Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32965 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32965 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
NOME
– intimato – avverso la sentenza della C.T.R. Torino, n. 100/2017, depositata il 20.1.2017 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.09.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria, NOME COGNOME impugnava l’ avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate , avendo rilevato uno scostamento rispetto agli studi di settore, aveva rettificato per l’anno 2007 gli imponibili dichiarati dal contribuente, contestando l’assenza di motivazione e la presenza di errori nel ricalcolo del reddito.
Oggetto: Consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado -Contestazioni sollevate in appello – Ammissibilità.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13917/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege.
-ricorrente –
contro
In primo grado, disposta una c.t.u. al fine di stimare l’effettivo ammontare dei ricavi, l’impugnazione del contribuente veniva parzialmente accolta e, sulla base delle risultanze della consulenza, veniva rideterminato il reddito imponibile.
Tale decisione era, altresì, confermata in secondo grado, sull’assunto della tardività delle contestazioni alla c.t.u., sollevate dall’Agenzia delle entrate solo in appello.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’ Agenzia delle entrate, sulla base di due motivi, mentre rimaneva intimato il contribuente.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, l ‘Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere inammissibili le contestazioni alle risultanze della c.t.u., recepite nella sentenza di primo grado, potendo invece essere svolte anche in appello, a prescindere dalla loro proposizione nel precedente grado di giudizio.
Con il secondo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 112 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., poiché era meramente apparente l’affer mazione della C.t.r., secondo cui erano del tutto prive di pregio le deduzioni erariali in ordine alla correttezza del proprio operato, non essendo chiarite le ragioni di tale infondatezza.
Il primo motivo di doglianza è fondato, tenuto conto della sentenza delle Sezioni Unite n. 5624 del 21/02/2022 (Rv. 66403302), che, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza all’interno della Corte, ha affermato che , in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, c.p.c., così come modificato dalla l. n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei
suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti, ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare; pertanto, la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello.
La pronuncia, in particolare, distingue tra le censure alla consulenza tecnica d’ufficio che atteng ono a violazioni procedurali e quelle che, invece, attengono al merito e, cioè, a contestazioni valutative delle indagini del consulente. Solo le prime, in quanto nullità relative, sono soggette al regime preclusivo di cui all’art. 157 c.p.c., mentre non lo sono i vizi di contenuto, attinenti a questioni scientifiche o, comunque, valutative e, quindi, connesse al tema della ricerca di una giusta soluzione della controversia.
Né, del resto, come chiarito dalle Sezioni Unite, è possibile ritenere che dall’art. 195, ultimo comma, c.p.c., così come riformulato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, sia desumibile un limite temporale allo svolgimento di critiche avverso il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio. E ciò, in quanto deve ritenersi che i termini previsti da tale disposizione normativa abbiano natura meramente ordinatoria e funzione acceleratoria che si esauriscono nell’ambito del subprocedimento che termina con il deposit o in cancelleria della relazione del consulente, determinando, in favore di quest’ultimo, l’esonero dall’obbligo di depositare nel termine a lui assegnato la sintetica valutazione delle osservazioni che le parti abbiano reso tardivamente rispetto al termin e alle stesse all’uopo fissato, ma non già precludendo alle parti stesse di arricchire e meglio specificare le contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio (Sez. L, n. 18657/2020, Rv. 65859601). La
procedimentalizzazione della consulenza tecnica d’ ufficio, infatti, introdotta dalla riforma del 2009, secondo le Sezioni Unite ha inciso esclusivamente sulla facoltà delle parti di interloquire con l’ausiliario al fine di incidere direttamente sul contenuto della consulenza e non già sulla possibilità di sviluppare qualunque deduzione o osservazione nel corso del giudizio.
Pertanto, le Sezioni Unite hanno concluso affermando che deve riconoscersi, in favore delle parti, la possibilità di svolgere critiche al contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, anche per la prima volta in sede di comparsa conclusionale (e, quindi, anche in appello), poiché, trattandosi di mere difese, esse non incontrano alcuna particolare preclusione, sempre che si tratti di censure relative a contestazioni ‘valutative’ e/o ‘di merito’, come già sopra chiarito, anche alla luce della funzione meramente illustrativa della comparsa conclusionale in relazione alle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte (Sez. 1, n. 06858/2004, COGNOME, Rv. 57193401; Sez. 1, n. 22970/2004, COGNOME, Rv. 57817601; Sez. 3, n. 05478/2006, Mazza, Rv. 59010101).
Da ultimo, precisano le Sezioni Unite, poiché la proposizione delle osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio oltre i termini concessi (e, quindi, anche in comparsa conclusionale ed in appello) risulta valevole ad integrare un comportamento processuale, deve ritenersi sempre salvo il potere del giudice del merito di valutare, in base agli specifici elementi circostanziali del caso concreto, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c. , atteso che il principio del giusto processo e le reiterate riforme del codice di procedura civile che si sono susseguite a partire dall’inizio degli anni ’90 impongono, a carico delle parti, un dovere di collaborazione allo scopo di pervenire, in tempi ragionevoli, alla definizione della controversia. In tale ottica, quindi, la trasgressione al dovere di collaborazione di cui all’art. 88 c.p.c., potrà essere valutata dal
giudice del merito ai fini del governo delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c..
Nel caso in esame ha, pertanto, errato la C.t.r. a non esaminare le contestazioni alle risultanze della c.t.u., sollevate dall’Agenzia delle entrate. In conformità con l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, le suddette contestazioni dovevano essere ritenute pienamente ammissibili, non riguardando profili di nullità della consulenza.
Parimenti fondato è il secondo motivo di doglianza.
Giova ricordare che la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. si realizza sia quando la motivazione manchi del tutto, come atto scritto da un punto di vista esclusivamente formale, sia quando essa formalmente esiste ma per le sue intrinseche contraddittorietà non consente di individuare il percorso logico giuridico che ha condotto il giudice a quella determinata decisione.
In queste ipotesi, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che a sua volta determina la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Al di fuori di queste ipotesi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un ‘fatto storico’, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia ‘decisivo’ ai fini di una divers a soluzione della controversia, ciò a seguito della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di legittimità solo l’anomal ia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13
gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass.17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti e già menzionate Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
Con tali locuzioni ci si riferisce, quindi, ad ogni caso in cui la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far emergere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Orbene, nella sentenza impugnata si afferma: ‘Del tutto prive di pregio appaiono poi le deduzioni erariali in ordine alla correttezza del proprio operato ed alle ragioni che hanno legittimato il ricorso all’accertamento sintetico, che vanno respinte siccome infondate ed inconferenti’.
Una siffatta motivazione non consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito, poiché, oltre a risultare apodittica e poco comprensibile, non tiene conto della ricostruzione della vicenda, riportata negli atti trascritti, per stralcio, dalla ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, e delle contestazioni mosse al contribuente.
Per tale ragione, essa si colloca al di sotto del livello del minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, quindi, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, la sentenza impugnata
va cassata, con rinvio al giudice a quo per l’ulteriore esame dell’appello proposto dall’ Agenzia delle entrate e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie entrambi i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per l’ ulteriore esame dell’appello proposto dall’ Agenzia delle entrate e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione