Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21562 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21562 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2507/2024 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME COGNOME nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
PEC: EMAIL
PEC: EMAIL
–
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CALABRIA n. 2424/2/2022, depositata in data 1 agosto 2022, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso presentato dalla Fondazione Rocco Guglielmo, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2018, con il quale era stata recuperata l’IVA sugli acquisti effettuati nell’anno d’imposta 2013, per violazione dell’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, ed accertato una maggior reddito, riconducendolo a tassazione IRPEF ed IRES per l’importo di euro 1.644,39.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che:
-) nella fattispecie in esame, l’avviso di accertamento impugnato era costituito, per come fatto rilevare correttamente dai Giudici di primo grado, prevalentemente dal recupero di maggiore IVA accertata (pari ad euro 42.905,11), perché ritenuta non detraibile, e in misura inferiore per IRES e IRAP, con la conseguenza che le maggiori imposte accertate erano collegate fra loro da un vincolo inscindibile, dato che, nel caso in esame, dalla indetraibilità dell’IVA, applicata alla Fondazione ricorrente sui contributi pubblici ricevuti per eventi culturali organizzati dalla Fondazione stessa, ne era derivata, non solo, la richiesta di recupero dell’imposta «armonizzata», ma anche, seppur in minima parte, di maggiori imposte IRES e IRAP;
-) stante la suddetta identità di base imponibile per tributi armonizzati e tributi «non armonizzati», i secondi dovevano sottostare agli obblighi
comunitari previsti per i primi per rendere effettiva la prevalenza delle garanzie predisposte dalla normativa comunitaria e nazionale sia per l’IVA e sia per le altre imposte dirette essenzialmente connesse alla prima;
-) il mancato contraddittorio procedimentale comportava la nullità dell’atto impositivo, anche perché la parte appellata, per come fatto rilevare dal primo Giudice, aveva fornito elementi idonei a superare la c.d. «prova di resistenza», a mezzo delle argomentazioni svolte e dei documenti depositati a sostegno del ricorso, che l’Ufficio appellante non era riuscito a superare, nemmeno con la documentazione prodotta in appello.
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la Fondazione Rocco Guglielmo.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte di secondo grado ritenuto che l’eventuale vizio di difetto di contraddittorio preventivo in riferimento alla ripresa fiscale dell’Iva implicava la nullità altresì della ripresa delle altre imposte eventualmente richieste a mezzo dello stesso atto impositivo. L’obbligo di instaurare il contraddittorio non sussisteva per gli accertamenti cd. «a tavolino», come quello per cui era causa, né la consegna della documentazione presso gli uffici dove veniva eseguita la verifica poteva essere equiparata a quella eseguita presso la sede della società. La tesi dei giudici di secondo grado secondo cui il contraddittorio procedimentale era obbligatorio per l’intero atto, se questo riguardava più imposte (così nel caso in esame, IVA, IRES e IRAP ), tra cui l’I VA, non era conforme alla normativa e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
1.1 Il primo motivo è fondato.
1.2 Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il contraddittorio endoprocedimentale è espressamente previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, con valutazione di necessarietà ex ante e conseguente nullità dell’accertamento in caso di omissione, nella specifica ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività (Cass., 15 gennaio 2019, n. 701; Cass., 11 settembre 2019, n. 22644 e, più di recente, Cass., 8 marzo 2023, n. 6874); e ciò vale anche per l’ipotesi di accessi cd. istantanei, ossia volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento (Cass, 12 aprile 2019, n. 10388).
1.3 Quanto alla mancata attivazione del contraddittorio per l’accertamento relativo a IVA, va ribadito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. «a tavolino» effettuate nei confronti di terzi, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi «armonizzati», ma la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., 19 luglio 2021, n. 20436).
1.4 Non sussiste, dunque, un obbligo generalizzato di attivare un contraddittorio endoprocedimentale, in quanto in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del detto contraddittorio, codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della U.E., pur costituendo un diritto fondamentale del contribuente e principio fondamentale dell’ordinamento europeo, in quanto espressione del diritto di difesa e finalizzato a consentire al contribuente di manifestare preventivamente il suo punto di vista in ordine agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la propria decisione, non è assunto
dalla giurisprudenza della CGUE in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, a obiettivi di interesse generale, sicché, nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, svolta dall’Amministrazione fiscale (Cass., 9 luglio 2020, 14628; Cass., 19 ottobre 2021, n. 2883).
1.5 Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito.
1.6 Tanto premesso, la sentenza impugnata non è conforme ai principi rilevati, perché, in presenza di pretese erariali riguardanti IVA, IRES e IRAP (contestate a seguito di un accertamento a tavolino avendo l’Agenzia acquisito copiosa documentazione, prontamente messa a disposizione dalla contribuente presso gli stessi uffici erariali , come emerge dal contenuto della sentenza di primo grado debitamente trascritto alle pagine 3 e 4 del ricorso per cassazione, oltre che da pag. 2 del controricorso), ha ritenuto, sulla base di un asserito (e non normato) vincolo di inscindibilità e connessione esistente fra i diversi tributi accertati, applicabili i principi in tema di contraddittorio endoprocedimentale dettati in materia di IVA, anche ai tributi non armonizzati (IRES e IRAP), con riferimento ai quali, invece, per quanto già detto, non è rinvenibile nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che sussiste, per quanto già detto, solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (cfr. anche Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., 25 gennaio 2017, n. 1969; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27421).
1.7 Mette conto rilevare che i provvedimenti di questa Corte richiamati dai giudici di secondo grado, a pag. 6 della sentenza impugnata (Cass., 19 maggio 2010, n. 12236 e Cass., Sez. U., 29 maggio 2017, n. 13452), non riguardano affatto la questione della violazione del
contraddittorio endoprocedimentale, quanto piuttosto il tema del litisconsorzio necessario con i soci di società di persone in caso di accertamento contestuale di ILOR ed IVA e del litisconsorzio necessario dei soci nel giudizio di accertamento dell’IRAP dovuta dalla società, con la conseguenza che sono del tutto fuori tema rispetto alla questione oggetto di esame.
Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 c.p.c., con l’art. 111 Cost. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), per avere il Giudice di secondo grado pronunciato una sentenza priva di motivazione o, a tutto concedere, assistita da motivazione meramente apparente, con riguardo al superamento, nel caso concreto, della prova di resistenza incombente sul contribuente, non avendo esplicitato le ragioni giuridico/fattuali che avrebbero reso il contraddittorio un momento fondamentale tale da impedire l’emissione dell’atto stesso e dovendo, piuttosto, verificare se la violazione del contraddittorio fosse stata effettiva e se, in concreto, il suo rispetto avrebbe consentito al contribuente di fare valer ragioni difensive, ex ante , non meramente pretestuose. In mancanza di elementi nuovi e diversi (rispetto alla documentazione afferente gli introiti per attività di sponsorizzazione/pubblicità già allegata) non era stata comprovata la correlazione tra costi (afferenti alle mostre e rappresentazioni) e ricavi/operazioni imponibili e la diretta e certa riferibilità dell’acquisto di beni e servizi avvenuti in anni precedenti all’evento fatturato nel 2013.
2.1 Il secondo motivo è pure fondato.
2.2 Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di «motivazione apparente», allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del « minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., 13 aprile 2021, n. 9627).
2.3 In tale grave forma di vizio incorre la sentenza impugnata, in quanto i giudici di appello si sono limitati ad affermare che la contribuente aveva fornito elementi idonei a superare la c.d. prova di resistenza a mezzo delle argomentazioni svolte e dei documenti depositati a sostento del ricorso, che l’Ufficio non era risuscito a superare, nemmeno con la documentazione prodotta in appello, senza specificare alcunché in ordine al contenuto delle argomentazioni e dei documenti richiamati; anche nella parte in cui richiama il primo Giudice, lo ha fatto in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, peraltro sovrapponendo il piano della violazione del contraddittorio endoprocedimentale, con quello della effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata in modo specifico dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nel giudizio avente ad oggetto la pretesa tributaria.
In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di
secondo grado della Calabria anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Calabria anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2025.