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Contabilità in nero: file Excel prova per il Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7096/2024, ha stabilito che la documentazione informale, come un file Excel, rinvenuta presso terzi (un fornitore), costituisce una prova valida per l’accertamento fiscale basato su una contabilità in nero. La Corte ha rigettato il ricorso di un imprenditore, confermando che tali elementi, pur essendo presuntivi, sono sufficienti a fondare la pretesa del Fisco. Inoltre, ha chiarito che spetta al contribuente l’onere di provare l’inapplicabilità della percentuale di ricarico media applicata dall’Agenzia delle Entrate, accogliendo il ricorso incidentale di quest’ultima.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Contabilità in nero: Anche un file Excel trovato da terzi è una prova valida per il Fisco

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di accertamenti fiscali: la contabilità in nero, anche se contenuta in documenti informali come un file Excel e rinvenuta presso un soggetto terzo, costituisce un elemento probatorio pienamente utilizzabile dall’Amministrazione Finanziaria. Questa decisione chiarisce come la prova presuntiva possa essere sufficiente a fondare un accertamento induttivo e precisa l’onere della prova a carico del contribuente.

I Fatti del Caso: L’Accertamento Fiscale da Documenti Extra-Contabili

Il caso ha origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di un’impresa individuale. Durante questo controllo, i militari hanno acquisito documentazione extra-contabile, in particolare file informatici, relativi ai rapporti commerciali con i clienti. Tra questi figurava un’altra ditta individuale, attiva nel commercio di materiale edile.

Sulla base di questi file, l’Agenzia delle Entrate ha avviato un’indagine anche su quest’ultima, scoprendo un’ingente quantità di acquisti non fatturati da parte sua. Applicando una percentuale di ricarico media del 40%, tipica del settore, l’Ufficio ha determinato maggiori ricavi non dichiarati e ha emesso i relativi avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA.

Il contribuente ha impugnato gli atti, ottenendo in secondo grado una parziale vittoria: i giudici d’appello hanno ridotto la percentuale di ricarico dal 40% al 15%, pur confermando l’impianto accusatorio. Entrambe le parti hanno quindi proposto ricorso per cassazione: l’imprenditore per l’annullamento totale dell’accertamento, l’Agenzia per il ripristino della percentuale di ricarico originaria.

La Decisione della Corte e la validità della contabilità in nero

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del contribuente e accolto quello dell’Agenzia delle Entrate, delineando principi fondamentali sull’uso delle prove presuntive in ambito tributario.

L’Utilizzo di Prove da Terzi

Il primo punto affrontato riguarda la legittimità dell’utilizzo di documenti informatici, come i file excel, reperiti presso un terzo (il fornitore) per fondare un accertamento nei confronti di un altro soggetto (il cliente). La Corte ha ribadito con forza che la natura “informatica” della documentazione non ne inficia il valore probatorio. La contabilità in nero, indipendentemente dal supporto su cui è tenuta, è rilevante se da essa emergono, in termini quantitativi o monetari, gli atti d’impresa.

Il Principio della Prova Presuntiva nella contabilità in nero

Tali documenti costituiscono presunzioni semplici, che sono una prova completa a disposizione del giudice. L’Amministrazione Finanziaria può legittimamente basare il proprio accertamento su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, la corrispondenza tra i dati dei file e le operazioni parzialmente annotate nelle scritture ufficiali ha costituito un riscontro adeguato, sufficiente a dimostrare l’esistenza di ulteriori ricavi extra-contabili.

La Questione della Percentuale di Ricarico

Il punto cruciale che ha portato all’accoglimento del ricorso dell’Agenzia riguarda la determinazione della percentuale di ricarico. L’Ufficio aveva applicato il parametro oggettivo del ricarico medio di settore (40%). La Corte ha stabilito che, una volta che l’Amministrazione utilizza un tale criterio presuntivo, l’onere di provare l’applicabilità di una percentuale diversa e inferiore ricade interamente sul contribuente.

I giudici di merito avevano ridotto il ricarico al 15% in modo apodittico, cioè senza fornire alcuna motivazione a sostegno di tale decisione. Questo, secondo la Cassazione, costituisce una violazione di legge, poiché il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella dell’Ufficio senza un’adeguata base probatoria fornita dalla parte interessata.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione basandosi sulla consolidata giurisprudenza in materia di prova presuntiva (art. 2729 c.c.) e onere della prova (art. 2697 c.c.). I giudici hanno chiarito che gli elementi indiziari devono essere valutati nel loro complesso, in un giudizio globale e non atomistico. La documentazione informatica rinvenuta presso terzi, sebbene meramente presuntiva, non può essere considerata irrilevante a priori. Al contrario, essa costituisce un elemento probatorio legittimamente valutabile, soprattutto se confrontata con gli altri dati acquisiti e con la contabilità ufficiale del contribuente.

Per quanto riguarda la percentuale di ricarico, la motivazione risiede nel corretto riparto dell’onere probatorio. L’applicazione di un ricarico medio di settore da parte dell’Agenzia costituisce una presunzione legittima. È il contribuente che, per superare tale presunzione, deve fornire la prova contraria, dimostrando con elementi concreti (es. specifiche condizioni di mercato, politica dei prezzi, tipologia di merce) che la sua attività opera con una marginalità inferiore. La decisione del giudice d’appello è stata cassata proprio per aver ridotto la percentuale senza che il contribuente avesse fornito tale prova e senza una motivazione adeguata.

Le conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che nell’era digitale, qualsiasi forma di registrazione, anche informale, può essere utilizzata dal Fisco come fonte di prova. Gli imprenditori devono essere consapevoli che la contabilità in nero non offre alcuna garanzia di impunità, anche se gestita tramite file non ufficiali. In secondo luogo, la sentenza rafforza il principio secondo cui, di fronte a un accertamento basato su presunzioni, il contribuente non può limitarsi a una contestazione generica, ma deve attivarsi per fornire prove concrete e specifiche a sostegno delle proprie ragioni. La decisione di ridurre una percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio deve essere sempre supportata da una solida base probatoria e da una chiara motivazione da parte del giudice.

Un file informale, come un Excel, trovato presso un fornitore può essere usato per un accertamento fiscale nei confronti di un suo cliente?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la documentazione informatica, anche se extra-contabile e rinvenuta presso terzi, costituisce un elemento probatorio valido. Se da essa emergono indizi gravi, precisi e concordanti, può legittimamente fondare un accertamento induttivo.

Se il Fisco applica una percentuale di ricarico media per calcolare i ricavi di una contabilità in nero, chi deve provare che tale percentuale non è corretta?
L’onere della prova spetta interamente al contribuente. Una volta che l’Agenzia delle Entrate ha utilizzato un parametro oggettivo come il ricarico medio di settore, è il contribuente a dover dimostrare, con prove concrete, perché nel suo caso specifico dovrebbe essere applicata una percentuale diversa e inferiore.

La cosiddetta ‘contabilità in nero’ ha valore di prova in un processo tributario?
Sì, ha valore di prova presuntiva. Le presunzioni semplici, secondo la Corte, costituiscono una prova completa. Elementi come documenti informatici che registrano operazioni non contabilizzate, anche se non hanno la forma delle scritture contabili ufficiali, sono legittimamente valutabili dal giudice per ricostruire il reddito effettivo dell’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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