Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17571 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17571 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23889 -20 22 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME (pec: EMAILpecavvocatiEMAIL), NOME COGNOME (pec: EMAILpecavvocatiEMAIL) e NOME COGNOME (pec: EMAIL), elettivamente
Oggetto: TRIBUTI -contraddittorio endoprocedimentale
domiciliata in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 969/01/2022 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 11/03/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno d’imposta 2015 emesso nei confronti del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, con cui l’amministrazione finanziaria disconosceva l’effettività dell’attività di intermediazione svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE con sede legale a Cipro, per l’assegnazione alla RAGIONE_SOCIALE di una commessa avente ad oggetto la realizzazione di una raffineria per conto della società bulgara RAGIONE_SOCIALE Burgas AD, e, quindi, della provvigione a quella pagata dalla Sices per detta attività.
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Varese, con la sentenza n. 106/02/2021, depositata il 17 febbraio 2021, accoglieva il ricorso della società contribuente ed annullava l’avviso di accertamento impugnato sul rilievo che l’Uffic io, richiedendo con questionario alla società contribuente l’esibizione di documentazione relativa al solo anno d’imposta 2014, e non anche per l’anno 2015, non aveva garantito il contraddittorio preventivo per tale annualità.
La CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia, dinanzi al quale l’Agenzia delle entrate proponeva appello, lo respingeva sostenendo, per le parti ancora qui di interesse, che « La Direzione Provinciale di Varese, competente a procedere per il 2015, non ha mai chiesto documenti e non ha attivato il contraddittorio endoprocedimentale, limitandosi ad
emettere de plano, e sulla base degli esiti dell’attività svolta dalla Direzione Regionale Lombardia per il precedente anno di imposta, un autonomo e ulteriore atto impositivo »; che «l’AE Dir. Prov. Varese non ha attivato il contraddittorio endoprocedimentale (in ogni caso indispensabile e obbligatorio in caso di emissione di atti impositivi in ambito IVA, trattandosi di imposta armonizzata), ma neppure ha emesso un avviso di accertamento autonomo per recuperare il costo ritenuto indeducibile, ai fini delle imposte dirette, nella quota riferibile al 2015. Salvo poi pretendere il pagamento di sanzioni conseguenti alle violazioni IVA che sono state quantificate con riferimento all’importo totale delle fatture emesse sia nel 2014 sia nel 2015 »; che «effettivamente, in questa sede contenziosa -come già sottolineato dai giudici di prime cure – la contribuente ha prodotto copiosa documentazione, che ben avrebbe potuto essere fatte valere in fase procedimentale per provare l’effettività delle prestazion i svolte dalla Feldgate e per la verifica del periodo di competenza e di maturazione delle provvigioni. Deve quindi concludersi nel senso che la documentazione introdotta supportava con margine di ragionevole plausibilità le argomentazioni difensive e, verosimilmente, avrebbe potuto forse condurre, in caso di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, a esiti accertativi differenti. Ciò basta per ritenere fondata l’eccezione sollevata dalla parte privata in termini di violazione del doveroso contraddittorio endoprocedimentale ».
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’ intimata con controricorso.
La controricorrente in data 16/01/2025 ha depositato istanza di sollecita fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso nonché, in data 06/05/2025, memoria ex art. 378, secondo comma, cod. proc. civ. che è tardiva e, come tale inammissibile.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 della Legge n. 212 del 2000, nonché dell’art. 54 del DPR n. 633 del 1972 ».
1.1. Sostiene che:
-l’Agenzia delle entrate di Milano in data 26/02/2019 aveva notificato alla società contribuente un questionario (n. Q00009/2019) cui quest’ultima aveva risposto producendo una serie di documenti sulla base dei quali posti erano stati emessi sia i tre avvisi di accertamento relativi all’anno 2014 da parte della Direzione Regionale dell’Agenzia delle entrate della Lombardia per IVA, IRES ed IRAP, sia l’avviso di accertamento ai fini IVA oggetto del presente giudizio emesso da lla Direzione provinciale dell’Ag enzia delle entrate di Varese;
-pertanto, l’atto impositivo impugnato era frutto dell’istruttoria compiuta dall’Ufficio sulla base della documentazione prodotta dalla società in esito al questionario inviato per l’anno 2014, sicché è priva di rilievo l’assenza di uno specifico questionario riferito all’anno 2015;
-invero, era stata contestata alla società contribuente l’indeducibilità dei costi relativi all’attività di intermediazione svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE ovvero delle provvigioni alla stessa corrisposte per l’attività di intermediazione svolta in favore della società contribuente; costi di competenza dell’anno 2014, che in parte erano stati fatturati nell’anno 2015 e quindi detratti in tale anno ai fini dell’imposta sul valore aggiunto;
nel caso in esame non sussiste, quindi, alcuna violazione dell’obbligo del contraddittorio in quanto era stato pienamente assicurato , attraverso l’invio del questionario, il confronto tra la parte e l’Ufficio, in occasione del quale la contribuente aveva prodotto documentazione a giustificazione dei costi ripresi a tassazione;
inoltre, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di appello, la società contribuente non aveva prodotto ulteriori documenti che, se idoneamente valorizzati, avrebbero condotto ad esiti diversi, essendosi in giudizio limitata a richiamare «esclusivamente la documentazione già prodotta in sede amministrativa»;
infine, in data 12 giugno 2019, con nota prot. n. 87747/2019, l’Agenzia delle entrate aveva richiesto «a mezzo corrispondenza elettronica al curatore fallimentare della Sices di produrre ulteriore documentazione dalla quale potesse evincersi la riconducibilità delle provvigioni fatturate dalla RAGIONE_SOCIALE alla commessa affidata dalla RAGIONE_SOCIALE Burgas, tra cui il contratto di appalto sottoscritto con quest’ultima», ma «tale richiesta è tuttavia rimasta inevasa».
Il motivo, che è ammissibile perché, a differenza di quanto eccepito in controricorso, non denuncia un vizio di motivazione (precluso dalla cd. doppia conforme), né sollecita una rivisitazione di merito, ma enuclea precise violazioni di legge, coerentemente ragguagliandole al corretto paradigma censorio -è infondato e va rigettato.
2.1. Come ricorda Cass. n. 33818/2024, in motivazione, il diritto eurounitario da tempo conosce un generale obbligo di attivazione del contraddittorio nella fase del procedimento amministrativo, fondato sull’art. 41, §§ 1 e 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che consacra il diritto ad una buona amministrazione declinandolo, al paragrafo 2, nel «diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio». Tra le principali sentenze della Corte di Giustizia che hanno interpretato la previsione, si vedano le sentenze 24 febbraio 2022, C-582/20, RAGIONE_SOCIALE; 4 giugno 2020, C-430/19, SC RAGIONE_SOCIALE; 16 ottobre 2019, C-
189/18, Glencore; 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas; 3 luglio 2014, C-129/13 e C-130/13, COGNOME e COGNOME. In sintesi, ai destinatari incisi dai provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria rientranti nel perimetro d’applicazione del diritto dell’UE dev’es sere assicurato di poter esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (cfr. Corte di giustizia 18 dicembre 2008, C-349/07, Soprop é , § 37 e giurisprudenza ivi citata).
2.2. Tali principi sono stati calati nel nostro ordinamento dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823, successivamente sempre confermata (cfr. Cass. Sez. 5, n. 701 del 15/01/2019; conforme, Cass. Sez. 5, n. 22644 del 11/09/2019 e numerose altre), nel senso che, in mancanza dell’espletamento del contraddittorio nella fase amministrativa, vi è necessità di operare, per i tributi armonizzati, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale. Infatti, la violazione del generale obbligo di contraddittorio gravante sull’ Amministrazione finanziaria in materia di tributi armonizzati comporta l’invalidità dell’atto impositivo purché la parte contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
2.3. Pare opportuno osservare che sulla questione in esame la Corte Costituzionale ha chiaramente proclamato che il contraddittorio endoprocedimentale, ‘quale espressione del principio del ‘giusto procedimento’ (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento (sentenza n. 71 del 2015), anche come criterio di orientamento non solo per l’i nterprete, ma prima ancora per il legislatore (sentenza n. 210 del 1995)’; ciò vale, secondo la Consulta, ‘anche in ambito tributario, dove il contraddittorio
endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di ‘ottimizzare’ l’azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell’amministrazione finanziaria; dall’altro, garantisce i diritti del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli’. (in tal senso, Cass. n. 287/2025).
2.4. Più recentemente la Corte costituzionale, pur ritenendo inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta con riferimento all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 sotto il profilo della mancata estensione dell’obbligo del contraddittorio anche alle verifiche c.d. “a tavolino” oltre che a quelle c.d. in loco, ha ribadito i principi già espressi nella sentenza n. 71 del 2015, sopra citata, ha ribadito l’essenzialità del contraddittorio nella fase amministrativa dell’accertamento tributario evidenziando, da un lato, che la partecipazione del contribuente in detta fase esprime «una esigenza di carattere costituzionale» e, dall’altro, la necessità di una estensione generalizzata in capo all’amministrazione finanziaria dell’obbligo di attivare tale contraddittorio, che però «ancora difetta, nel vigente sistema tributario», «fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie». Nel rilevare, quindi, che la vigente disciplina legislativa in materia «risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha ritenuto spettante «al legislatore il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, tenuto conto della pluralità di soluzioni possibili in ordine all’individuazione dei meccanismi con cui assicurare la formazione partecipata dell’atto impositivo, che ne modulino ampiezza, tempi e forme in relazione alle specifiche peculiarità dei vari procedimenti impositivi».
2.5. Ciò precisato, e premesso che la ricorrente lamenta la non necessità dell’espletamento del contraddittorio endoprocedimentale
perché relative a riprese fiscali che, seppur effettuate in anni diversi, discendevano da un unico rapporto negoziale, ritiene il Collegio che la statuizione impugnata, che si è attenuta ai superiori principi giurisprudenziali, non meriti censura.
2.6. I giudici di appello hanno infatti accertato che l’ufficio dell’Agenzia delle entrate che aveva emesso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2015, diverso da quello che aveva emesso l’atto impositivo relativo all’anno 2014, « non ha mai chiesto documenti e non ha attivato il contraddittorio endoprocedimentale, limitandosi ad emettere de plano, e sulla base degli esiti dell’attività svolta dalla Direzione Regionale Lombardia per il precedente anno di imposta, un autonomo e ulteriore atto impositivo » e, dal canto suo, vertendosi in materia di IVA, la società contribuente aveva fornito la cd. prova di resistenza, producendo « copiosa documentazione, che ben avrebbe potuto essere fatte valere in fase procedimentale per provare l’effettività delle prestazioni svolte dalla Feldgate e per la verifica del periodo di competenza e di maturazione delle provvigioni ».
2.7. Precisato che la ricorrente non contesta tale ultima circostanza, ritiene il Collegio che a conclusione diversa da quella cui sono pervenuti i giudici di appello non conducono le circostanze su cui la ricorrente fonda la censura, ovvero che l’avviso di accertamento impugnato, relativo all’anno 2015, era stato emesso sulla base del medesimo rapporto giuridico che era stato oggetto di verifica per l’anno 2014 , che i rilievi mossi per entrambe le annualità d’imposta discendevano dalla medesima istruttoria, che in relazione all’anno 2014 era stato regolarmente espletato il contraddittorio endoprocedimentale (circostanza, peraltro, pacifica tra le parti) e che, in ogni caso, il contraddittorio si sarebbe svolto sulla deducibilità di un costo di competenza del 2014, per la parte fatturata nel 2015.
2.8. Al riguardo osserva il Collegio che tali circostanze non sono idonee ad escludere la necessità dell’espletamento del contraddittorio
anche con riferimento all’anno 2015 , e ciò in quanto la ripresa fiscale aveva comunque ad oggetto un tributo armonizzato ed un anno d’imposta diverso rispetto a quello per il quale era stato espletato il contraddittorio , l’atto impositivo era stato emesso da un ufficio finanziario diverso e d in ogni caso la ripresa fiscale relativa all’anno 2015 aveva riguardato tre fatture ma solo di due di queste la ricorrente dà evidenza di riconducibilità « a prestazioni residue non fatturate nel 2014 », riproducendo a pag. 6 del ricorso un prospetto da cui emerge che le fatture n. 1/2015 e n. 2/2015 erano relative a provvigioni rese rispettivamente nei mesi di ottobre e novembre 2014, mentre nulla viene specificato in relazione alla terza fattura (la n. 3 di € 224.780,08) di cui non vi è deduzione o dimostrazione di riferimento diretto al rapporto negoziale oggetto di precedente contraddittorio, sicché, fosse anche solo per tale fattura, l’amministrazione finanziaria era tenuta ad espletare il contraddittorio.
Conclusivamente, il primo motivo di ricorso va rigettato con conseguente assorbimento del secondo e terzo motivo con cui l’Agenzia delle entrate ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., rispettivamente:
la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, e 25, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, anche alla luce della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA), per non avere la CTR tenuto conto del fatto che la ripresa a tassazione operata dall’Uffi cio non riguardava un costo di competenza del 2015, sebbene tale costo risultasse collocato in tale annualità;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e 2423-bis cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che «l’Ufficio avrebbe dovuto emettere un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette per l’anno 2 015,
con cui avrebbe dovuto riprendere a tassazione il costo ‘riferibile’ al 2015, ovvero il costo di cui alle fatture emesse in tale anno».
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata alle spese del presente giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 18.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2025