Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13957 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
Avv. Intimazione Pagamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13273/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME E NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 6017/2022, depositata in data 15 dicembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° aprile 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
In data 10/5/2019 l’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale I di Roma, notificava ai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi del sig. NOME COGNOME l’intimazione di pagamento n. CODICE_FISCALE, con la quale richiedeva il pagamento di € 37.108,48 corrispondenti alle imposte, con i relativi interessi, dovute in relazione all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo all’anno d’imposta 2009, divenuto definitivo a seguito della sentenza della C.t.p. di Roma n. 572/08/2017, depositata il 16/01/2017, passata in giudicato.
I contribuenti impugnavano la detta intimazione dinanzi la C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Roma, con sentenza n. 630/11/2021, accoglieva integralmente il ricorso dei contribuenti aderendo alla loro prospettazione, ossia che l’avviso di accertamento presupposto n. TK3018103117 era stato annullato dalla sentenza della C.t.p. di Roma n. 19931/40/2018 in sede di impugnativa, da parte del proprio dante causa, di una precedente intimazione di pagamento.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituivano anche i contribuenti, chiedendone il rigetto.
Con sentenza n. 6017/13/2022, depositata in data 15 dicembre 2022, il giudice adito, divenuto, nelle more, Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, accoglieva il gravame dell’Ufficio , affermando che l’intimazione di pagamento era basata sulla sentenza della C.t.p. di Roma n. 572/08/2017, che aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento presupposto n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato al de cuius dei contribuenti.
Avverso la succitata sentenza della CGT2 del Lazio, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 1°aprile 2025, per la quale i contribuenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 67 bis, 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Violazione del principio di autonomia del giudizio di impugnazione degli atti di riscossione rispetto al giudizio di impugnazione degli avvisi di accertamento» i contribuenti lamentano l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, il giudice tributario d’appello, nell’accogliere il gravame proposto, ha implicitamente ritenuto non vincolante per l’ente impositore, privo di efficacia ed irrilevante ai fini della decisione la sentenza n. 19931/40/2018 resa dalla C.t.p. di Roma in data 30/11/2018, ritualmente acquisita al processo mediante il deposito nel ricorso introduttivo del primo grado del 28/6/2019, così come ha implicitamente ritenuto privo di autonomia il giudizio di impugnazione di atti della riscossione rispetto al giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di ampia discussione tra le parti, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla sentenza n. 19931/40/2018 acquisita al processo», i contribuenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CGT2 del Lazio , nell’accogliere l’appello proposto, ha mancato di valutare l’esame della sentenza n. 19931/40/2018, prodotta dai ricorrenti fin dal primo grado di giudizio, e posta a fondamento della loro azione giudiziaria.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il Giudice del merito ritenuto comprovata
ed acquisita al processo una circostanza che non è stata dimostrata dalla parte sulla quale incombeva il relativo onere probatorio. Radicale difetto di prova della esistenza del credito reclamato dall’Agenzia delle Entrate, ex art. 2697 cod. civ.», i contribuenti lamentano l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CGT2 del Lazio ha ritenuto dimostrata l’esistenza e la legittimità del credito reclamato in pagamento dall’Agenzia delle Entrate in forza della sentenza n. 572/8/2017, in realtà non prodotta e contestata dagli odierni ricorrenti; il giudice tributario d’appello ha ritenuto che tale sentenza avesse il contenuto indicato dall’ente impositore, nonché efficacia di giudicato tra le parti.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per omessa motivazione e per violazione del disposto di cui all’art. 112 cod. proc. civ., laddove il Giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi in ordine alle doglienze ed eccezioni riproposte dai ricorrenti in sede di gravame», i contribuenti lamentano l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CGT2 del Lazio ha omesso di indicare le ragioni: per le quali ha ritenuto non rilevante, ai fini della decisione del giudizio, la sentenza n. 19931/40/2018; – per le quali ha invece ritenuto rilevante una pronuncia, la n. 572/8/2017, mai acquisita in atti. Ha poi omesso la pronuncia in ordine alla invocata ed eccepita carenza probatoria nella quale incorse l’Agenzia delle Entrate, ex art. 2697 cod. civ., giacché sulla medesima incombeva l’onere di dimostrare la previa notifica degli atti presupposti alla intimazione di pagamento impugnata.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 11 e 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 11 e 53 del d.lgs.
546/1992» i contribuenti lamentano l’ error in procedendo e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, il giudice tributario d’appello ha ritenuto valida ed efficacia la procura depositata in atti dall’Agenzia delle Entrate, nonostante la stessa fosse priva di sottoscrizioni autografe o digitali, ed asseritamente apposta dal Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate anziché dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2909 cod. civ., 54 e 56 del d.lgs. n. 546/1992, 324 cod. proc. civ. Prevalenza del secondo giudicato di cui alla sentenza n. 19931/40/2018» i contribuenti lamentano l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CGT2 del Lazio ha violato il giudicato di cui alla sentenza n. 19931/40/2018 resa dalla C.t.p. di Roma in data 30/11/2018.
Ragioni di ordine logico-giuridico suggeriscono la disamina del quinto motivo di ricorso, che è infondato.
Costituisce giurisprudenza consolidata (cfr. ex plurimis : Cass. 19/07/2021, n. 20599) il principio secondo cui, in tema di processo tributario, la sottoscrizione dell’atto di appello, pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell’Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente, poiché la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio con competenze specifiche.
2.1. Nel caso in esame, il giudice tributario d’appello ha correttamente motivato, respingendo la relativa eccezione, a tacer del fatto che risultava prodotta in atti regolare delega da parte del
direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate in favore della dr.ssa NOME COGNOME
Il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e per l’affinità delle critiche sollevate insistendo, sotto diversi profili, sull’operatività del giudicato dato dalla sentenza della C.t.p. di Roma n. 19931/40/018, sono inammissibili oltre che infondati.
3.1. Preliminarmente, non può essere condivisa l’argomentazione declinata dall’Agenzia delle Entrate secondo cui la sentenza (invocata) della C.t.p. di Roma n. 19931/40/2018 sia priva di valenza processuale nei confronti dell’Agenzia delle Entrate in quanto tale pronuncia era stata emessa solo nei confronti dell’Agente della Riscossione.
Con un autorevole arresto si è sostenuto che nel processo tributario, il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente impositore, indipendentemente dalla “denunciatio litis” all’Agenzia delle entrate, la cui partecipazione alla lite deve essere sollecitata dall’agente e rileva unicamente nel rapporto interno ex art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, senza che costituisca requisito per l’opponibilità delle statuizioni, attesa la scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario (Cass. 26/05/2021, n. 14566).
3.2. Di poi, va considerato irrilevante il fatto che la sentenza della C.t.p. di Roma n. 572/08/17 sia stata o meno prodotta nel giudizio di merito in considerazione della rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno , atteso che l’intimazione di pagamento impugnata faceva ad essa espresso riferimento. L’esame di detta pronuncia non è pertanto precluso a questa Corte di legittimità ai fini della decisione.
Quindi, non è ipotizzabile il conflitto di giudicati prospettato nel sesto motivo di ricorso, con prevalenza, secondo i ricorrenti, del
giudicato successivo, atteso che la sentenza n. 572/08/17, passata in giudicato, giudica specificamente nel merito dell’accertamento TK3018103117/2014, impugnato dal de cuius , mentre la successiva pronuncia della CTP di Roma n. 19931/40/2018, resa sempre nei confronti del NOME COGNOME appellata dall’Ufficio, ma passata in giudicato per effetto della mancata riassunzione nei termini dalla dichiarazione d’interruzione del giudizio per morte della parte, che, secondo i ricorrenti, lo travolgerebbe, attiene a ragioni di rito, sicché, ai fini del giudicato sostanziale, ex art. 2909 c.c., opponibile agli eredi o aventi causa del de cuius , va riconosciuta la prevalenza della sentenza n. 572/08/17 che, si ripete, decide sul merito dell’accertamento impositivo, convalidandolo. Vieppiù che con l’intimazione di pagamento impugnata in questo giudizio, notificata agli eredi collettivamente e impersonalmente all’ultimo domicilio del de cuius , correttamente la pretesa impositiva è stata depurata delle sanzioni secondo il disposto dell’art. 8 de l d.lgs. n. 472/1997.
3.3. Nella fattispecie in esame, pertanto, la sentenza impugnata va esente da censura laddove ha ritenuto insussistente l’operatività del giudicato esterno della sentenza della C.t.p. di Roma n. 19931/40/2018.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 1° aprile 2025.