Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4871 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
AVV_NOTAIO: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25788/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, (C.F. CODICE_FISCALE) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrente avverso la sentenza n. 40/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 28/01/2019;
udita la relazione della causa svolta all’udienza del 14.02.2014 dal AVV_NOTAIO
Il PG. ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Uditi i difensori RAGIONE_SOCIALE parti.
FATTI DI CAUSA
1.In data 20 maggio 2015 veniva notificato al AVV_NOTAIO l’avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni relativo all’atto di divisione immobiliare n. 210964 di repertorio. L’Ufficio accertatore constatava il mancato rispetto dei principi di cui agli artt. 34, commi 1 e 2, 46 e 48 d.P.R. n. 131/1986 (T.U.R.), in quanto nell’atto di divisione non si era tenuto conto del fatto che, mentre il valore dei beni da dividere dipendeva dalle dichiarazioni RAGIONE_SOCIALE parti e non appariva sindacabile, la costituzione di diritti di usufrutto e nuda proprietà comportava il rispetto dei valori di cui al prospetto dei coefficienti della normativa sopra richiamata. In particolare, secondo l’amministrazione finanziaria, il professionista attribuiva a NOME COGNOME la nuda proprietà pari ad euro 234.750,00 e il diritto di usufrutto a NOME COGNOME pari ad euro 176.000,00 violando la normativa in materia di valutazione di usufrutto, al fine di evitare il conguaglio divisionale, sicché per la differenza, l’atto doveva essere considerato una vendita e tassato di conseguenza. Avverso il suddetto avviso di liquidazione il AVV_NOTAIO proponeva ricorso denunciando anzitutto la violazione dell’art. 52, commi 4 e 5, T.U.R., norma che prevede che il potere di rettifica dei valori dichiarati risulta inibito qualora gli stessi risultino non inferiori al valore catastale dell’immobile, ottenuto moltiplicando per specifici coefficienti la rendita catastale o nel caso di terreno agricolo il reddito dominicale. Lamentava poi l’illegittimità dell’avviso di liquidazione per violazione o falsa applicazione dell’art. 42 T.U.R., in quanto si era proceduto in sede di applicazione di imposta
principale ad un accertamento che, seppure infondato, avrebbe potuto trovare tutt’al più forma e modo quale accertamento complementare. La Commissione tributaria provinciale di Vicenza rigettava il ricorso. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado. Avverso la decisione della CTR il AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
AVV_NOTAIO ha depositato memorie illustrative.
La Corte, con ordinanza interlocutoria nr. 20084/2021 rimetteva la causa alla pubblica udienza.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52, commi 4 e 5, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ed errata interpretazione della doppia attribuzione insita nell’atto di divisione immobiliare, laddove la CTR ha ritenuto che l’art. 52, riguardante la rettifica di valore, non può essere assimilato alla norma relativa alle divisioni (art. 34 T.U.R.) che disciplina la modalità di tassazione RAGIONE_SOCIALE assegnazioni di beni, con riferimento specifico ai conguagli superiori alla quota di diritto. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 e 52, comma 4, T.U.R., laddove la CTR si è limitata ad affermare la mancata violazione dell’art. 42 T.U.R. senza comprendere che in realtà non vi era alcun presupposto per effettuare una rettifica in sede di imposta principale, in quanto l’accertamento avrebbe dovuto tutt’al più assumere il carattere complementare. Con il terzo mezzo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc.
civ. per non avere il decidente compensato le spese di lite nonostante in materia non si riscontrassero specifici precedenti di legittimità.
La prima censura è destituita di fondamento.
Occorre premettere che la divisione è considerata atto avente natura dichiarativa, sottoposto all’aliquota dell’1 % (art. 3 della Tariffa, parte Prima, allegata al TUR) se le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, quote di fatto, corrispondono alle quote di diritto, cioè a quelle quote che spettano ai partecipanti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano. Le quote rappresentano infatti la partecipazione ad una ricchezza che entra a fare parte del patrimonio del coerede all’atto della accettazione, sicché la successiva divisione secondo le quote non apporta ulteriore incremento patrimoniale al condividente. Solo in caso contrario si applica l’art. 34, comma 1, del d.P.R. 131/1986.
2.1.Nel caso, in esame, il AVV_NOTAIO assume che l’imposta applicata dall’RAGIONE_SOCIALE è scaturita da una rettifica di valore, ex art. 52 citato in rubrica, non consentita, avendo le parti fatto ricorso nell’atto divisionale alla procedura della valutazione automatica.
2.2.Occorre premettere che la normativa invocata dal AVV_NOTAIO impone – al di fuori dello spazio negoziale coperto dall’effetto traslativo correlato alla «cessione» di un immobile, e relative pertinenze, – un limite procedimentale al potere di rettifica – la cui nuova regolazione è stata delineata dal comma 5bis dell’art. 52, cit. (qual introdotto dal 4 d.l. n. 223 del 2006, art. 35, c. 23 ter, conv. in I. n. 266 del 2005) – laddove il valore o il corrispettivo dell’immobile, iscritto in catasto con attribuzione di rendita, sia stato dichiarato in misura non inferiore alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata secondo i previsti moltiplicatori (senz’alcuna necessità di opzione in tal senso da parte del contribuente, trattandosi di fattispecie negoziale, priva di effetti traslativi e, così, non riconducibile al sistema RAGIONE_SOCIALE regole correlate
alla disciplina del cd. prezzo valore)( v. Cass., 20 marzo 2009, n. 6796; Cass., 13 febbraio 2009, n. 3573; Cass., 7 luglio 2004, n. 12448; Cass., 28 novembre 2001, n. 15080; Cass., 13 agosto 1996, n. 7504; v., altresì, Corte Cost., 23 gennaio 2014, n. 6).
4.Deve, tuttavia, preliminarmente osservarsi che, con gli atti di divisione oggetto di tassazione, sono stati attribuiti diritti reali diversi da quelli di cui originariamente i condividenti erano titolari. Le parti erano infatti titolari, in regime di comunione, della proprietà su taluni beni immobili, mentre con gli atti di divisione sono stati attribuiti rispettivamente, per quel che interessa ai fini della causa, ad un condividente il diritto di usufrutto vitalizio sull’intero e ad altro comunista la nuda proprietà. Per stabilire se il valore dei cespiti indicato nell’atto divisionale è stato dichiarato in misura non inferiore alla rendita catastale rivalutata, l’Ufficio ha fatto applicazione dell’art. 48 del d.P.R. n. 131 del 1986, considerando la differenza tra il valore della piena proprietà e quello dell’usufrutto, nonché, come dispone lo stesso d.P.R. n. 131 del 1986, art. 46, tenendo conto dell’età del titolare dell’usufrutto secondo le tabelle allegate al testo normativo.
5.Quanto sopra esposto evidenzia anche l’irrilevanza della ulteriore questione proposta da parte ricorrente, vale a dire la dedotta violazione della regola del cosiddetto prezzo – valore in applicazione del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, che preclude all’Ufficio l’accertamento di un maggior valore dei diritti reali immobiliari oggetto di divisione, allorquando il valore o il corrispettivo dell’immobile, iscritto in catasto con attribuzione di rendita, sia stato dichiarato in misura non inferiore alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata secondo i previsti moltiplicatori.
Il presupposto che osta alla rettifica di valore è – come normativamente previsto -la dichiarazione di valore non inferiore alla rendita catastale, con la conseguenza che nell’ipotesi in cui i contraenti dichiarino un valore catastale difforme dalla reale rendita
catastale aggiornata secondo i previsti moltiplicatori, l’azione dell’amministrazione finanziaria non è preclusa dal limite procedimentale di cui all’art. 52 cit..
Nella fattispecie sub iudice , l’Ufficio non ha proceduto, come erroneamente assume il ricorrente, alla rettifica del valore complessivo dei beni in successione, in deroga al disposto del citato art. 52, ma ha rideterminato il valore del diritto di usufrutto sulla base del valore minimo della rendita catastale del predetto diritto reale, applicando il conteggio previsto dalle tabelle allegate al TUR e commisurate alla vita del beneficiario; configurandosi così un conguaglio divisionale a carico della figlia NOME, atteso che il valore emergente dalla stima, ex art. 48 TUR, della nuda proprietà gravata da usufrutto -norma che stabilisce che il valore è determinato ai sensi dell’art. 46 – rispetto al valore catastale supera la quota di diritto spettante alla comunista. Secondo il disposto dell’art. 48 cit. <>.
6.1.In altri termini, l’amministrazione finanziaria ha stimato la nuda proprietà gravata da usufrutto secondo i criteri dettati dalle citate disposizioni, considerando la differenza tra il valore della piena proprietà e quello dell’usufrutto, come dispone lo stesso d.P.R. n. 131 del 1986, art. 46, tenendo conto dell’età del titolare dell’usufrutto secondo le tabelle allegate al testo normativo; il valore dichiarato nell’atto divisionale – che parte ricorrente assume conforme alla rendita catastale – è stato sostituito dalla risultante della rendita moltiplicata per il coefficiente stabilito in base alla natura dell’immobile. Nella fattispecie, è infatti in
contestazione la rispondenza della quota assegnata ai condividenti alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata secondo parametri catastali, con il conseguente rilevare del disposto del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 34, c. 3 (alla cui stregua «Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio.»); -non si tratta, in siffatta ipotesi, dell’emersione dei cd. conguagli fittizi -idonei ad integrare, secondo la presunzione legale, un effetto traslativo – che a suo presupposto assume, secondo la stessa littera legis (che giustappunto rinvia all’art. 52), il legittimo esercizio del potere di accertamento e rettifica, potere precluso nella valutazione automatica RAGIONE_SOCIALE quote secondo i parametri catastali (art. 52, c. 4, cit.), bensì, come precisato, della rettifica della stessa rendita catastale erroneamente indicata dai condividenti.
Tale meccanismo è alternativo rispetto a quello di cui all’art. 52, primo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, di guisa che legittimamente l’Ufficio richiede il conguaglio con avviso di liquidazione, trattandosi di semplice recupero d’imposta nella misura determinata in virtù di semplici operazioni aritmetiche sulla base dell’implicita dichiarazione del contribuente ed in assenza di ogni discrezionalità tecnica (Cass. del 25/01/2008, n. 1616; Cass. del 20/12/2007, n. 26885 v. anche Cass. del 06/02/2006, n. 2480).
6.2. Resta precluso all’Ufficio solo l’accertamento dei conguagli cd. fittizi di cui all’art. 34, c. 3, cit., qualora le quote attribuite ai condividenti rispondano ai parametri catastali delineati dall’istituto della cd. valutazione automatica (Cass., 3 dicembre 2020, n. 27692), corrispondenza (tra quote attribuite e valori catastali) che, nel caso in esame, risulta esclusa dalla corretta applicazione dei coefficienti per la determinazione della nuda proprietà gravata da usufrutto.
6.3.L’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone che: «1. La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente 2. I conguagli superiori al cinque per cento del valore della quota di diritto, ancorché attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza. 3. Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio». La formulazione di tale disposizione -come si desume, in particolare, dall’utilizzo dell’inciso «(…) è considerata vendita» -sembra sancire una vera e propria “presunzione assoluta” ai fini dell’imposta di registro, in virtù della quale la divisione con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per la sola eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti. Per cui, il legislatore si è preoccupato di esigere, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti nei limiti dell’eccedenza di valore, ritenendo irrilevante che il conguaglio (inteso come surplus aritmetico del valore dei beni rispetto al valore della quota) abbia formato oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa ovvero della disposizione di una liberalità indiretta nei rapporti tra i condividenti. Ne deriva la “neutralità” del conguaglio ai fini dell’imposta di registro, essendone invariabilmente predeterminata la rilevanza tributaria, senza alcuna derogabilità in relazione alla peculiarità civilistica della causa ( causa obligandi, causa donandi, causa so/vendi, ecc.) che connota
l’accordo tra i condividenti. In altri termini, il trattamento tributario è fissato dall’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello RAGIONE_SOCIALE rispettive quote sulla massa comune.
Pertanto, ai fini dell’imposta di registro, l’eccedenza derivante al condividente dall’assegnazione ad esso di beni di valore superiore a quello spettante sulla massa comune è considerata, per effetto di presunzione assoluta iuris et de iure, alla stregua di una vendita (Cass. civ., sez. trib., 01/12/2020, n. 27409; Cass. civ., sez. trib., 16/11/2012, n. 20119).
7.Parimenti priva di pregio è la seconda censura.
Questa Corte ha statuito che «in tema di imposta di successione, nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, nel caso in cui il contribuente, all’atto della denuncia di successione, per la determinazione del valore di un immobile, compreso nell’asse, non ancora iscritto in catasto, abbia chiesto, ai sensi dell’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito nella legge 13 maggio 1988, n. 154, di volersi avvalere del criterio di valutazione automatica sulla base della rendita catastale, la maggiore imposta successivamente liquidata dall’ufficio, a seguito dell’attribuzione della rendita, ha natura principale (e non complementare), ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dovendosi intendere per imposta “applicata al momento della registrazione” – per l’imposta di successione, quella liquidata dall’ufficio in base alla dichiarazione di successione – anche quella per la quale in detto momento sussista la mera individuazione concreta dei presupposti per la successiva quantificazione del tributo. Ne consegue ai fini della riscossione, alla luce dell’art. 44 del d.P.R. n. 637 del 1972, che l’ufficio, non trattandosi di imposta complementare o suppletiva, è autorizzato ad iscrivere a ruolo l’intera somma, anche in presenza del ricorso giurisdizionale da parte del contribuente»(Cass. del 11/06/2014, n.
13149; Cass. del 20/05/2009, n. 11752; Cass. del 23/03/2007, n. 7177).
Nel caso in esame, ove la rendita indicata dal AVV_NOTAIO non corrisponde alla rendita che si ricava applicando i criteri dettati dalla normativa di settore già in vigore alla data della stipula dell’atto divisionale.
7.L’ultimo strumento di ricorso è manifestamente infondato, visto che la soccombenza, ai fini della regolazione RAGIONE_SOCIALE spese, si rapporta certo all’esito concreto della lite e non a quello sperato o ritenuto più corretto da chi vi appare univocamente ed incontestabilmente soccombente; e, ad ogni buon conto, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. U. 15/07/2005, n. 14989; Cass. 31/03/2006, n. 7607; Cass. del 26/04/2019, n. 11329; Cass. del 17/10/2017, n. 24502; Cass. n. 8421/2017).
8. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella somma complessiva di euro 1.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso all’udienza della Sezione tributaria della corte di