Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14536 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14536 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
Irpef – Avviso di accertamento -contraddittorio endoprocedimentale-
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22533/2020 R.G. proposto da: COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – e sul ricorso iscritto al medesimo n. 22533/2020 R.G. proposta da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
-resistente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA, n. 4616/2019, depositata in data 20 novembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, con un primo atto impositivo, accertava nei confronti della De RAGIONE_SOCIALE di NOME e NOME COGNOME & C. , con riferimento all’anno di imposta 2009, m aggiori redditi. Per l’effetto, emetteva nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME entrambi soci accomandanti della società, due avvisi di accertamento (nn. T93013S02774 e T93013S02775) con i quali attribuiva loro, per trasparenza e pro quota, il maggior reddito accertato, recuperando maggior Irpef e addizionali, oltre interessi e sanzioni.
Avverso gli avvisi di accertamento entrambi i contribuenti proponevano separati ricorsi dinanzi alla CTP di Varese, la quale, previa riunione, li rigettava.
Contro tale sentenza i soci proponevano entrambi appello e la CTR, con la sentenza di cui all ‘epigrafe , previa riunione, dopo aver rilevato che gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società
e dagli altri soci, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano divenuti definitivi, li rigettava.
Avverso detta sentenza propongono separati ricorsi per cassazione entrambi i soci accomandanti. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso nei confronti di NOME COGNOME ed depositato nota intestata «atto di costituzione», dando atto di non aver proposto tempestivo controricorso, ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale, nei confronti di NOME COGNOME.
Entrambi i contribuenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico identico motivo, articolato in entrambi i ricorsi, i contribuenti denunciano , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art 53, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
Censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile, in quanto generico, il motivo di appello con il quale avevano denunciato la viol azione dell’art. 24, legge n. 4 del 1929 e dell’art. 12, settimo comma, legge n. 212 del 2000 atteso che l’avviso di accertamento non era stato preceduto dall’emissione del prodromico processo verbale di chiusura delle operazioni. Osservano che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza -laddove la CTR aveva affermato che gli appellanti si erano limitati a c ensurare l’errore logico commesso dal giudice di primo grado senza precisare quale fosse e quale pregiudizio ne fosse conseguito -la censura era ben chiara ed attingeva la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato il motivo proposto sul punto. Ribadiscono, in punto di diritto, la violazione del contraddittorio endo-procedimentale, quale preventivo presidio difensivo del contribuente anche nelle c.d. verifiche «a tavolino».
Il motivo è infondato, se pure, ex art. 384 cod. proc. civ., va corretta la motivazione resa sul punto dalla CTR.
2.1. I contribuenti hanno impugnato gli atti impositivi personali lamentando, per quanto qui rileva, la violazione delle garanzie di cui agli artt. 12 legge n. 212 del 2000 e 24 legge n. 4 del 1929.
La CTP rigettava il motivo evidenziando che la redazione di un processo verbale di chiusura delle operazioni era prevista soltanto in caso di accessi, ispezioni e verifiche eseguite nei confronti del contribuente sottoposto a controllo.
I contribuenti nell’appello censuravano la sentenza e ribadivano che avevano sempre sostenuto che l’obbligo di emissione di un processo verbale di chiusura delle operazioni, preventivamente rispetto all’emissione dell’avviso di accertamento, vale , non solo per le ipotesi di accessi ed ispezioni domiciliari, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, ma anche per le verifiche eseguite nei confronti del contribuente sottoposto a controllo, senza distinzioni fra verifiche con accesso al domicilio del contribuente o c.d. «a tavolino». Lamentava, pertanto, l’errore logico commesso dal giudice di primo grado.
La CTR riteneva inammissibile il motivo per difetto di specificità in quanto i contribuenti non avevano precisato quale fosse l’errore logico commesso dalla CTP e quali le conseguenze del presunto errore.
2.2. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, poiché l’appello è un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno -non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito -il principio della necessaria specificità dei motivi, previsto dall’art. 342, primo comma, cod. proc. civ., prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione; occorre, pertanto, che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi
posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle censure mosse (tra le più recenti, Cass. 25/0/2023, n. 2320).
La CTR, pertanto, ha mal motivano nel ritenere la censura inammissibile in quanto generica.
2.3. Il motivo, piuttosto è manifestamente infondato, dovendosi emendare la motivazione resa dalla CTR.
Va rammentato che il principio di economia processuale (quale riflesso della garanzia costituzionale del giusto processo) giustifica il potere della Corte di cassazione di correggere, ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ. la motivazione della sentenza impugnata anche con riferimento all’ error in procedendo , in particolare all’ error in iudicando de modo procedendi (cioè all’errore di applicazione della norma processuale che sfocia in un corrispondente vizio di attività), indipendentemente dalla circostanza che la falsa applicazione dipenda dall’erronea soluzione di una quaestio iuris o di una quaestio facti , trattandosi di fatto processuale rispetto al quale la Corte ha potere d’indagine autonoma sul fascicolo (Cass. 19/01/2023, n. 1669).
2.3.1. Per giurisprudenza costante di legittimità, alla quale deve darsi seguito, l’applicabilità dei diritti e delle garanzie di cui all’articolo 12 legge n. 212 del 2000 postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente soggetto ad accertamento ( ex plurimis Cass. 10/05/2024, n. 12840, Cass. 05/11/2020, n. 24793, Cass. 04/04/2014, n. 7957). La ragione va ravvisata nel fatto che, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie è di contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di contraddittorio, al fine di conformare ed adeguare l’interesse dell’Amministrazione alla situazione del contribuente.
A conferma, le stesse Sezioni Unite, pronunciatesi sulle conseguenze della violazione del termine dilatorio ivi previsto, hanno espressamente correlato il dies a quo per la decorrenza al rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni (Cass. Sez. U. 20/07/2013, n. 18184).
2.3.2. Differente è, invece, l’ipotesi, come nel caso in esame, in cui la pretesa impositiva sia scaturita dal vaglio degli atti sottoposti all’Amministrazione dallo stesso contribuente o esaminati in ufficio, ancorché a seguito di indagini bancarie.
Da ciò discende che le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. «a tavolino» non possono essere assimilate, giacché la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra Fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass. 06/06/2016, n. 11539).
2.3.3. In difetto di accesso, per i c.d. tributi armonizzati per i quali l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endo-procedimentale, la violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente, fornendo la c.d. prova di resistenza, abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823 e, tra le più recenti Cass. n. 18413 del 2021 cit. Cass. 15/01/2019, n. 701).
Le sezioni unite, all’esito di un’ampia disamina tanto dell’ordinamento tributario nazionale e dei principi costituzionali di riferimento, quanto degli indirizzi applicabili in materia sulla base del
diritto UE e delle pronunce della Corte di Giustizia, infatti, ponendo termine a precedenti oscillazioni interpretative, hanno affermato come detto, che solo per i tributi c.d. armonizzati l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endo procedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli “non armonizzati”, quali sono i tributi che colpiscono il reddito, non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez. U. n. 24823 del 2015 cit.; tra le più recenti Cass. 29/07/2024, n. 21188; Cass. 22/04/2024, n. 10849)
2.3.4. Anche la Consulta si è pronunciata sulla questione, evidenziando che, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti (Corte Cost. n. 47 del 2023).
2.3.5. Deve, pertanto, escludersi che quanto costantemente affermato da questa Corte contrasti con i principi propri dell’ordinamento euro -unitario . Si è chiarito, infatti, che il principio fondamentale dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa endo procedimentale, di cui il diritto al contraddittorio preventivo è parte integrante, non costituisce una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni rispondenti ad obiettivi di interesse generale unionale, quale quello di procedere al recupero tempestivo delle entrate proprie (Cass.01/04/2025, n. 8565).
2.3.6. Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. tributi armonizzati, ed essendo stato l’accertamento svolto «a tavolino», in assenza di una specifica previsione di legge, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo né sussistono i presupposti per rimettere la questione alla Corte costituzionale.
Per analoghe ragioni non coglie nel segno il richiamo all’art. 24 legge n. 4 del 1929 poiché anche detta disposizione precisa che il processo verbale di constatazione è redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente (cfr. Cass. 30/07/2024, n. 21374, Cass. 05/06/2024 n. 15759).
In conclusione, i ricorsi vanno rigettati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno posta a carico della sola NOME COGNOME in quanto l’Agenzia delle Entrate ha spiegato attività difensiva solo avverso il ricorso di quest’ultima.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e condanna la sola NOME COGNOME a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.