Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12458 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12458 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9895/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME rappre sentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
PEC: EMAILordineavvocaticataniaEMAILit
– controricorrente –
e
sul ricorso n. 23965/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente-
contro
COGNOME FabrizioCOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, unitamente alla quale è elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
PEC: EMAILordineavvocaticataniaEMAILit
– controricorrente –
il ricorso n. 9895/2021 R.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA n. 2370/6/2020, depositata in data 24 aprile 2020, non notificata;
il ricorso n. 23965/2021 R.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA n. 5330/13/2020, depositata in data 12 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza n. 2370 del 24 aprile 2020, in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione con ordinanza 11 gennaio 2018, n. 428 , ha accolto parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado
che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto l’ avviso di accertamento, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi per euro 842.872,00, in relazione all ‘ann o di imposta 2003.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) la censura relativa all’irritualità dell’ordine di produzione era infondata perché si doveva considerare ammissibile la produzione in grado di appello della documentazione extracontabile;
-) non risultava sufficientemente provato il collegamento della contabilità extracontabile rinvenuta con l’attività commerciale del contribuente; tuttavia, l’accertamento non poteva essere integralmente annullato in quanto il ricorrente aveva espressamente ritenuto fondato il recupero della somma di euro 3.876,00, quale differenza tra i ricavi derivanti dalla somma degli scontrini fiscali e quelli contabilizzati.
L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi, cui resiste COGNOME Fabrizio con controricorso.
La Commissione tributaria regionale, con la sentenza n. 5330 depositata in data 12 ottobre 2020, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto l’atto di contestazione, relativo a sanzioni Iva, per l’anno di imposta 2003.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’atto di contestazione portante le sanzioni era diretta conseguenza dell’avviso di accertamento sul quale si era pronunciata la CTR Sicilia con sentenza n. 2370 del 24 aprile 2 020, accogliendo parzialmente l’appello dell’Ufficio , in quanto non aveva ritenuto sufficientemente provato il collegamento dell’attività extracontabile con l’attività commerciale di COGNOME Fabrizio e aveva confermato il solo recupero a tassazione della somma di euro 3.876,00 in quanto riconosciuto dallo stesso contribuente.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a un motivo, cui resiste COGNOME Fabrizio con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 35795 del 6 dicembre 2022, la causa n. 23965/2021 R.G. è stata rinviata a nuovo ruolo per la riunione alla causa n. 9895/2021 R.G. avente ad oggetto il merito della ripresa afferenti le sanzioni oggetto della prima causa.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va disposta la riunione, per motivi di connessione soggettiva ed oggettiva, della causa n. 23965/2021 R.G., riguardante le sanzioni, alla causa n. 9895/2021 R.G. avente ad oggetto l’impo sta principale.
1.1 Ed invero, l’ist ituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l’una all’altra da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione (Cass., 31 ottobre 2011, n. 22631; Cass., 22 giugno 2007, n. 14607).
Ricorso n. 9895/2021 R.G.
Il primo motivo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, vigente ratione temporis (appello proposto in data antecedente all’11 settembre 2012). Anche la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. eventualmente applicabile alla fattispecie, consentiva di formulare un analogo motivo di impugnazione.
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2698 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto il ritrovamento presso un imprenditore di contabilità in nero giustificava l’accertamento induttivo con presunzioni supersemplici e non richiedeva l’analisi del magazzino e del ricarico e del costo del venduto, invertendo l’onere della prova, sicché l’imprenditore non poteva essere ritenuto estraneo all’attività economica ivi descritta.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in quanto, a fronte del ritrovamento di contabilità in nero presso un imprenditore il giudice di merito aveva motivato in modo apparente affermando di non essere certo che le attività economiche ivi descritte fossero attribuibili al contribuente piuttosto che al padre, condannato per usura, ben potendo esservi due attività economiche separate e non spiegando le ragioni di tali incertezze se non in modo apodittico.
Il quarto motivo deduce l’omesso esame di fatti decisivi per la pretesa fiscale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., quanto alla riconducibilità della contabilità in nero a COGNOME NOME, titolare dell’impresa, ovvero che le relative scritturazioni coincidevano con i giorni di apertura del suo negozio e che alcune poste, non prese in considerazione nell’accertamento, coincidevano con importi presenti negli scontrini fiscali.
Il primo motivo è inammissibile.
5.1 Deve premettersi che al presente procedimento, in cui la sentenza di appello è stata pubblicata il 24 aprile 2020, si applica il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risultante dalle modifiche apportate sul previgente testo introdotto dall’art. 2 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, dall’art. 54 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che
consente l’impugnazione solo « per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti »; tale disposizione infatti, ai sensi del terzo comma dell’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, si applica « alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto » (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187 ed entrata in vigore, ai sensi dell’art. 1, comma 2, il giorno successivo a quello della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale).
5.2 Tanto premesso, il motivo è inammissibile, deducendo la parte ricorrente il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, ormai espunto dal sistema per effetto della riforma del n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. , come novellato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, nemmeno risultando prospettato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
5.3 Più in particolare, questa Corte ha precisato che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., operata con l’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 e, più di recente, Cass., 9 marzo 2023, n. 6986).
Il terzo motivo, la cui trattazione è prioritaria, è infondato.
6.1 La CTR, dopo avere affermato (richiamando la sentenza di questa Corte n. 3264 del 5 febbraio 2019), che è possibile procedere alla rettifica del reddito sulla base anche delle risultanze della contabilità in nero, ha ritenuto che il quaderno sul quale si basava l’accertamento conteneva una serie di cifre, riferite a date, che appartenevano inequivocabilmente a COGNOME COGNOME, padre del ricorrente, per come era emerso dalle risultanze della verifica fiscale e da quelle di diversi procedimenti penali, per il delitto di usura, nei quali erano stati imputati il padre, che aveva patteggiato, e il figlio ricorrente che era stato assolto. Inoltre, i giudici di secondo grado hanno precisato che non risultava sufficientemente provato il collegamento della contabilità rinvenuta nel quadernetto con l’attività commerciale del controricorrente, piuttosto che con l’attività delittuosa del di lui padre, anche perché, come ribadito dal Collegio, in sede di verifica non si era ritenuto di estendere l’indagine nel senso di un più completo riscontro, ad esempio attraverso le giacenze di merce, anche in considerazione delle modeste dimensioni dell’esercizio (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
6.2 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
6.3 Va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che, dovendo l’obbligo motivazionale ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata, viene al contrario meno all’obbligo in parola
e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale «il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
6.4 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).
6.5 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo non appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata risultano chiaramente esposte, anche se in forma concisa, le ragioni della decisione.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto si tratta di doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad
una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
7.1 Ed invero, in disparte il rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, non ha affatto affermato che il ritrovamento presso un imprenditore di contabilità in nero non giustificasse l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio mediante presunzioni supersemplici, ma, sul presupposto, di segno contrario, che era possibile procedere alla rettifica del reddito sulla base anche della contabilità in nero e che la documentazione extracontabile, per il suo valore probatorio, legittimava il ricorso all’accertamento induttivo, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, incombendo sul contribuente l’onere della prova contraria, ha tuttavia, affermato, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che il quaderno in questione conteneva una serie di cifre, riferite a date, che appartenevano inequivocabilmente a COGNOME Leonardo, padre del ricorrente, e che non risultava sufficientemente provato il collegamento della contabilità extracontabile rinvenuta con l’attività commerciale del ricorrente.
7.2 Peraltro, questa Corte ha affermato che « In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti
personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria » (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27622; Cass., 23 maggio 2018, n. 12680; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3264, richiamata anche nella sentenza impugnata).
7.3 La sentenza impugnata ha, dunque, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Il quarto motivo è pure inammissibile, atteso che il denunciato vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.., concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. U., sentenza 7 aprile 2014, n. 8053).
8.1 Il vizio dedotto, dunque, non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass.,
8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né è inquadrabile, nel paradigma normativo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802).
Ricorso n. 23965/2021 R.G.
Il primo ed unico motivo del ricorso, che lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 295 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 2909 c.c. e 654 c.p.p., per non avere la CTR disposto la sospensione del giudizio sulle sanzioni, in attesa della definizione, con decisione passata in giudicato, del giudizio (pregiudicante) sull’imposta, in ragione del rigetto del ricorso principale, deve ritenersi assorbito, con la precisazione che l’avviso di accertamento è stato ritenuto legittimo nella parte in cui aveva disposto il recupero della somma di euro 3.876,00, mai contestata dal contribuente e quale differenza tra i ricavi derivanti dalla somma degli scontrini fiscali e quelli contabilizzati, e che, come emerge a pag. 2 della sentenza n. 5330/13/20 del 12 ottobre 2020, le sanzioni sono state irrogate sulla presunta omessa autofatturazione di operazioni imponibili di acquisto che non rientravano nella parte confermata dalla sentenza n. 2370/6/2020 del 24 aprile 2020.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso n. 9895/2021 R.G. deve essere rigettato, con assorbimento del ricorso in. 23965/2021 R.G., e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
10.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla
inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione della causa n. 23965/2021 R.G. alla causa n. 9895/2021 R.G.; rigetta il ricorso n. 9895/2021 R.G. e dichiara assorbito il ricorso n. 23965/2021 R.G.; condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.