Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25019 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25019 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8319/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dell’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 609/2016, depositata il 26 settembre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con processo verbale di constatazione redatto in data 11 gennaio 2010, la Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Modena constatava a carico della società RAGIONE_SOCIALE l’indebita deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette e l’indebita detrazione dell’iva relativi a operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti per gli anni d’imposta 1999, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005. Il rilievo scaturiva da una complessa attività d’indagine svolta dalla Guardia di Finanza in collaborazione con il Nucleo Operativo dei Carabinieri di Modena, su delega dell’autorità giudiziaria , che aveva delineato un articolato sistema di frode. Era, infatti, emerso che i signori NOME COGNOME e NOME COGNOME con la collaborazione di un consulente, avevano provveduto alla creazione di società con sede nel Regno Unito e in Irlanda, che venivano utilizzate per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti afferenti sponsorizzazioni, false o gonfiate, nei confronti di clienti italiani interessati all’acquisto di spazi pubblicitari di team su moto che partecipavano al campionato mondiale Superbike e Supersport, i quali a fronte di bonifici disposti su conti esteri a pagamenti delle fatture, ricevevano ristorni di denaro contante. Più precisamente, si riferisce in ricorso, era emerso che:
i Team RAGIONE_SOCIALE, cd. Sponsee (RAGIONE_SOCIALE, legale rappresentante COGNOME Stefano e RAGIONE_SOCIALE con unico socio NOME) cedevano a prezzi simbolici (es. euro 1,00) spazi pubblicitari ubicati sulla carena delle moto a due società, una britannica e l’altra irlandese, artatamente create dai predetti soggetti, e alle quali venivano fittiziamente intestati i contratti, e cioè la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE (la prima utilizzata per i
contratti di sponsorizzazione sottoscritti nel periodo dai 1999 al 2004, la seconda per i contratti sottoscritti nell’anno 2005).
b) Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE:
-apparivano come fornitori delle prestazioni di sponsorizzazione senza avere alcuna struttura d’impresa o comunque personale in grado di rendere tali prestazioni di servizi;
si impegnavano a pubblicizzare il marchio/logo delle società sponsorizzatrici per importi esorbitanti rispetto ai reali valori degli spazi pubblicitari acquistati.
le società sponsor, a fronte dei pagamenti delle fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, ricevevano ristorni in contanti da COGNOME e COGNOME, per gli stessi importi corrisposti e decurtati del valore reale della sponsorizzazione; tali restituzioni, come comprovato anche dall’esame dei conti esteri dei predetti COGNOME e COGNOME e dalle intercettazioni telefoniche di colloqui tra questi e responsabili delle altre società sponsorizzatrici, avvenivano dopo che i corrispettivi pagati alle società estere transitavano in conti svizzeri e austriaci nella disponibilità del sodalizio criminale.
Lo scopo di siffatte articolate transazioni era solo quello di ostacolare l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria sia nei confronti dell’effettivo titolare del reddito, individuato in una società di fatto, operante sul territorio nazionale, costituita da COGNOME e COGNOME, e alla quale erano riconducibili le fatture inesistenti emesse con il simulato intervento delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che nei confronti dei soggetti sponsorizzatori.
Nel corso di un accesso presso l’abitazione d i NOME COGNOME, in data 30 novembre 2005, la Polizia tributaria sequestrava un computer portatile, nella cui memoria sono stati ritrovati vari documenti dai quali è emersa la entità delle sovrafatturazioni della
società RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2005. A margine di ciascun contratto e delle relative fatture, che sono risultate corrispondenti a quelle effettivamente contabilizzate dalle rispettive società, in una colonna fuori campo era indicato l’importo ‘reale’, fortemente inferiore a quello fatturato, corrispondendo, infatti, ad una percentuale pari a circa il 16% dell ‘importo fatturato. Alla luce di tutti gli elementi raccolti nel corso dell’indagine, la Guardia di Finanza riteneva che tutte le fatture emesse dalle società estere RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle società italiane sponsorizzatrici fossero da considerarsi fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto riconducibili a operazioni poste in essere, in realtà, sul territorio nazionale dalla società di fatto facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME e, riguardo all’oggetto (sponsorizzazione), operazioni inesistenti per una parte corrispondente all’84% de ll ‘importo fatturato. Dai citati documenti informatici, con riguardo alla STS RAGIONE_SOCIALE emergeva che a fronte di un contratto che prevedeva per l’anno 2005 un corrispettivo di euro 125.000,00 era stato effettuato, in data 3 maggio 2005, un pagamento tramite bonifico per euro 20.000,00, di cui l’importo reale erano euro 19.600,00.
Recependo i rilievi del processo verbale di constatazione, in data 26 aprile 2010, la Direzione provinciale di Ancona dell’Agenzia delle entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TQY03T500779/2010, relativo all’anno d’imposta 1999, con il quale recuperava a tassazione sia ai fini delle imposte dirette che ai fini IVA l’84% dei costi portati in deduzione.
La società proponeva ricorso.
L’Ufficio si costituiva in giudizio.
La Commissione tributaria provinciale di Ancona, con sentenza n. 50/2/12, preso atto dell’intervenuta conciliazione per le imposte
IRPEG ed IRAP, dichiarava estinti i relativi rilievi e annullava il rilievo IVA.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio proponeva atto di appello. Si costituiva la contribuente.
La Commissione tributaria regionale delle Marche, con sentenza n. 609/1/16, ha rigettato il ricorso dell’Ufficio .
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Si è costituta la contribuente con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. 26.10.1972 n. 633, nonché degli art. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente deduce che con l’avviso di accertamento oggetto di controversia l’Ufficio ha contestato alla società intimata il diritto alla detraibilità dell’ IVA esposta nelle fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE e dalla società RAGIONE_SOCIALE sotto il duplice profilo della inesistenza soggettiva e della parziale inesistenza oggettiva delle operazioni documentate nelle stesse fatture. A tal fine, si evidenzia l’erroneità dell’impugnata sentenza laddove ha affermato che l’Ufficio non avrebbe provato la partecipazione alla frode carosello. Si sostiene, infatti, che non si trattava di frode carosello ma di una frode che ha visto due soggetti italiani, costituiti in società di fatto, creare artatamente due società comunitarie che emettevano fatture per prestazioni di sponsorizzazione in realtà rese dagli stessi soggetti e per corrispettivi gonfiati, che in larga misura venivano retrocessi alle società sponsorizzate, tra le qualità è risultata essere la società
intimata. Come conseguenza dell’erronea individuazione del thema decidendum , la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso la doverosa valutazione degli elementi indiziari addotti dall ‘Amministrazione finanziaria a sostegno della sovrafatturazione (a) l’esistenza di un documento informatico, estratto dalla memoria del computer rinvenuto nell’abitazione di uno degli artefici della frode dal quale è emerso che la società RAGIONE_SOCIALEa fronte di un contratto che prevedeva per l’anno 2005 un corrispettivo di euro 125.000,00» aveva «effettuato in data 03/05/2005 un pagamento tramite bonifico per euro 20.000,00, di cui l’importo reale erano soli euro 19.600,00»; b) il fatto che il ‘ main sponsor ‘ della scuderia aveva sottoscritto contratti che prevedevano, in proporzione agli spazi pubblicitari ed alla visibilità del logo/marchio, corrispettivi chiaramente inferiori quelli della RAGIONE_SOCIALE
La sentenza sarebbe inoltre errata laddove ha confermato l’annullamento del rilievo IVA sulla base della ritenuta estraneità alla frode carosello. Nella fattispecie, l’Amministrazione finanziaria avrebbe allegato, senza alcuna contestazione avversaria, che le due società emittenti le fatture in contestazione «apparivano come fornitori delle prestazioni di sponsorizzazione senza avere alcuna struttura d’impresa o comunque personale in grado di rendere tali prestazioni di servizi»; con l’ulteriore elemento che la retrocessione di una cospicua parte del corrispettivo a un soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture costituiva una prova diretta della partecipazione alla frode o, quantomeno, del fatto che la società intimata avrebbe dovuto sapere che il suo acquisto si inseriva in una frode all’lVA.
Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli artt. 46 e 47 del d.l. 30.8.1993 n. 331 e degli arti. 19 e 21 del d.P.R.
26.10.1972 n. 633 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. Si contesta, in particolare, l’affermazione della Commissione tributaria regionale secondo cui «la società in esame non ha goduto di alcun vantaggio dalle fatture emesse dalla società di fatto posto che l’IVA non è dovuta per le operazioni intracomunitarie». L’acquisto intracomunitario è un fatto generatore di imposta, accanto a quelli già noti di cessioni di beni, prestazioni di servizi e importazioni; tuttavia, per effetto di quanto disposto dall’art. 47 del d.l. n. 331/1993 (che prevede che le fatture relative agli acquisti intracomunitari, integrate con l’applicazione dell’IVA come previsto dall’art. 46, devono essere registrate, distintamente, sia nel registro delle fatture emesse – art. 23 d.P.R. 633/72 – entro quindici giorni dal ricevimento della fattura sia nel registro degli acquisti – art. 25 stesso decreto – anteriormente alla liquidazione periodica ovvero alla dichiarazione annuale) la registrazione avviene sia a debito che a credito e quindi l’operazione diventa neutra. Ciò non implica, tuttavia, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale, che il diritto alla detrazione possa essere esercitato nei casi di operazioni inesistenti ovvero in cui il cessionario sia o possa essere consapevole di partecipare con il suo acquisto a un’operazione in frode all’Erario.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza,
o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 15369/2020; Cass. n. 27566/2018).
L ‘Amministrazione finanziaria ha pertanto l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore ed è tenuta a provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Va però precisato la prova può essere anche solo indiziaria e quanto alla ‘consapevolezza del destinatario’ l’oggetto specifico dell’onere incombente sull’erario non è costituito dalla prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né dalla prova della sua piena consapevolezza della frode ma solo che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale’. In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto.
Le modalità per assolvere a tale onere da parte dell’Ufficio non possono tradursi nel solo fatto che il fornitore sia fittizio, elemento che ha sì idoneità probatoria, ma va suffragato da obiettivi riscontri, sia pure a mezzo di presunzioni.
Correlativamente , sorge in capo al contribuente l’onere della prova contraria, ossia che il fornitore non è fittizio e che egli ha agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale perché ha adoperato – per non essere coinvolto in una tale situazione – la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
Quali mezzi di prova utili è però escluso che siano invocabili la regolarità della contabilità, la regolarità e congruità dei pagamenti e la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Questo perché si tratta di circostanze – le prime – già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e l’ultima -perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto, del tutto sbrigativamente, che la società appellata non avesse nulla a che vedere con l’eventuale società di fatto contestata ai soggetti che avevano organizzato la frode carosello, evidenziando che l’Ufficio aveva trascurato che la contribuente non aveva partecipato minimamente all’organizzazione della frode o quantomeno non era stata fornita la prova della sua partecipazione, né che vi era stato un vantaggio dalle fatture emesse dalla società di fatto. Concludeva, pertanto, con l’affermare che « Al di là quindi di tutte le argomentazioni svolte dalle parti in ordine al regime giuridico e alle ricostruzioni dottrinarie, per altro molto dotte, ciò che rileva in questa sede è quanto prima detto. Ci si esime quindi dall’esaminare tutte le eccezioni esaminate dalle parti, restando le stesse assorbite nelle considerazioni che precedono ».
In realtà, il quadro emerso dall’attività svolta dalla Guardia di Finanza e oggetto di contestazione rappresentava l’esistenza di un sistema di frode all’IVA basato su prestazioni di sponsorizzazione relative a società estere a cui venivano fittiziamente intestati i contratti e le fatture emesse (RAGIONE_SOCIALE, che apparivano come fornitori delle prestazioni senza avere alcuna struttura d’impresa o comunque personale in grado di rendere tali prestazioni di servizi. In particolare, come evidenziato dall’Agenzia, il sistema di fatturazione fittizia ideato da NOME COGNOME e NOME COGNOME vedeva i Team Corse (cd. Sponsee) cedere a prezzi simbolici (es. euro 1,00) spazi pubblicitari ubicati sulla carena delle moto a due società britanniche/irlandesi, artatamente create dai predetti soggetti, le quali, a loro volta emettevano, per gli stessi spazi fatture per operazioni inesistenti per importi esorbitanti i reali valori degli spazi acquistati, alle società italiane sponsorizzatrici (c.d. sponsor). Queste ultime, in relazione al pagamento dei predetti importi delle stesse fatture per operazioni inesistenti, ricevevano ristorni in contanti dal COGNOME e/o dal COGNOME, per gli stessi importi corrisposti precedentemente, decurtati del ben più inferiore valore reale degli spazi acquistati. Tale restituzione avveniva dopo che gli esorbitanti corrispettivi, pagati alle società estere, transitavano in conti svizzeri e austriaci nella disponibilità delle parti (v., sia pure in relazione ad altre società, Cass. n. 17059/20; Cass. n. 26014/22).
La pronuncia trascura del tutto le deduzioni articolate dell’Agenzia poiché, al di là del carattere fittizio delle società che di per sé non è sufficiente a giustificare operazioni soggettivamente inesistenti, la retrocessione di una cospicua parte del corrispettivo a un soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture è un
elemento rilevante che la motivazione ha del tutto trascurato. Ci sono inoltre due aspetti di cui non vi è traccia nella motivazione che invece appaiono rilevanti riguardo all’elemento soggettivo: a) l’esistenza di un documento informatico, estratto dalla memoria del computer rinvenuto nell’abitazione di uno degli artefici della frode dal quale è emerso che la società RAGIONE_SOCIALEa fronte di un contratto che prevedeva per l’anno 2005 un corrispettivo di euro 125.000,00» aveva «effettuato in data 03/05/2005 un pagamento tramite bonifico per euro 20.000,00, di cui l’importo reale erano soli euro 19.600,00»; b) il fatto che i ‘main sponsor’ della scuderia avevano sottoscritto contratti che prevedevano, in proporzione agli spazi pubblicitari ed alla visibilità del logo/marchio, corrispettivi chiaramente inferiori quelli della RAGIONE_SOCIALE Si è dunque di fronte a un errore di sussunzione dei fatti nella normativa di riferimento e di riparto dell’onere della prova, poiché sarebbe gravato sulla contribuente il compito di contrastare il quadro indiziario, da cui emergevano elementi atti a evidenziare i presupposti per il recupero delle imposte.
Quanto all’affermazione, oggetto del terzo motivo concernente l’affermata insussistenza del danno, perché neutralizzato dall’applicazione del regime del reverse charge , va rammentato che in tema di IVA, e con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA
ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA (Cass. S.U. n. 22727/2022; Cass. n. 4250/2022).
-L’accoglimento del primo e del terzo motivo determina l’assorbimento del secondo con cui, in subordine rispetto al primo, si deduce l ‘ omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (retrocessione a un soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture di parte cospicua del corrispettivo; assenza di struttura d’impresa e personale del soggetto emittente le fatture; esistenza di contratti di sponsorizzazione reali che prevedevano, in proporzione agli spazi pubblicitari ed alla visibilità del logo/marchio, corrispettivi inferiori a quelli della RAGIONE_SOCIALE.
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata in relazione ai motivi accolti e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione