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Consolidato fiscale nazionale e controllante estera

Un gruppo societario con holding estera ha richiesto un rimborso fiscale negato per l’impossibilità di accedere al regime del consolidato fiscale nazionale. La Corte di Cassazione, rilevando un possibile contrasto tra la normativa italiana e il principio UE di libertà di stabilimento, ha sospeso il giudizio e ha sottoposto la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per una valutazione di compatibilità.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Consolidato Fiscale Nazionale e Controllante UE: La Cassazione Interpella la Giustizia Europea

L’applicazione del consolidato fiscale nazionale a gruppi con una società controllante estera torna al centro del dibattito giuridico. Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione ha sollevato importanti questioni di compatibilità tra la normativa tributaria italiana e i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea, in particolare la libertà di stabilimento. La Suprema Corte ha deciso di sospendere il giudizio e di rimettere gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) per ottenere un’interpretazione dirimente.

I Fatti del Contendere: Una Questione di Deducibilità

La vicenda trae origine dalla richiesta di rimborso IRES avanzata da una holding francese per conto delle sue controllate italiane per gli anni di imposta dal 2010 al 2012. Le società italiane avevano corrisposto interessi passivi a una stabile organizzazione in Italia della stessa holding francese. Secondo la normativa vigente all’epoca (ratione temporis), tali interessi erano deducibili solo al 96%, con un 4% indeducibile.

Il cuore del problema risiede nel fatto che, se le società avessero potuto costituire un consolidato fiscale nazionale, gli interessi passivi scambiati all’interno del gruppo sarebbero stati integralmente deducibili. Tuttavia, la normativa italiana dell’epoca non consentiva la formazione di un tale consolidato. La condizione richiesta era che la stabile organizzazione italiana della controllante estera detenesse direttamente le partecipazioni nelle società figlie, requisito che in questo caso non era soddisfatto.

L’Agenzia Fiscale aveva negato il rimborso, ma le commissioni tributarie di merito avevano dato ragione alle società, ritenendo la normativa nazionale discriminatoria e in contrasto con il diritto europeo. L’Agenzia ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e il rinvio sul consolidato fiscale nazionale

La Corte di Cassazione non ha emesso una sentenza definitiva, ma ha ritenuto fondati i dubbi sulla legittimità della normativa nazionale rispetto al diritto dell’Unione. Ha pertanto emesso un’ordinanza interlocutoria, sospendendo il procedimento e ponendo alla CGUE tre questioni pregiudiziali cruciali:

1. Sulla discriminazione: Si chiede se gli articoli 49 e 54 del TFUE ostino a una normativa nazionale che impedisce a società controllate di beneficiare di un regime di deducibilità più favorevole (quello del consolidato) per il solo fatto che la loro controllante comune risiede in un altro Stato membro.
2. Sulle tipologie di consolidato: Si interroga la CGUE sulla compatibilità di una legge nazionale che, di fatto, esclude l’integrazione fiscale tra una società controllante non residente e le sue controllate residenti, ammettendo solo quella verticale (tra residenti) o quella orizzontale (tra società sorelle).
3. Sul principio di effettività: Si domanda se il mancato esercizio di un’opzione per il consolidato, in un momento in cui tale opzione era legalmente preclusa, possa impedire successivamente di accedere agli effetti della corretta applicazione del diritto comunitario tramite un rimborso.

Le Motivazioni

Le motivazioni che hanno spinto la Cassazione a interpellare la Corte europea sono radicate nel potenziale conflitto tra la disciplina del consolidato fiscale nazionale e il principio della libertà di stabilimento. La normativa italiana in vigore all’epoca dei fatti creava una disparità di trattamento: i gruppi con una capogruppo residente in Italia potevano beneficiare della piena deducibilità degli interessi infragruppo, mentre quelli con una capogruppo in un altro Stato UE erano esclusi da tale vantaggio, a meno di non soddisfare la stringente condizione sulla detenzione delle partecipazioni tramite stabile organizzazione.

Questa condizione, secondo la Cassazione, potrebbe costituire una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento, poiché rende meno attraente per una società di un altro Stato membro operare in Italia attraverso società controllate. La Corte richiama la giurisprudenza europea, in particolare la sentenza SCA Holding, che ha già censurato normative nazionali che discriminano sulla base della residenza della controllante.

Inoltre, la Corte sottolinea come il requisito di presentare un’opzione per il consolidato, quando la legge stessa lo vietava, rischi di vanificare il principio di effettività del diritto UE. Se una norma nazionale contrasta con il diritto europeo, i singoli devono poter godere dei diritti che quest’ultimo conferisce loro, anche retroattivamente, senza che ostacoli procedurali ‘impossibili’ ne pregiudichino l’esercizio.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione apre la strada a un intervento chiarificatore da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che potrebbe avere impatti significativi sul sistema fiscale italiano e su numerosi contenziosi pendenti. Se la CGUE dovesse confermare l’incompatibilità della vecchia normativa italiana con il diritto UE, si aprirebbe la possibilità per molte società di richiedere rimborsi per imposte versate in passato in situazioni analoghe.

Questa vicenda ribadisce la supremazia del diritto dell’Unione sulle normative fiscali nazionali e il ruolo fondamentale della CGUE nel garantire un’applicazione uniforme dei principi del mercato unico, inclusa la libertà di stabilimento, che vieta discriminazioni basate sulla nazionalità o sulla sede legale delle imprese.

Una normativa nazionale può negare i benefici del consolidato fiscale nazionale a un gruppo di società solo perché la loro controllante comune risiede in un altro Stato UE?
La Corte di Cassazione nutre seri dubbi sulla compatibilità di una tale esclusione con il principio di libertà di stabilimento del diritto UE e ha chiesto alla Corte di Giustizia europea di pronunciarsi in merito, suggerendo che tale trattamento possa costituire una discriminazione vietata.

È legittimo richiedere che le partecipazioni delle società italiane siano detenute dalla stabile organizzazione della controllante estera per accedere al consolidato?
Anche questo requisito è stato messo in discussione dalla Corte di Cassazione. Il dubbio, che sarà sciolto dalla Corte di Giustizia UE, è se questa condizione rappresenti una restrizione sproporzionata e ingiustificata alla libertà delle imprese europee di organizzare le proprie attività in Italia.

Il fatto di non aver esercitato l’opzione per il consolidato, quando era vietato dalla legge, impedisce di chiederne i benefici tramite rimborso in un momento successivo?
Secondo la Cassazione, pretendere l’esercizio di un’opzione legalmente impossibile potrebbe violare il principio di effettività del diritto UE. Se una norma nazionale che vieta un beneficio è contraria al diritto dell’Unione, il contribuente dovrebbe poter ottenere tale beneficio (tramite rimborso) senza che gli vengano opposti ostacoli procedurali insormontabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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