Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8708 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8708 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 25312-2018, proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME è rappresentato e difeso –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 557/14/2018 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 12.02.2018
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 15 gennaio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza emerge che l’Agenzia delle entrate notificò un avviso d’accertamento alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e per essa alla legale rappresentante nonché a COGNOME NOME, ritenuto l’amministratore di fatto della società. L’atto impositivo era s tato emesso , con riguardo all’anno
Accertamento – Contraddittorio endoprocedimentale – Violazione
d’imposta 200 3, per l’emissione di fatture, in parte perché afferenti ad operazioni ritenute inesistenti, in parte perché relative a costi ritenuti indeducibili, in entrambe le fattispecie contestandosi l’indebita detrazione dell’iva , oltre che maggiore Ires ed Irap.
Il COGNOME propose ricorso avverso l’atto impositivo .
La Commissione tributaria provinciale di Mantova con sentenza n. 48/02 /2014 accolse il ricorso relativo all’atto notificato alla società (società cancellata dal registro delle imprese il 7 settembre 2012, a fronte di un atto impositivo emesso il 19 dicembre 2012).
La pronuncia fu impugnata dal l’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con sentenza 557/14/2018 accolse le ragioni dell’appello, confermando dunque l’avviso d’accertamento.
La Commissione, nello specifico, ha riconosciuto la corretta applicazione del raddoppio dei termini per l’esercizio dei poteri accertativi, ex art. 43 ratione temporis vigente; ha rigettato l’eccezione di nullità dell’atto impositivo per essere state violate le garanzie del contraddittorio in ragione del mancato rispetto del termine previsto dall’art. 12, comma 7, d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212 dal rilascio del processo verbale di constatazione; ha riconosciuto il corretto coinvolgimento del COGNOME, cui l’ atto impositivo era stato notificato perché ritenuto amministratore di fatto della società e socio occulto quale beneficiario delle condotte illegittime contestate alla società; ha ritenuto provate le condotte contestate, in particolare le operazioni inesistenti e il maggior reddito sociale in ragione di costi inesistenti o indeducibili; ha ritenuto che l’artefice di tutte le operazioni fosse il COGNOME quale amministratore e quale socio factotum della compagine sociale.
La ricorrente ha censurato la sentenza con cinque motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
N ell’adunanza camerale del 15 gennaio 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza erroneamente avrebbe ritenuto rispettato il principio del contraddittorio,
ravvisando inesistenti ragioni d’urgenza che avevano giustificato l’emissione dell’avviso d’accertamento senza il rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 12 comma 7 cit.
Il motivo è fondato, tenendo conto degli approdi cui la giurisprudenza di legittimità è pervenuta in tema di garanzie endoprocedimentali del contribuente sottoposto ad accertamenti e successivamente attinto da un atto impositivo.
In materia fiscale le regole che disciplinano la redazione di un processo verbale di constatazione, all’esito dell’attività amministrativa, sono finalizzate ad assicurare un contraddittorio endoprocedimentale, entro i limiti delle ipotesi in cui ciò sia ritenuta garanzia imprescindibile della difesa del contribuente. T ale garanzia è indispensabile tutte le volte in cui l’atteggiarsi dell’attività dell’Amministrazione implichi accertamenti a sorpresa, in cui si verifica una ‘intromissione’ dell’autorità fisc ale nei luoghi di sua pertinenza. È per tale ragione che l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, e gli artt. 52, comma 6 del d.P.R. 1972, e 33, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (che rinvia al precedente), esplicitamente prescrivono che «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite ».
Il perimetro entro cui si colloca la necessità della redazione di un processo verbale è d’altronde segnato dall’elaborazione giurisprudenziale in tema di rispetto del termine dilatorio prescritto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000.
Nello specifico, si è affermato che la regola, posta a presidio del contraddittorio endoprocedimentale, va diversamente intesa proprio in ragione della sua finalità. Se infatti dal contenuto della norma si evince che la garanzia del contraddittorio si traduce nell’intento di assicurare ‘collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente’, volta ad un migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (Sez. U, 29 luglio 2013, n. 18184), appare comprensibile perché la sua obbligatorietà non si estenda a tutte le ipotesi, risultando ad esempio non necessaria negli accertamenti senza accessi presso la sede del contribuente. In merito si è affermato che il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche nella diversa ipotesi, non assimilabile alla
precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente ( ex multis , Cass., 4 aprile 2018, n. 8246; 5 novembre 2020, n. 24793).
Sebbene ciò riguardi l’area dei tributi non armonizzati, anche per quelli armonizzati -in riferimento ai quali la garanzia del contraddittorio impone sempre e comunque il rispetto del termine dilatorio, in osservanza della prescrizione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riconosce «il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio»-, la giurisprudenza nazionale ha tuttavia ritenuto che, anche in questa ipotesi, perché la violazione dell’obbligo comporti l’invalidità dell’atto, il contribuente debba assolvere all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823; cfr. inoltre Cass., 19 luglio 2021, n. 20436; 15 gennaio 2019, n. 701, 29 ottobre 2018, n. 27420; 27 luglio 2018, 20036; vedi 19 ottobre 2021, n. 28833).
In tal modo il giudice italiano si è anche attenuto ai parametri indicati dalla giurisprudenza euro-unitaria, secondo cui «Quando il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa, né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività)» (CGUE 3 luglio 2014, C-129 e 130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE).
RGN 25312/2018 Consigliere rel. NOME Pertanto, è utile per un verso rammentare che sul piano normativo, quanto alle imposte nazionali, l’obbligo del rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni prima della emissione dell’atto impositivo afferisce alle
ipotesi di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, che sono le categorie di intervento accertativo tipizzate e identificate nell’art. 52, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, a sua volta richiamato dall’art. 33, comma 1, d.P.R. 600 del 1973 in tema di imposte dirette, e dall’art. 53 bis, d.P.R. n. 131 del 1973 in materia di imposta di registro (per le imposte armonizzate si è invece già illustrato il perimetro e le modalità entro cui la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicato e rispettato il principio).
Deve allora ribadirsi che, quanto al contenuto dell’art. 12, comma 7, della l. 212 del 2000, la ragione della distinzione posta, in seno alle imposte nazionali, tra gli accertamenti eseguiti mediante accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente e quelli eseguiti presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, sta nella considerazione che solo nella prima ipotesi essi sono caratterizzati dalla «autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente all a diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali» (cfr. Sez. U, n. 24823 del 2015, cit.; vedi anche Cass., 11 settembre 2020, n. 18854, per l’ipotesi in cui solo nei riguardi di uno dei contribuenti l’Ufficio aveva proceduto a verifiche e ispezio ni presso la sede dell’accertato).
Quanto alle imposte armonizzate il contradditorio vige anche per gli accertamenti a tavolino, sempre che, in questo caso, il contribuente abbia assolto l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Segnato il limes del necessario rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione, lo stesso comma prevede tuttavia che tale termine possa parimenti trovare deroga nelle ipotesi di «particolare e motivata urgenza».
Le ipotesi derogatorie sono state a loro volta limitate dalla giurisprudenza di legittimità, che si è preoccupata di segnare l’alveo entro cui l’eccezionale deroga al principio del contraddittorio di fatto non fosse svuotato da ragioni generiche rappresent ate dall’Amministrazione
RGN 25312/2018 Consigliere rel. COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
A tal fine si è affermato che in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, l. n. 212 del 2000, debbono consistere in elementi di fatto che esulino dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescano dalla sua diretta conoscibilità, sicché non possono in alcun modo consistere nella imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa. Peraltro, detto obbligo, imposto per gli accertamenti eseguiti mediante accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, comporta che il legislatore, nel comminare la nullità dell’atto impositivo in caso di sua violazione, ha operato una valutazione ex ante del rispetto del contraddittorio, che assorbe a monte “la prova di resistenza”, ciò che giustifica la mancata distinzione, nella norma, tra tributi armonizzati e non, scattando detta prova quando la normativa interna non sanzioni tale violazione con questa forma di invalidità (Cass., 16 marzo 2016, n. 5149; 10 aprile 2018, n. 8749; 5 maggio 2021, n. 11685; cfr. anche 15 gennaio 2019, n. 701).
Ebbene, nel decidere la controversia e nel ritenere che il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, cit., fosse giustificato dalla presenza di particolare e motivata urgenza, il giudice d’appello non si è attenuto ai principi di diritto enunciati.
Nel caso di specie, infatti le ragioni d’urgenza non risultano neppure riportate nella motivazione della sentenza. Di contro l’avviso d’accertamento, nel passaggio richiamato nel ricorso del contribuente in osservanza del principio di specificità (atto comunque allegato dalla difesa del ricorrente, che richiama), riporta alla pag. 7, quale unica ragione, l’imminente decorso del termine di prescrizione. Si tratta , cioè proprio della motivazione che consolidata giurisprudenza di legittimità esclude dalle ragioni che giustificherebbero la deroga al rispetto del termine dilatorio, rientrando tra quelle ipotesi che dipendono da aspetti organizzativi dell’ufficio, che si è affermato non possono ricadere sui principi di garanzia del contraddittorio, sacrificandolo.
L’accoglimento del motivo comporta pertanto il riconoscimento di un vizio radicale dell’atto impositivo, del quale ne va dunque dichiarata la nullità.
RGN 25312/2018
L’accoglimento del primo motivo , per i suoi effetti, assorbe gli ulteriori motivi di ricorso, con i quali il ricorrente ha denunciato:
a.- la violazione e falsa applicazione degli artt. 2462 e 2495 cod. civ., dell’art. 7 del d.l. 269 del 2003, dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla notifica de ll’atto impositivo a società ormai già estinta perché anteriormente cancellata dal registro delle imprese (secondo motivo);
b.la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., quanto alla dedotta qualifica di socio occulto del ricorrente (terzo motivo);
c.la falsa applicazione dell’art. 47 del d.P.R. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., quanto alla tassazione degli utili imputati tutti al COGNOME (quarto motivo);
d.l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla qualifica di amministratore di fatto e socio occulto attribuita al COGNOME (quinto motivo).
La sentenza va pertanto cassata e, non essendovi ulteriori attività istruttoria, la causa può essere decisa anche nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.
Per quanto infatti chiarito, l ‘ atto impositivo notificato senza il rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni dalla chiusura dell’accertamento e dal rilascio del processo verbale di constatazione, ex art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, cit., era affetto da grave vizio, inficiante la sua stessa validità.
Ne consegue che l’avviso d’accertamento impugnato va annullato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, mentre lo sviluppo processuale della controversia nei gradi di merito giustifica l’integrale loro compensazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, annulla l’avviso d’accertamento impugnato. Condanna l’Agenzia delle entrate al versamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 5.800,00 per competenze, €
200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge. Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio