contesto, le sezioni unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823; conf., 30 dicembre 2015, n. 26117) hanno stabilito che, per i tributi armonizzati come l’Iva, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto(tra la successiva
giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017); l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale è stato escluso, relativamente ai tributi non armonizzati, solo per gli accertamenti cd. a tavolino e, cioè, per quelli derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (Cass. n. 998 del 2018).
1.6.Nelle sentenze n. 701 e 702 del 2019, la Corte ha espresso i condivisibili principi secondo cui « 1) l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità».
1.7.Questa Corte ha anche precisato che « se il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per le imposte armonizzate, ciò tuttavia non implica l’insorgenza di un obbligo dell’Agenzia delle entrate di ‘audizione’ del contribuente, cioè un obbligo di convocazione, soprattutto se mancano del tutto i presupposti da cu i l’organo accertatore possa evincere l’intenzione del contribuente di contraddire sugli esiti della verifica. Il momento di attuazione del contraddittorio trova più facile identificazione nel realizzarsi della fattispecie
prevista dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, ossia nel diritto del contribuente, entro sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, di comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dall’ufficio impositore » (Cass., sez. 5, n. 8472 del 2023).
1.8.Alla luce di quanto sopra, nella specie, trattandosi come si evince dalla sentenza impugnata di un accertamento ‘partito a seguito di una verifica della G.d.F. presso il locali della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di Fusco NOME e sfociato nella applicazione della presunzione legale ex artt. 32 e 52 cit. di maggiori ricavi, in relazione alle movimentazioni dei conti correnti bancari e dei conti postali ritenute ingiustificate (dal raffronto con la documentazione contabile acquista), la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nell’affermare che ‘ si era proceduto ad accesso, ispezione e verifica e non a controllo a tavolino per cui relativamente all’Iva, in assenza di contraddittorio, deve essere dichiarata la nullità ex art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente ‘ laddove , nella specie, non era stata dedotta – come si evince dagli atti difensivi dei gradi di merito allegati al ricorso la violazione dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente (essendo incontestato, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, il rispetto del termine dilatorio tra la consegna del p.v.c in data 26.1.2017 e la notifica dell’avviso in data 19 giugno 2017 ) che prescindeva, di per sé, dalla c.d. prova di resistenza né tantomeno poteva garantirsi, per il solo fatto della obbligatorietà del contraddittorio endo-procedimentale per le imposte armonizzate, l’insorgenza di un obbligo dell’Agenzia delle entrate di ‘audizione’ del contribuente, cioè un obbligo di convocazione, della contribuente (come dedotto negli atti difensivi allegati al ricorso).
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il vizio di ‘ omessa motivazione dell’impugnata sentenza ‘ avendo la CTR accolto il gravame della contribuente limitatamente alla ripresa Iva, rigettandolo per il resto, senza esternare -anche in violazione
degli artt. 36 del d.lgs. n. 546/92, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. -le ragioni sottese alla decisione in relazione ai motivi di censura prospettati.
2.1.Il motivo si espone, in primo luogo, a un profilo di inammissibilità in quanto il mezzo utilizzato, oltre a fare riferimento al parametro di sindacato dell’omessa motivazione, vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n.5) cpc, applicabile ratione temporis (Cass. 30948 del 2018), non è consono alla censura proposta con la quale si denuncia in sostanza la motivazione apparente della sentenza impugnata.
2.2.Nel merito il motivo è infondato.
2.3.Premesso che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758, Sez. 5, Ordinanza n. 6044 del 2024), nella specie, la CTR ha confermato la legittimità dell’avviso impugnato (ai fini Irpef e Irap) in quanto: 1) per quanto concerneva la percentuale di reddittività applicata (15%) la doglianza era inammissibile non avendo la contribuente indicato quale fosse il vizio nel riferimento alla specifica categoria merceologica adoperata; 2) la documentazione allegata alla memoria depositata nel corso del giudizio di primo grado non era idonea a supportare la t esi dell’incongruità dell’accertamento in quanto ‘ non appariva di provenienza certa, apparteneva a contabilità irregolare e risultava priva di efficacia dimostrativa ‘ (ad es. non risultavano certi i trasferimenti delle auto, i relativi importi e il collegamento tra acquisti e relative vendite). La motivazione è pertanto conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, nonché, ex multis: Cass., 07/04/2021, n. 9288; Cass., 30/06/2020, n. 13248 Sez. 5, Ordinanza n. 15889 del 2024).
3 . Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ‘ il vizio di omessa motivazione o, in via subordinata e alternativa, di insufficiente motivazione dell’impugnata sentenza per la mancata o erronea valutazione dei documenti offerti dal contribuente ‘ per avere la CTR omesso o, quantomeno non adeguatamente valutato, i numerosi documenti prodotti ritualmente dalla contribuente in primo grado al fine di dimostrare l’infondatezza dell’accertamento.
3.1.Il motivo è inammissibile in quanto, pur a prescindere dal riferimento al parametro di sindacato dell’omessa, insufficiente motivazione, non più attuale, ma inopportunamente evocato, essendo la censura articolata nelle forme dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, richiede che il fatto asseritamente omesso sia un fatto storico, con la conseguenza che, a tali fini, non costituiscono fatti le deduzioni difensive e gli elementi istruttori (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. sez. 5, n. 18710 del 2022); sotto altro aspetto, si osserva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, per le ragioni suindicate ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023); nella specie, la ricorrente non ha dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma -quanto all’assunta mancata valutazione della documentazione ritualmente prodotta dalla contribuente sin dal primo grado – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte.
4 . Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciare sulle censure formulate nel ricorso introduttivo e riproposte nell’atto di appello -: 1) di erronea applicazione dell’art. 32 cit. con riguardo alle movimentazioni riscontrate sul libretto di risparmio postale (n. NUMERO_DOCUMENTO) intestato a NOME
Mincione e non già alla contribuente; 2) di violazione dell’art. 32 cit. come modificato dall’art. 7 -quater , primo comma, del d.l. n. 193/2016, conv. nella legge n. 205/16, applicabile retroattivamente per il principio del favor rei , in forza del quale i prelevamenti inferiori a euro 1.000,00 giornalieri e a euro 5.000,00 al mese non possono essere presi in considerazione ai fini della presunzione ex art. 32 cit.
4.1.I n disparte l’indebito richiamo al n. 3 in luogo del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., il motivo è infondato.
4.2.Invero, questa Corte ha chiarito che non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass n. 998 del 2024; 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Questi princìpi sono da tempo pacifici nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «si deve ritenere “implicita la statuizione di rigetto ove l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass., 11 settembre 2015, n. 17956; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 26 gennaio 2016, n. 1360; Cass.,6 ottobre 2017, n. 23334; Sez. 5, Ordinanza n. 10721 del 2024). Nella sentenza impugnata, la CTR -dopo avere riportato nella parte in fatto sia l’eccezione di titolarità di un solo conto postale in luogo dei due indicati nell’avviso che quella relativa alla non accertabilità delle movimentazioni inferiori a euro 1.000,00 giornaliere e 5.000,00 mensiliha accolto parzialmente l’appello della contribuente annullando soltanto la ripresa ai fini Iva e confermando per il resto l’avviso (ai fini Irpef e Irap), il che ha implicato chiaramente il rigetto implicito delle due censure incompatibili con la decisione adottata.
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del DPR n. 600/73 per avere la CTR confermato la legittimità dell’avviso in questione (con riguardo alla ripresa Irpef e Irap) limitandosi a disattendere la documentazione allegata dalla contribuente alla memoria depositata in primo grado in quanto ‘ di provenienza non certa,
appartenente a contabilità irregolare e priva di efficacia dimostrativa ‘ senza argomentare specificatamente in ordine alle giustificazioni fornite da quest’ultima in sede contenziosa (n. 30 documenti allegati alla memoria di primo grado, quali le fatture di acquisto e di vendita puntualmente elencate in essa) e senza estrapolare dall’accertamento la somma di euro 16.492,00 trattandosi di una mera ‘ partita di giro ‘ (in quanto prelevata dalla contribuente alla chiusura di uno dei due conti correnti bancari ve rificati e riversata sull’altro , alla sua apertura).
5.1. Il mezzo si espone ad un profilo di inammissibilità per difetto di specificità e autosufficienza in assenza di una indicazione nel corpo del motivo dei documenti la cui valutazione sarebbe stata omessa; come è stato osservato da questa Corte, ‘In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione ‘ (Cass. 1.03.2022, n. 6769; Cass. n. 24007 del 2022); modulando il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ. (alla cui stregua il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa) in conformità alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo (sentenza del 28 ottobre 2021, causa COGNOME e altri c/Italia) e, dunque, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, occorre pur sempre che all’interno del ricorso siano richiamati, sia pure in termini essenziali e per la parte d’interesse, gli atti ed i documenti sottesi alle censure svolte (Cass, Sez. 3, 14.3.2022, n. 81:17, Rv. 664252-01), non essendo sufficiente a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione
(fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione), il rinvio – in assenza di (trascrizione integrale o parziale ovvero, quantomeno, di tale) sintesi contenutistica – agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte (Cass., Sez. 1, 1.3.2022, n. 6769, Rv. 664103-01; Cass. n. 26007 del 2022).
5.2. In ogni caso, il motivo tende a sollecitare inammissibilmente una rivisitazione di un apprezzamento di merito della CTR in merito alla inidoneità della produzione documentale addotta a contrario a superare la presunzione legale in relazione ad ognuna delle movimentazioni verificate. Va premesso che, in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze . (Cass. 30/062020, n. 13112; Cass. n. 5529 del 2025). Nel dettaglio, dunque, la prova del contribuente deve essere idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass., 30 giugno 2020, n. 13112, citata, in motivazione) e a tale dimensionamento dell’onere della prova gravante sul contribuente corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (Cass., 18 novembre 2021, n. 35258). La Corte, inoltre, ha precisato che l’art. 32 del d.P. R. n. 600 del 1973 contempla « una presunzione legale
relativa in virtù della quale tutti i movimenti contabili – sia i versamenti che i prelievi – effettuati da un imprenditore corrispondono ad operazioni imponibili e vincola, da un lato, l’Ufficio ad assumere che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni e, dall’altro, il contribuente, che quella presunzione volesse superare, ad offrire la prova contraria di avere tenuto conto delle somme oggetto delle movimentazioni ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta, avendo registrato i versamenti in contabilità ed utilizzato prelevamenti per pagare determinati beneficiari, oppure fornendo la prova analitica della eventuale “irrilevanza” di quei movimenti, perciò riferibile al singolo movimento bancario, il che esclude già di per sé che sia sufficiente una prova generica e non puntuale » (Cass., 9 agosto 2016, n. 16686; in motivazione; Cass 10013 del 2025).
5.3.Sulla base di tali considerazioni, questa Corte ha evidenziato che «L’art. 32 d.P.R. n. 600/1973, al pari dell’art. 51 d.P.R. n. 633/1972, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari; nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria contesti complessivamente l’inattendibilità della contabilità, il giudice del merito deve, in ogni caso, verificare l’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente rispetto ad ogni singola movimentazione al fine di verificare che le movimentazioni bancarie siano o meno riferibili ad operazioni imponibili ai fini reddituali» (Cass., 13 dicembre 2023, n 34926; Cass., 5 aprile 2022, n. 14353; Cass 10013 del 2025).
5.4.Nella specie, con riguardo alla operata ripresa di maggiori ricavi non dichiarati, il motivo pur prospettando una violazione de ll’art. 32 del DPR n. 600/73, in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, in quanto – a fronte della imputazione a maggiori ricavi di movimentazioni dei conti correnti e dei conti postali riferibili alla contribuente risultate non giustificate in applicazione della presunzione legale ex art. 32 cit. –
la CTR ha ritenuto – con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità -che la documentazione allegata alla memoria depositata in primo grado, ‘ non appariva di provenienza certa, apparteneva a contabilità irregolare e risultava priva di efficacia dimostrativa ‘ (ad es. non risultavano certi i trasferimenti delle auto, i relativi importi e il collegamento tra acquisti e relative vendite) il che implica un assorbente apprezzamento di merito di genericità e di non puntualità (non provenienza certa) -prima ancora che di inattendibilità nel merito – della prova documentale addotta a contrario .
5.5.Inammissibile è anche la (sub) censura con la quale si denuncia la mancata estrapolazione da parte del giudice di appello dall’accertamento della somma di euro 16.492,00 trattandosi di una mera ‘partita di giro’ (in quanto prelevata dalla contribuente alla chiusura di uno dei due conti correnti bancari verificati e riversata sull’altro, alla sua apertura) , non essendo riferita (neppure indirettamente) al decisum della sentenza impugnata, ma esclusivamente al provvedimento impositivo, del quale soltanto sono censurate le supposte deficienze, ragione per la quale la doglianza stessa appare carente dei requisiti di attinenza e riferibilità.
6. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del DPR n. 600/73 per avere la CTR imputato a ricavi (ai fini Irpef, e Irap) della contribuente (anche) le movimentazioni risultate ingiustificate riscontrate sul libretto postale (n. NUMERO_DOCUMENTO) intestato a un terzo (NOME COGNOME) senza che l’Ufficio avesse allegato altri elementi, oltre l’esistenza di stretti vincoli familiari, atti a giustificare tale attribuzione (è richiamata Cass. n. 32977/2018) e senza che, nonostante la censura sollevata nei due gradi di giudizio, il giudice di appello avesse argomentato sul punto alcunchè.
6.1.Il motivo è inammissibile in quanto non è attinente al decisum avendo la CTR ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento in questione (quanto all’Irpef e all’Irap) sul presupposto della imputazione a ricavi, ai sensi dell’art. 32 cit. , delle movimentazioni ingiustificate riscontrate su due conti correnti
bancari e due conti postali che, dalle risultanze del p.v.c. riportate nell’avviso di accertamento (v. pag. 3) allegato al ricorso fatte proprie dall’Ufficio e dal giudice di appello nel confermare l’operato dell’Amministrazione – erano risultati intestati alla contribuente, titolare di impresa individuale (‘ Dalle risposte pervenute dagli operatori finanziari sono emersi vari rapporti di conti correnti intestati alla sig.ra COGNOME NOMECOGNOME titolare della ditta individuale, accesi presso diversi Istituti di credito, dettagliati come segue: … Poste italiane: Conto deposito/risparmio n. DR 36492206 ‘) ; con ciò rigettando (implicitamente) la censura -riportata nella parte in fatto della decisione – di intestazione del libretto postale (n. NUMERO_DOCUMENTO) a un terzo (NOME COGNOME).
Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del DPR n. 600/73 , come modificato dall’art. 7 -quater, comma 1, del DL n. 193/2016, conv. nella legge n. 205/16, per avere la CTR confermato la legittimità dei prelevamenti (ai fini Irpef e Irap) anche se inferiori a euro 1.000,00 giornalieri e a euro 5.000,00 al mese sebbene tale modifica dovesse trovare applicazione retroattiva, essendo in favore del contribuente, con conseguente equiparazione ai ricavi soltanto dei prelevamenti di importo superiore a euro 1.000,00 giornalieri e euro 5.000,00 mensili.
7.1.Il motivo è infondato.
7.2.L’art. 7-quater, comma 1, lett. a) e b) d.-l. n. 193 del 2016, conv., con modificazioni, in legge n. 225 del 2016, ha modificato l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 stabilendo che, ai fini della determinazione del maggior reddito, solo i prelevamenti superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, 5.000 euro mensili rilevano come elementi posti a base delle rettifiche ed accertamenti, sempre che il contribuente non ne indichi il beneficiario e non risultino dalle scritture contabili.
7.3.Questa Corte ha condivisibilmente affermato che la norma in questione ha natura sostanziale, e quindi non applicabile alle controversie in corso su
accertamenti anteriori alla sua entrata in vigore, e comunque non interpretativa, per cui ogni possibile applicazione retroattiva è esclusa (sez. VI-5, n. 26683 del 2019; sentenza 19774 del 22 settembre 2020).
8. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del DPR n. 600/73, per avere la CTR confermato l’avviso impugnato (ai fini Irpef e Irap) con il quale erano stati recuperati a tassazione versamenti e prelevamenti per euro 380.733,00 (meno euro 7.600,00 risultati documentati) senza considerare che- come eccepito nei gradi di merito dalla contribuente ed emerso dal p.v.c. – la stessa aveva dichiarato nel M.U. 2015 ricavi per euro 125.928,00, i quali avrebbero dovuto essere estrapolati da quelli contestati, pena duplicazione di imposta.
8.1.Il motivo si profila inammissibile per novità della questione dedotta e per violazione del principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che dal contenuto della sentenza impugnata non emerge la proposizione della specifica eccezione di mancata estrapolazione dal maggior reddito contestato dei ricavi pari a euro 125.928,00, dichiarati nel MU 2015 e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al giudice di merito, ma anche di indicareriproducendone il contenuto nelle parti rilevanti – in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 11934 del 2021; n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009). Invero, la deduzione della mancata estrapolazione da parte dell’Ufficio dal maggior reddito contestato (se non per euro 7.600,00) delle fatture che la contribuente avrebbe emesso per complessivi euro 125.928,00, con rinvio alla pag. 4 del ricorso introduttivo (allegato al ricorso) non trova riscontro nell’esame del medesimo dal quale si evince la formulazione in termini assolutamente generici dell’eccezione circa la riconducibilità delle movimentazioni rilevate, per la quasi totalità- oltre che al
soddisfacimento dei bisogni primari propri e della propria famiglia-‘ a quelle che furono le ordinarie necessità della specifica attività svolta (vendite, regolarmente fatturate;…) ‘ .
8.2.Peraltro, il motivo è inammissibile in quanto si risolve nella sola critica dell’atto impositivo; invero, come chiarito da questa Corte ‘ In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale in grado di appello, poichè l’unico oggetto del giudizio di legittimità è costituito dalla sentenza impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si de nuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento ‘ (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6134 del 13/03/2009; Sez. 5, Sentenza n. 841 del 17/01/2014).
Con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2697 c.c. e 39 del DPR n. 600/73 per avere la CTR ritenuto legittima l’applicazione della percentuale media di redditività del 15% per il settore di appartenenza (commercio autoveicoli), in quanto la contribuente non aveva indicato quale fosse il vizio nel riferimento alla specifica categoria merceologica adoperata; con ciò spostando indebitamente l’onere della prova sulla contribuente laddove era l’Amministrazione a dovere provare la correttezza della contestata percentuale di redditività.
9.1. Premesso che la violazione dell’art. 2697 cod. civ., si configura quando il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. n. 33906 del 2024), il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi avendo la CTR, lungi dal spostare l’onere della prova sulla contribuente, ritenuto inammissibile il motivo di appello di quest’ultima circa l’assunta erroneità della percentuale di ricarico applicata nella misura del 15% atteso che, in difetto del principio di specificità, la stessa non av eva indicato ‘quale fosse il vizio nel riferimento alla specifica categoria merceologica adoperata’.
10.In conclusione, va accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale della contribuente con cassazione della sentenza impugnata- in relazione all’accolto ricorso principale – e rinvio, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnatain relazione all’accolto ricorso principale – e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME