Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24767 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -avvisi di accertamento – contraddittorio endoprocedimentale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3359/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., COGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL), dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpecavvocati.it), dall’avv. NOME COGNOME
NOME COGNOME (pec: EMAIL), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3976/7/2016 depositata il 6/7/2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3976/7/2016 veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e dai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco n. 396/2/2015 con la quale erano stati riuniti e rigettati i ricorsi proposti dai contribuenti contro tre avvisi di accertamento, il primo, basato su p.v.c., notificato alla società per II.DD., IVA, sanzioni per l’anno di imposta 2009 e i restanti due per IRPEF in corrispondenza delle quote sociali delle persone fisiche.
Si legge nella sentenza impugnata e negli atti che, con riferimento alla posizione della società, a seguito della verifica fiscale conclusa con
p.v.c., poi trasfuso nell’avviso , venivano contestate omissioni contributive fiscali a carico della società in relazione a due dipendenti. Dal ricalcolo delle ore lavorate, l’Ufficio attribuiva alla società un maggior reddito di impresa non dichiarato, con conseguente maggiore IRAP, IVA, sanzioni e interessi.
Il giudice d’appello riteneva infondata la questione del contraddittorio endoprocedimentale e, nel merito, confermava la decisione resa dal giudice di prime cure e così integralmente le riprese, come pure disattendeva anche la prospettata esistenza di determinati costi di cui l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto.
Avverso la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo i ricorrenti censurano l’ errata applicazione della legge ex art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione di legge e nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., per avere la CTR respinto il ricorso «senza neppure minimamente considerare quanto dedotto e prodotto dalla odierna esponente. Statuito solo su una minima parte dei motivi di gravame, con assoluta carenza di motivazione e disattenzione integrale del dispositivo di legge, il Giudice di seconde cure, si è astenuto dal dedurre altro» (cfr. pp. 4-5 del ricorso). I ricorrenti si lamentano del fatto che «al vaglio della Commissione Tributaria Regionale si sono sottoposte questioni di diritto e di fatto che non solo non formano oggetto della parte motiva, ma non risultano neppure essere prese in esame» ( ibidem , p. 8).
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
2.1 Innanzitutto la censura è inammissibile perché priva del requisito di specificità, non avendo i ricorrenti né indicato né riportato i motivi di appello sui quali la CTR non si sarebbe pronunciata o, comunque, non avrebbe rispettato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendosi limitati a criticare genericamente il fatto che nella sentenza d’appello «si accennano solo ed esclusivamente due argomenti: ovvero la violazione dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi e la violazione del principio del contraddittorio» ( ibidem ).
Al proposito, innanzitutto si ribadisce che, con riferimento alla specificità del ricorso per cassazione, le argomentazioni del dissenso che la parte intende sollevare nei riguardi della decisione impugnata debbono essere formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato. Il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo ‘, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ. n. 4 (cfr. al riguardo Cass. Sentenza del 11/01/2005 n. 359).
2.2. Inoltre, il motivo è anche destituito di fondamento, poiché la CTR non ha preso in esame e rigettato solo le censure d’appello riferite all ‘obbligo di motivazione degli atti impositivi e alla violazione del principio del contraddittorio. Alle pagg. 2 e 3 della decisione, già nella parte relativa al ‘ fatto ‘ la decisione espressamente dà conto di 5 motivi di appello proposti dai contribuenti su quali dunque il giudice si è certamente pronunciato, in parte esplicitamente e in parte implicitamente (cfr. ad es. Cass. ordinanza n. 12131 dell’8/05/2023 e giurisprudenza ivi citata) decidendo la causa in senso sfavorevole alle questioni dedotte dall’appellante. Inoltre, a pag.3 ha riportato anche le difese dell’Agenzia, con cui ha resistito alle censure di appello, deducendo, tra l’altro la « legittimità e fondatezza della sentenza non sussistendo
alcun vizio di motivazione degli avvisi di accertamento emessi sulla scorta di un pvc elevato in contraddittorio con la parte e alla stessa noto » e la « legittimità degli avvisi di accertamento (…) in virtù degli elementi tratti dal verbale della GdF (…) » .
In sentenza si legge anche che « all’esito dell’attività di verifica il rappresentante della società non ha ritenuto di offrire osservazioni o documentazioni per contrastare il pvc. Nell’avviso di accertamento il contenuto del pvc è stato sostanzialmente trasfuso e richiamato ed essendo comunque noto alla parte, non si vede cosa altro vi era da aggiungere. Se la parte privata avesse avuto documenti da offrire anche per documentare eventuali costi da dedurre, in correlazione al maggior reddito calcolato sulla base delle ore lavorate in modo irregolare, non doveva fare altro che produrli nei sessanta giorni dalla notifica del pvc, in sede di accertamento con adesione, in sede giudiziaria, nulla di tutto ciò è avvenuto» (cfr. ult. pag. sentenza).
Il giudice ha perciò espressamente motivato sulla carenza/omessa motivazione con riguardo all’onere probatorio circa la correttezza della ricostruzione dei maggiori ricavi operata dall’ufficio e la carenza/omessa motivazione in ordine all’esame della documentazione offerta dagli odierni ricorrenti.
Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano l’ «errata applicazione della legge ex art. 360 n. 3, violazione di legge, disattenzione del disposto dell’art. 112 cod. proc. civ.» per non avere il giudice d’appello preso in considerazione il fatto che gli accertamenti dell’Ufficio sarebbero stati fondati su false dichiarazioni, come emergerebbe dalle risultanze del giudizio penale celebrato davanti al Tribunale di Lecco, rispetto al quale viene integralmente riportato il provvedimento di rinvio a giudizio per il reato previsto dall’art. 372 c.p..
Il motivo è inammissibile.
4.1 La doglianza è apodittica, in quanto proposta in modo generico, priva del minimo contenuto di specificità e concretezza. Manca qualsiasi precisazione in ordine all’incidenza sull’accertamento tributario oggetto di impugnazione dei fatti oggetto del procedimento penale, di cui pure non si conosce neppure l’esito definitivo.
Con il terzo motivo i ricorrenti censurano l’ «omessa pronuncia su punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cpc -violazione falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 cpc -disattenzione dei riscontri documentali in atti» (cfr. p. 11 del ricorso). A dire dei ricorrenti, la CTR avrebbe fatto propria, in ordine alle dedotte regolarità delle scritture contabili e coerenza con gli studi di settore, la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso introduttivo «senza nulla considerare, addirittura deducendo la mancata produzione di documentazione, che affatto è, sol che la si avesse voluta esaminare» ( ibidem , p. 13). Inoltre, ci si lamenta del fatto che il giudice di seconde cure non ha riformato la sentenza di primo grado in ordine alla dedotta violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale.
Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la «violazione di legge ex art. 360 n. 3 cpc -omesso esame di un fatto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 cpc» (p.16 ricorso) per avere la CTR ritenuto assorbito il motivo d’appello concernente la presunta violazione del giudicato esterno in cui sarebbe incorsa la CTP, per aver fatto proprie le risultanze emergenti dalla sentenza n.774/2015 resa dalla sezione lavoro del Tribunale di Lecco, pronuncia non passata in giudicato, in un giudizio non vertente tra le medesime parti e con differente petitum e causa petendi .
I motivi, che vengono esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono affetti da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
7.1. Innanzitutto le due doglianze sono inammissibili sotto il profilo della tecnica di formulazione, poiché le censure compendiano un coacervo di paradigmi processuali di doglianza che spaziano dalla violazione di legge alla doglianza motivazionale in quanto la sovrapposizione di censure di diritto, sostanziali e processuali, non consente alla Corte di cogliere con certezza le singole doglianze prospettate, dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità (cfr. Cass. n. 36881/2021). In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U n. 9100/2015), ma, nella specie, il ricorso non consente quanto indicato dalle Sezioni unite.
7.2. Con riferimento alle parti dei motivi in cui si prospettano vizi motivazionali, è poi fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dal controricorrente per doppia conforme alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata, per quanto qui interessa, dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’ina mmissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. I ricorrenti non hanno dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell ‘appello sono state tra loro diverse.
7.3. Le doglianze presentano, altresì, profili di inammissibilità perché si risolvono in un’irrituale richiesta di riesame dello stretto merito della controversia, lamentando i ricorrenti, peraltro in modo generico ed aspecifico, una disattenzione dei riscontri documentali da parte del giudice, poiché esisterebbe una «prova documentale di segno contrario neppure presa in considerazione, neppure commentata neppure vista deve ritenersi» (cfr. p. 13 ricorso, terzo motivo). Inoltre, nel quarto motivo di ricorso, neppure viene individuata la disposizione di legge che si assume violata, con evidente violazione del principio di specificità.
7.4. Deve ritenersi, altresì, infondata la questione che attiene alla presunta mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Sul punto va corretta ex art.384 u.c. cod. proc. civ. la motivazione resa dal giudice, dal momento che, fermo restando che è escluso nel quadro normativo ratione temporis vigente un obbligo generalizzato di contraddittorio procedimentale, tuttavia in presenza di verifica fiscale e di imposta armonizzata, trova quanto alle imposte dirette applicazione il termine dilatorio dell’art.12, comma 7, l. n.212/2000 (cfr. Cass SS.UU. n. 18184/2013) e il p.v.c. è del 13 giugno 2013 (p.2 controricorso), mentre l’ atto impugnato è stato notificato nel 2014 (p.2 ricorso), ampiamente decorso il termine dilatorio.
Con riferimento all’imposta armonizzata, la prova di resistenza come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite (cfr. Cass Sez. U. n. 24823/2015 e, da ultimo, anche in chiave ricostruttiva Cass., Sez. U. 21271/2025)) e dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire
dalla sentenza del 3 luglio 2014, nelle cause C-129 e 130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE é n, poi sempre confermata. Vige il principio di derivazione comunitaria del rispetto dell’interlocuzione con il contribuente anteriormente all’adozione dell’atto impositivo, ma la sua violazione non determina in ogni caso la nullità dello stesso, essendo onere di parte contribuente dimostrare che avrebbe potuto produrre in tale sede elementi difensivi, dovendo il contribuente «enunciare in concreto le ragioni, non puramente pretestuose, che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato» (cfr. Cass. n. 24119/2016).
Tutto ciò premesso, con riferimento alle imposte dirette è la stessa sentenza impugnata ad accertare che, a conclusione della verifica fiscale, è stato consegnato il processo verbale e che « all’esito dell’attività di verifica il rappresentante della società non ha ritenuto di offrire osservazioni o documentazioni per contrastare il p.v.c. » (cfr. p. 4 sentenza). Pertanto, sulla base dell’accertamento del giudice non specificamente censurato, è stato rispettato il termine dilatorio di cui all’art.12, comma 7, cit. e deve ritenersi immune da vizi l’accertamento del giudice d’appello secondo cui «giacché la società e i soci hanno avuto la possibilità di contrastare documentalmente gli esiti della verifica e dell’accertamento ma non lo hanno fatto così come non hanno offerto un altro sistema di calcolo della redditività delle ore lavorate in nero rispetto al prospetto dell’ufficio » ( ibidem ). Quanto all’imposta armonizzata, l’onere della prova di resistenza non è stato assolto dai contribuenti neppure in sede di ricorso per cassazione, i quali non hanno fornito la dimostrazione di avere prodotto elementi difensivi idonei a modificare, se tempestivamente sollevati in sede amministrativa, il contenuto degli avvisi.
Con un quinto informe motivo individuabile a pagina 20 del ricorso i contribuenti propongono «gravame in punto spese -violazione di legge» in quanto «il capo della pronuncia inerente la condanna alla refusione delle spese di lite deve ritenersi ingiusto ed inopinatamente gravatorio».
Il mezzo non può trovare ingresso. La doglianza è inammissibile sia per la tecnica di formulazione, che neppure individua il paradigma processuale violato, sia perché i ricorrenti, ancorando la presunta ingiustizia della condanna alle spese al solo fatto che la CTR abbia disatteso «completamente le risultanze istruttorie in atti» (cfr. p. 20 ricorso), confermano il fatto che stanno richiedendo in sede di legittimità un riesame del materiale probatorio, estraneo alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
Va ribadito al proposito (cfr. Cass. sentenza del 28/11/2014 n. 25332 e giurisprudenza ivi citata) che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
Il ricorso è conclusivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate in euro 2.400 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025