Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21734 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21734 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6589/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in fallimento, in persona del AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO con domicilio digitale EMAIL;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-controricorrente –
Oggetto:
imposte dirette ed IVA – avviso di
accertamento
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4374/2/2019, depositata il 17 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto dal curatore fallimentare di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 14746/47/2017 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva respinto i ricorsi proposti dalla medesima società contribuente e dalla sua curatela fallimentare contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008.
La CTR osservava in particolare:
-che sussisteva la denunciata violazione del principio unionale del contraddittorio endoprocedimentale per l’IVA e correlativamente ne doveva essere annullato l’atto impositivo impugnato;
-che invece tale violazione procedimentale non era ravvisabile in relazione alle imposte dirette (IRESIRAP), in quanto ‘non armonizzate’, e che le eccezioni di merito sollevate dalla società contribuente (curatela della) in ordine alle relative pretese creditorie erariali non erano fondate.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso la curatela fallimentare della società contribuente.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000, poiché la CTR ha negato la fondatezza dell’eccezione correlativa in relazione alle imposte ‘non armonizzate’.
La censura è infondata.
Diversamente da quanto sostiene la ricorrente, è del tutto consolidato e condivisibile l’orientamento di questa Corte secondo il quale «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 01).
La sentenza impugnata è pienamente conforme a tale indirizzo ermeneutico e pertanto non merita cassazione per la relativa statuizione.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.la ricorso denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 7, legge 212/2000, poiché la CTR non ha accolto la sua eccezione di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato per vizio motivazionale ed in particolare per la mancata allegazione del PVC sul quale tale atto impositivo si basa.
La censura è infondata.
Va ribadito che «In tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” RAGIONE_SOCIALE ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque
riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 24417 del 05/10/2018, Rv. 650525 – 01).
Il giudice tributario di appello ha accertato in fatto che il ‘contenuto essenziale’ del PVC è stato trasfuso nell’avviso di accertamento impugnato e tale accertamento non è sindacabile in questa sede.
La conseguenza giuridica (validità della motivazione dell’atto impositivo impugnato) che ne ha tratto la CTR è pienamente conforme al citato arresto giurisprudenziale.
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione degli artt. 83, 109, 110, TUIR, 11, d.lgs. 446/1997, poiché la CTR ha affermato la correttezza del metodo accertativo utilizzato dall’agenzia fiscale in relazione ai costi inerenti le imposte reddituali di periodo.
La censura è inammissibile.
E’ orientamento consolidato e condivisibile di questa Corte che «Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01); «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01) e che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
E’ evidente che con la censura in esame la ricorrente mira a portare il sindacato di questa Corte al di fuori del perimetro segnato da tali arresti giurisprudenziali ed all’interno RAGIONE_SOCIALE valutazioni meritali del giudice tributario di appello.
Del resto va rilevato che il metodo accertativo utilizzato in concreto dall’RAGIONE_SOCIALE nel caso di specie è quello c.d. ‘induttivo puro’, legittimato, pacificamente, dall’omissione della dichiarazione fiscale di periodo e quindi va quindi anche ribadito che «In tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, il potere -dovere dell’Amministrazione è disciplinato non già dell’art. 39, bensì dall’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale, sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo; a tal fine, esso può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e può fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. supersemplici – cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. citato -, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la
deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato proAVV_NOTAIOo o è stato proAVV_NOTAIOo in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio» (Cass., n. 14930 del 15/06/2017, Rv. 644593 – 01).
Nessuna illegittimità può in ogni caso essere dunque ravvisata nell’impiego da parte dell’Ente impositore quale base RAGIONE_SOCIALE proprie valutazioni induttive della Comunicazione annuale IVA, trattandosi peraltro di un documento che proviene dalla stessa società contribuente, al quale pertanto va attribuita una valenza almeno latamente confessoria.
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente) in ordine alla determinazione dei costi in deduzione dell’anno fiscale oggetto di accertamento.
La censura è infondata.
Va ribadito che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi invalidanti di cui al citato consolidato arresto giurisprudenziale, piuttosto contenendo una puntuale ed articolata argomentazione circa le statuizioni assunte, ben oltre il “minimo costituzionale” (v. Sez. U, 8053/2014).
Con il quinto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi controversi in relazione alla deduzione dei costi ai fini dell’IRAP.
La censura è inammissibile in quanto il parametro di critica è precluso dalla ‘doppia conforme’.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio che liquida in euro 8.200 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma 10 aprile 2024
Il presidente