Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23302 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23302 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25703/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
sul controricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1360/2018, depositata il 28 marzo 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, l’Agenzia delle entrate -Direzione provinciale di Milano notificava l’avviso di accertamento n. T9D031D0101302/2015 relativo all’anno d’imposta 2011 con il quale contestava l’illegittima deduzione e detrazione, ai fini delle imposte dirette e dell’I VA, di costi ritenuti inesistenti relativi a fatture emesse dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di una frode carosello. Conseguentemente accertava una maggior imposta ai fini IVA pari a euro 173.140,26.
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano.
La Commissione adita, con sentenza n. 1178/2017 depositata in data 9 febbraio 2017 accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando la sanzione applicata.
-Avverso tale pronuncia la società proponeva atto di appello. Si costituiva in giudizio l’Ufficio con appello incidentale.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1360/2018 depositata il 28 marzo 2018, rigettava entrambi gli appelli e confermava la sentenza impugnata.
-La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste l’Ufficio con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
La contribuente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 54 , comma 2, d.P.R. n. 633 del 16/10/1972 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che talune circostanze, delle quali RAGIONE_SOCIALE non poteva avere contezza e non passibili di essere interpretate in modo univoco, fossero idonee a integrare presunzioni gravi, precise e concordanti. In particolare, quelle riferite alle movimentazioni bancarie della ditta COGNOME, al numero dei dipendenti, alla sufficienza dell’organizzazione imprenditoriale, alla possibilità di adempiere ad obbligazioni assunte nei confronti di terzi.
Con il secondo motivo si prospetta la nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale omesso di esaminare le prove documentali depositate dalla società e relative all’atomizzazione delle imprese fornitrici di acciaio e quelle dirette a dimostrare la razionalità economica delle operazioni poste in essere dalla società.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale posto a carico di RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare la mancata consapevolezza della stessa in ordine alla frode perpetrata da terzi.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566).
L’Amministrazione finanziaria ha pertanto l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore ed è tenuta a provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Va però precisato la prova può essere anch e solo indiziaria e quanto alla ‘consapevolezza del destinatario’ l’oggetto specifico dell’onere incombente sull’erario non è costituito dalla prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né dalla prova della sua piena consapevolezza della frode ma solo
che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale’. In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto.
Le modalità per assolvere a tale onere da parte dell’Ufficio non possono tradursi nel solo fatto che il fornitore sia fittizio, elemento che ha sì idoneità probatoria ma va suffragato da obbiettivi riscontri, quali, ad esempio, l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti.
Correlativamente, sorge in capo al contribuente l’onere della prova contraria, ossia che il fornitore non è fittizio e che egli ha agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale perché ha adoperato – per non essere coinvolto in una tale situazione – la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
Quali mezzi di prova utili è però escluso che siano invocabili la regolarità della contabilità, la regolarità e congruità dei pagamenti e la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Questo perché si tratta di circostanze – le prime – già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e l’ultima – perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
Nel caso di specie, alla luce di operazioni soggettivamente inesistenti, circostanza non contestata essendo in questione il profilo della conoscibilità della frode, la Commissione tributaria regionale ha puntualmente richiamato i vari elementi indiziari non contestati
( l’assenza di contratti tra la contribuente ed il fornitore e tra la contribuente e l’intermediario, nonostante la rilevanza degli importi trattati; la circostanza che il COGNOME, pur iscritto alla camera di commercio non avesse dipendenti; pagamenti a brevissimo termine e a prezzi inferiori alla media di oltre il 10%), che hanno fatto ritenere sussistente l’elemento della consapevolezza della frode e il mancato assolvimento del dovere di diligenza.
Pertanto, la contribuente mira a conseguire una inammissibile rivalutazione del merito, a fronte di una ‘ doppia conforme ‘ sulla pretesa impositiva, i cui limiti d’impugnazione, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348-ter c.p.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, non ha connotazioni di specialità, con la conseguenza che il comma 3-bis dell’art. 54 cit., nel prevedere che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. n. 546 del 1992”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (Cass., Sez. V, 23 ottobre 2024, n. 27547).
Alcuna incidenza determinante, infine, assume la sentenza del giudice per le indagini preliminari che ha escluso il dolo in capo al legale rappresentante della società contribuente per l’utilizzo di fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti. Sul piano generale, l’art. 21bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, non trova applicazione, per precisa scelta del legislatore e per il diverso contenuto probatorio posto alla base della decisione, nel caso in cui sia stata pronunciata dal giudice per le indagini
preliminari sentenza divenuta definitiva, ancorché recante la formula “perché il fatto non sussiste” (Cass., Sez. V, 16 gennaio 2025, n. 1144).
Diverso è sia il grado di diligenza richiesto dalla fattispecie tributaria rispetto alla norma incriminatrice penale sia il rilievo degli elementi probatori, essendo richiesto in ambito tributario un valore indiziario, dato senz’altro non sufficiente a fondare una penale responsabilità. In tal senso, il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto che i documenti allegati alla richiesta di rinvio a giudizio non fossero di per sé idonei a provare la responsabilità penale dell’imputato, richiamando peraltro a controprova le mere dichiarazioni dello stesso imputato.
-Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ridotto la sanzione applicata dall’Ufficio, in assenza di specifica domanda di parte sul punto.
2.1. -Il motivo è fondato.
La contribuente non risulta avere formulato la domanda di riduzione delle sanzioni.
La Commissione tributaria regionale ha ridotto d’ufficio la sanzione senza che ci fosse una specifica istanza in tal senso nel ricorso introduttivo, violando il principio della domanda, né può ritenersi che la richiesta di annullamento dell’atto impugnato comprenda la diversa istanza di riduzione delle sanzioni (cfr. Cass., Sez. V, 24 gennaio 2025, n. 1743, secondo la quale l’adeguatezza e la proporzionalità della sanzione, rispetto al caso concreto, deve essere valutata in presenza di un motivo di impugnazione sull’entità delle sanzioni irrogate, fondato su allegate circostanze tali da consentirlo).
-L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo con cui si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. 462/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ridotto la sanzione applicata dall’Ufficio, in assenza di specifica domanda di parte.
-Va pertanto respinto il ricorso principale e accolto il primo motivo di quello incidentale.
La sentenza impugnata dev’essere cassata e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2025.